Capitolo IV - La statua guerriera

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Loki non si fece più rivedere a lungo e Valeska, Andreas e Leif avevano già accantonato la questione come una delle tante stranezze degli asgardiani. Gente strana, gente pericolosa. Gente di guerra. Gente da cui stare alla larga.
Come se Erik, in quel momento, non si stesse dimostrando il più stravagante degli imbecilli: stava appeso ad un ramo con le ginocchia, rosicchiando una mela e cercando disperatamente di farsi notare da Astrid. Impresa pressoché inutile, visto che lei si era già allontanata.
-Scendi da lì, babbeo- lo richiamò Leif, tirandolo per un braccio e facendolo cadere a terra, fra i brontolii dell'amico e le risate degli altri due compagni.
- Ti è andato di volta il cervello?- sbottò Erik, tirandosi di nuovo in piedi e pulendo i vestiti con pesanti e irritati colpi di mano.
- Può darsi- rispose il biondo, scoppiando in una risata, seguito a ruota da Andreas. Valeska, quel giorno, tacque e non prese parte alle brontolone discussioni dei tre compagni, ma nessuno dei tre se ne accorse. Lei, dopotutto, non era mai stata molto chiacchierona o incredibilmente espansiva e loro non avevano mai preteso di saper distinguere i suoi umori e i suoi pensieri aggarbugliati gli uni dagli altri. Forse soltanto Leif, e soltanto una volta. E Valeska, inseguendo questi pensieri, si ritrovò senza volerlo a sorvolare il mare dei ricordi alla ricerca di quel singolo.
Pioveva a dirotto, oltre le alte colonne di pietra bianchissima. Delle immense rovine, quelle erano le meglio tenute. Cinque colonne perfettamente lisce, di cui soltanto una riportava ancora i segni dell'antico argento splendente sul dorso, sorreggevano quel che rimaneva di un'antica terrazza; il pavimento di questa, però, si levava troppo in alto perché due bambini riuscissero a vederlo davvero bene. Sì, due, perché quel giorno Leif l'aveva accompagnata, desideroso di scoprire cosa dquei resti suscitasse in lei tanta meraviglia da farla tornare sempre lì, ogni volta che fuggiva.
-Torniamo?- propose il bambino, sbirciando l'esterno e ritirando il capo subito dopo: non intendeva bagnarsi completamente.
- Non ancora- rispose lei. Voleva che almeno lui vedesse. Erik e Andreas non avrebbero mai capito e suo padre si sarebbe preoccupato invano, ma Leif... Leif avrebbe forse potuto capire.
Un lampo tremendo squarciò il cielo terreo, facendo impallidire il bambino; subito soggiunse il compagno fedele, che fece tremare la terra e riecheggiò fra le imponenti rovine.
- Andiamo, insomma?- domandò ancora il biondo. Non erano in buoni rapporti, loro due, ma c'era comunque una civile convivenza, quella stessa che pareva impossibile da instaurare con Erik e Andreas. E quel giorno in particolare il bambino pareva intenzionato a mostrarsi amichevole, forse addirittura propeso ad appianare la situazione fra i suoi due amici e la bambina affianco a lui. Non la odiava, non si divertiva a schernirla, ma gli altri insistevano nel dire che non le dava fastidio; anzi, sostenevano che fra loro le cose erano sempre andate così. Leif, infatti, aveva stretto amicizia con i due Vanir quando ormai il rapporto fra loro e Valeska era ormai stato consolidato da lunghi ed irritanti litigi.
- Aspetta...Guarda- a richiamarlo alla realtà fu proprio Valeska, con quel solo grido. Gli indicava un punto preciso dritto davanti a loro, seminascosto dalla pioggia incessante. Eppure, dove lei puntava il dito, non c'era nulla di visibile per lui.
- Valeska... non c'è niente- mormorò il bambino. Valeska. Era la prima volta che la chiamava per nome; di solito, infatti, si limitavano ad un più atono "tu" o un neutrale nulla.
- C'è, ti dico- insistette, continuando a fissare quella statua. Come poteva lui non vederla, così possente e maestosa, lì davanti a loro? Era lì, proprio lì! Perché lui non la vedeva?
- Se è uno scherzo, non è divertente- brontolò Leif, sfregando un braccio. Lei fece scivolare lo sguardo sul biondo, seguendo con lo sguardo i movimenti della sua mano, e per un solo istante i sensi di colpa tornanoro invadenti come qualche tempo prima: aveva notato che quel gesto nervoso, quello sfregare il braccio così insistentemente quasi per accertarsi della sua presenza, era comparso solo dopo che lei stessa gli aveva rotto la spalla, quasi tre mesi prima.
"Se è uno scherzo, non è divertente" aveva detto. Uno scherzo. Loro si divertivano a gicarle tiri mancini, non lei. Loro l'avevano sempre trovato un passatempo divertente, non lei. Loro, loro, loro... Loro si burlavano di lei per intrattenere il tempo... Loro, loro loro. Improvvisamente sentì gli occhi gonfiarsi e il prurito sottopelle farsi sempre più insistente. Che sciocca era stata... fidarsi subito, credere che davvero quel farabutto volesse tenderle una mano di pace... stolta, era stata una stolta.
Si voltò di nuovo verso il bambino, più confuso che mai, con occhi di fuoco.
- Ti stai prendendo gioco di me, non è vero Leif?- l'aveva chiamata per nome per insultarla, per quale altro motivo avrebbe dovuto farlo dopotutto? loro non erano amici, e lei gli avrebbe reso lo scherno. Lui, però, parve non farci stranamente caso e si limitò a scuotere il capo con fare stupito.
- No, che vai a pensare- esclamò, scuotendo di nuovo la testa con ancora più energia - Tu, semmai. Io non vedo nulla, sono sincero. Tu, piuttosto... non mi hai portato qui per vendicarti, giusto?- domandò, portando istintivamente le mani a nascondere le braccia. Valeska dovette trattenere un sorriso divertito, perché poco s'accostava all'espressione irritata, ma non potè fare a meno di constatare che quel bambino aveva una lieve soggezione nei suoi confronti. Eccoli di nuovo, i sensi di colpa. Se ne sarebbero mai andati, lasciandola libera? E pensare che, crescendo, si compiono azioni ben peggiori di quel che aveva commesso lei al tempo, azioni sempre proporzionali alle circostanze e all'indole del singolo. Eppure alla la giovane Vanr quel che aveva fatto pareva una colpa indicibile, un ostacolo insormontabile.
- Davvero non vedi nulla?- Leif la studiò qualche istante: era sincera, o stava soltanto fingendo abilmente? Pareva onesta, ma come saperlo con certezza?
- Nulla- confermò quindi - E tu non ti burli di me?
- No- rispose senza alcuna incertezza. No, non stava mentendo, non poteva essere tanto lesta nell'ingannare qualcuno.
- È un peccato che tu non la veda- asserì a quel punto, tornando a guardare l'alta stata d'argento.
- Me la descrivi?- chiese a quel punto, voltandosi nella stessa direzione che stava osservando la bambina.
- È una statua, un'enorme statua, tutta d'argento- incominciò, cercando di descriverla come meglio poteva - Raffigura una donna, una donna molto bella. Ha tratti dolci, molto delicati, e uno sguardo che trasmette sicurezza, ma allo stesso tempo ha un che di guerriero. Impugna una grande spada, a due mani, e la punta è conficcata nel terreno. Non so perché, ma è visibile solo durante i temporali, dopo il primo lampo. Prima no. E, quando torna il sole, la statua svanisce di nuovo- raccontò. Si voltò di nuovo a guardare il bambino, ma questi non le stava restituendo lo sguardo: lo teneva puntato dritto davanti a sè, quasi potesse realmente vedere quel che lei stava descrivendo. Così, Valeska proseguì - Brilla, come se ci fosse il sole. Penso catturi i fulmini, ma non lo so con precisione. Una volta mi è sembrato di vedere la spada scuotersi, ma non ne sono certa... Non saprei cos'altro dire- mormorò poi. Era strano che qualcuno, che non fosse suo padre, le prestasse tanta attenzione.
- Non capisco- mormorò allora il bambino, dopo essere rimasto a lungo in silenzio a riflettere - Perché tu la vedi e io no?
- Non lo so- ammise lei - Ma ti assicuro che non sto mentendo. Lui annuì soltanto, ma non era convinto, non del tutto almeno, e la bambina sentì una spiacevole sensazione di delusione pervaderla. Forse aveva appena sprecato l'unica possibilità di farselo amico, almeno lui. Rimasero lì, fino a quando la pioggia non smise di scrosciare come da una rupe, in silenzio. Quando il sole tornò a mostrarsi e loro tornarono a casa, però, la statua scomparve di nuovo. Quel giorno, la guerriera diede un possente colpo di spada al suolo, che neppure Valeska seppe udire.
La giovane Vanr si riscosse dai suoi pensieri e, dopo aver fatto scorrere lo sguardo sui tre compagni, si allontanò a passo silenzioso. È superfluo specificare dove si diresse.
C'era il sole, alto in cielo a splendere e a scacciare le nubi, e la statua non poteva esser veduta neppure da lei. Qualcosa, invece, si mostrò al posto suo: una figura ben nota si stava avvicinando dal bosco vicino con passo silenzioso. Solo un'altra persona possedeva quella camminata: Skirnir.
- Avrei dovuto crederti, quel giorno- si annunciò Leif, quando salì i pochi gradini posti alla base dell'antico colonnato.
- Sì. Sì, avresti dovuto.
- Non stavi mentendo, ora lo so- proseguì, deglutendo amaro assieme a quel commento acido.
- E come saresti arrivato a questa... saggia conclusione?- lo schernì. Lui, d'altro canto, era andato lì con l'intento di scusarsi e non intendeva perdere le staffe. Dopotutto, lui non poteva mai perdere le staffe: era l'unico del gruppo a saper rimanere pressoché calmo in ogni situazione, anche durante le peggiori liti. Non poteva di certo perdere la pazienza proprio mentre chiedeva perdono ad un'amica.
- Hai riconosciuto Loki, alla staccionata, mentre noi no. Ora non mi stupisce più la storia di quella statua- spiegò, mentre le labbra di lei si tendevano in un lieve sorriso.
- Come fai a sapere chi era? Io non vi ho detto nulla- eccolo lì, l'indizio rivelatore: Leif portò una mano al braccio, sfregando la pelle abbronzata.
- Vi ho sentiti- ammise quindi.
- Ci hai spiati- lo osservò ancora un istante con gli occhi ridotti a due fessure - Ci avete spiati, tu e Andreas- si corresse e il giovane trasalì: aveva colpito nel segno. Non avrebbe voluto che anche il compagno venisse smascherato, non era quella la sua intenzione.
Infatti, provò a difenderlo, ma con scarsi risultati - Lui non voleva, sono stato io a trascinarlo lì.
Valeska, però, scosse il capo e non disse nulla: dopotutto, aveva da tempo imparato a riconoscere quelle minuscole dimostrazioni d'amicizia nel comportamento del buondo: quando viaggiavano tutti assieme, ogni tanto le si affiancata e iniziava una conversazione, per assicurarsi che fosse tutto in ordine; a volte la raggiungeva alle rovine e restava lì, in silenzio, finché lei non decideva di parlare o lui stesso si decideva a dire qualche cosa; quando, invece, fiutava il pericolo e temeva che l'amica potesse essere nei guai, si metteva a cercarla come un cane fedele, senza dare troppo nell'occhio, per sparire di nuovo non visto dopo essersi accertato che stesse bene. Quindi, Valeska non si sorprese più di tanto. Quel che la stupì fu, ancora una volta, la sincera lealtà del giovane: avrebbe potuto facilmente rinnegare sè stesso, se facendolo avesse potuto essere d'un qualche aiuto ad un amico. "Ancora una volta" perché non sarebbe stata la prima volta che Leif si ritrovava a difendere Andreas o Erik o la stessa Valeska, anche a costo di finire in guai seri. Come quella volta che aveva sostenuto la strampalata scusa di Erik, che quest'ultimo aveva inventato sul momento per giustificare la sua orribile serenata (cantata alla finestra sbagliata, per giunta), quando Skirnir si era presentato sulla soglia di casa con le braccia incrociate e l'espressione battagliera di chi vuole difendere la figlia da qualsiasi possibile scherno. Leif, quel giorno, aveva sostenuto senza alcuna protesta le fandonie inventate dall'amico, in cui tra l'altro compariva lui stesso come protagonista: a quanto pareva, nella versione fornita all'esasperato messaggero, il biondo era follemente innamorato di Valeska e aveva chiesto ad Erik di dedicarle una canzone, perché riconosceva che le doti canore di questo erano di molto superiori alle sue. Fandonia completa, considerato che la voce di Leif era una delle più piacevoli da scoltare su tutta Vanaheim, mentre quella di Erik una delle peggiori. Eppure, non aveva esistato ad appoggiarlo, guadagnando un sonoro scapaccione, un rimporvero ed uno sguardo glaciale. Ora, per non far fare la figura dello stolto a Skirnir, vorrei specificare qualcosa di cui soltanto Valeska s'era accorta: il padre aveva intuito quale fosse la verità, ma non aveva detto nulla per poter vedere con i suoi stessi occhi cos'avrebbero inventato i due per difendersi.
- Mi stai ascoltando o sto parlando da solo da circa dieci minuti?- domandò ad un tratto Leif, riscuotendola dai suoi pensieri.
- Ascoltavo, tranquillo- lo rassicurò. Frottole, non aveva sentito neppure una parola. E lo sguardo dell'amico parve invitarla a provare la sua sincerità, così si ritrovò a sbuffare e a tentare la sorte con una qualche risposta verosimile - Ti stavi scusando, cercavi di difendere Andreas e infine ai iniziato a farmi una psicoanalisi completa.
Il giovane sorrise, poi scoppiò definitivamente a ridere e scosse il capo - No. Fino ad Andreas hai ascoltato, ma gli ultimi dieci minuti mi hai ignorato completamente.
- E sentiamo, cos'hai detto?
- Assolutamente nulla- e a quel punto il solito braccio si scontrò, non per sua volontà, contro le nocche cariche della Vanr.
- Ovviamente- brontolò, massaggiando l'arto offeso e osservando di sbieco l'amica. Questa, dal canto suo, si concedette una risata sincera, di quelle libere e ampie che di solito udiva soltanto suo padre. Leif le restituì un ampio sorriso, tremendamente familiare: era identico a quello del messaggero. Il dubbio che l'amico fosse figlio di Skirnir si insinuò di nuovo nella mente di Valeska, ma quest'ultima fu lesta a scacciarla: non voleva complicare inutilmente la situazione, già precaria, fra il biondo e la sua famiglia. Così, si limitò a voltarsi e continuare a guardare di fronte a sè, senza dire nulla, beandosi del contatto caldo del sole sulla pelle.

Le rovine di Vanaheim - ValeskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora