Cinquantasei.

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Respirava male, la testa girava leggera per la mancanza d'ossigeno e l'adrenalina, mista alla nitroglicerina, gli scorreva rapida nel sangue.
Katsuki si era buttato a terra, gocce di sudore bollente cadevano sul pavimento freddo mentre le mani e le braccia lo sorreggievano a stento; la maglia che indossava gli si era appiccicata alla schiena, il sudore sapeva di nitroglicerina e bruciato. Solo di quello.
Il cuore batteva piano, troppo piano per quanto veloce respirava e c'era qualcosa che non tornava, oltre a quell'improvviso dolore c'era una cosa che mancava.
Dov'era il gelsomino? Dov'era finita quella nota dolce che non lo lasciava da mesi?

Gli occhi rossi si posarono sullo schermo accesso del pc di Kirishima, il quale osservava il biondo con una faccia sconvolta da sopra lo schienale del divano.

> Che ti succede?! Che hai?

Ma Bakugō non rispose, era troppo concentrato a guardare Deku: i loro movimenti erano simili, le loro espressioni erano uguali, anche se non poteva dirlo con certezza.
Poi Katsuki si alzò di scatto e rovesciò il divano per avvicinarsi al rosso e liberare il suo odore; ma non dovette nemmeno chiedere a Capelli di Merda se ci fosse qualcosa di strano, perché il gelsomino non usciva, c'era solo caramello e bruciato.

> È sparito. Ha rimosso il marchio. Devo andare.

Il biondo stava già girando i tacchi per andare alla porta, ma la mano del rosso si arpionò al suo gomito.

> Cosa? No, non puoi- Cosa vuol dire sparito? Il marchio è permanente...

Ma negli occhi di Katsuki non c'era nulla, non c'era nemmeno rabbia, c'era solo il desiderio di riprendersi ciò che era suo.
Kirishima lasciò il gomito e si afflosciò sul divano. Com'era possibile che quel tizio avesse rimosso qualcosa di così...
Come si poteva recidere un legame senza che uno dei due morisse?

> È impossibile, non può essere... Sei certo, assolutamente sicuro di quello che dici?
> Sicuro come il mio cazzo di nome.
> Ma come-
> CON IL SUO QUIRK DI MERDA!! Oppure con quello della ragazzina! Cazzo, devo andare. Non posso lasciarlo lì da solo.

Il biondo partì verso la porta, prese al volo un paio di chiavi fra il mucchio e andò al garage del rosso. Salì sulla moto giusta e accese il motore.
Correva fra la pioggia come un dannato, noncurante dei semafori rossi o delle precedenze, non aveva tempo da perdere e doveva fare una tappa prima di raggiungere l'omega: l'agenzia di Best Jeansit, dove il suo costume lo stava aspettando.

Sfondò la porta a vetri con la moto, la parcheggiò alla cazzo in mezzo alla hall e si diresse correndo verso gli spogliatoi. Si levò in fretta i suoi vestiti e indosso la divisa da eroe, inutilizzata da mesi, probabilmente da sistemare, e mise i guantoni che presero subito a caricare il sudore che aveva nelle mani, caricando in meno di un minuto uno dei suoi colpi più potenti. Legò gli anfibi e tornò di volata alla motocicletta, la sollevò e ci salì sopra di slancio partendo a tutto gas verso la sua destinazione.
Qualcosa lo premeva perché facesse il più veloce possibile; qualche strana sensazione gli stava dicendo che il padre di suo figlio era in un pericolo inimmaginabile. Le parole di Eri gli tornarono alla mente e lui girò la manopola dell' acceleratore:

> Lo obbligherà ad essere il suo omega.

Ora che Midoriya non era più marchiato quello stronzo di Chisaki avrebbe potuto averlo; quel bastardo avrebbe potuto marchaiarlo.
I denti digrignarono sopra il vento che gli fischiava nelle orecchie, la scia di feromoni predatori era spessa dietro di lui e tutto il suo addestramento, su come essere un eroe alpha che non si faceva notare, fu mandato a puttane in quei cinque minuti di tragitto.
Quando vide in lontananza il lampione con la panchina, gli eroi avevano già fatto il loro ingresso sulla scena, ma il rombo della moto fece voltare tutte le teste e fermare l'inizio di quella battaglia.

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