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Un gran casino proveniente dal corridoio di casa mia mi costringe ad aprire le palpebre prima ancora che il mio corpo sia pronto.
L'orologio segna le 6:55 del mattino. Mi schiaccio il cuscino sulle orecchie ma non provo sollievo, la musica ad alto volume di Nicolas proveniente dal bagno si sente lo stesso.
Scendo di scatto dal mio letto rosa pastello e vado a sbattere i palmi sulla porta dalla quale proviene il rumore.
"Nicolas abbassa questa musica di merda è ancora l'alba" grido per farmi sentire
Subito scatta la serratura e mio fratello esce dal bagno a petto nudo con un asciugamano in vita.
"Stai zitta non capisci niente di musica" replica superandomi e si dirige in camera sua.
"Mi dici dove vai a quest'ora?" Incrocio le braccia e mi poggio sullo stipite della sua porta.
"Alla mia nuova università francese. E tu cosa farai nel tuo tempo qui, sfigata?" Mi punzecchia.
Ho lasciato il mio bel lavoro da impiegata in un agenzia viaggi e ora mi trovo disoccupata in una nazione in cui so dire 3 parole in croce nella loro lingua.
"Mi troverò un lavoro" rispondo burbera e lui ridacchia.
Torno in camera mia decisa, prendo l'intimo, i vestiti e mi chiudo in bagno.
"Cazzo, non potevi continuare a dormire?" Impreca mio fratello fuori alla porta.
Mi faccio una breve doccia, indosso un jeans nero e una felpa extra large arancione di Nicolas, dopo un po di trucco e una spazzolata ai capelli, afferrò la mia borsa e mi dirigo all'ingresso, facendo silenzio appena supero la porta della stanza di mamma e papà.
Appena esco sotto al cielo cupo di Parigi, imposto il navigatore sul telefono per poter arrivare sul viale degli Champs Elysees, magari vedere uno dei luoghi principali della città mi farà cambiare idea su di essa.
Impreco sottovoce quando una scheggia di schermo rotto si conficca nel dito e immediatamente la mia mente torna al giorno prima....che figuraccia! Spero proprio di non vederlo mai più.
*****
La vista della Tour Eiffel mi lascia senza fiato. Odio ammetterlo ma è veramente bella come si dice.
Entro in tutti i negozi circostanti per lasciare il mio curriculum e nelle boutique più "prestigiose" mi liquidano con un cenno della mano....che altezzosi questi francesi.
Dopo varie ore di sguardi snob e risatine sul mio pessimo accento, decido di fermarmi a pranzare in un fast food.
Inizio ad ordinare sullo schermo digitale il mio menù, ma quando vado alla cassa per pagare ,i dipendenti sono impegnati in una discussione molto animata.
Non capisco un granché, tranne alcuni manager che gesticolano e alzano il tono della voce contro 5/6 ragazzi dicendo qualcosa del tipo "non avete voglia di lavorare!" e "dovete venirci in contro".
Ne approfitto di quella situazione per chiedere se hanno bisogno di personale.
"S-scusate..." Inizio nella loro lingua schiarendomi la voce.
"Un attimo e le prendo il pagamento" dice una ragazza con una coda corta e bionda messa in malo modo sotto il capello
"Io veramente vorrei chiedere se accettate curriculum" continuo al di sopra del loro baccano.
Improvvisamente si fermano tutti a guardarmi e due manager si avvicinano con un sorriso luminoso.
"Certo siamo proprio in cerca, se vuole lasciarmi un recapito telefonico, le invio per messaggio i suoi nuovi orari di lavoro, inizia domani." Dice contento uno dei due.
Rimango sbigottita.
"Domani?" Chiedo in un sussurro.
"Esatto si presenti qui alle 7 in punto" risponde.
"Ma non abbiamo fatto neanche un colloquio" dico esterrefatta.
"L'abbiamo appena terminato, buona giornata" risponde il ragazzo girando sui tacchi.
Esco da quel posto più confusa che mai e decido di tornare a casa.

Si è fatto buio e io sono ancora a girovagare per le strade della città. Mi sono persa. Il telefono si è spento improvvisamente forse a causa di quella bella botta ha iniziato a dare i numeri. Sono diverse ore che cammino ma ogni volta che mi sembra di aver trovato la mia strada, mi ritrovo in un altro posto. Ho già visto il famoso "ponte degli innamorati", la cattedrale di Notre Dame e il fiume Senna in tutta la sua lunghezza. Non so cosa fare, sono nel panico completo. I miei genitori saranno in pensiero e se mai riuscirò a tornare a casa, Nicolas mi strapperà tutti i capelli.
Svolto in una strada solo perché mi sembra parecchio illuminata, dato che sto evitando le strade buie, e continuo a percorrerla fin quando sulla destra non appare un enorme Villa super appariscente,bianca con rifiniture in oro. Il giardino perfettamente curato è recitanto da un cancello dorato con una enorme G stampata sopra.
Un uomo basso e tarchiato senza capelli sta in piedi avanti alla porta di entrata, con le mani dietro la schiena e un completo decisamente elegante.
"Mi scusi!" Lo chiamo ad alta voce, dato che ci troviamo ad almeno 100 metri di distanza.
"Io sto cercando la Rue de la Roquette" continuo a chiedere. Il mio quartiere, nonostante tutto, dovrebbe essere uno dei più conosciuti grazie alla storia che lo lega.
"Ei mi sente?!" esclamo al limite della pazienza mentre lui non mi degna di uno sguardo e continua a rimanere lì statuario.
"Stronzo" esclamo mentre mi sto per incamminare nuovamente.
"È una tua abitudine insultare tutti per strada?"
Una voce profonda stranamente familiare mi fa voltare di scatto e lì a pochi metri da me trovo l'ultima disgrazia della mia giornata. Il ragazzo contro cui mi sono imbattuta ieri mattina, a cui ho dato del cazzone pensando non mi capisse.
Porta uno zaino sulle spalle ed è vestito complementamente di nero, dalla felpa ai jeans. I capelli biondi sono scompigliati come la prima volta che lho visto, e i suoi occhioni verdi hanno sfumature più scure con la semplice luce dei lampioni. Se ne sta difronte a me con un ghigno a metà labbra ed io mi chiedo perché debbano capitare tutte a me.
"Non è colpa mia se in questa città sono tutti così altezzosi, con la puzza sotto al naso, arroganti...." Inizio la serie di insulti contandoli sulle dita delle mani.
"Non sono molto aperti agli stranieri...." risponde lui a voce non troppo alta, squadrandomi dalla testa ai piedi.
"Cerchi la Rue de la Roquette? Io so dov'è se vuoi ti ci accompagno..." continua lui.
"Certo...ti aspetti veramente che mi metta in macchina con uno sconosciuto" dico incrociando le braccia e assottiliando le palpebre.
"Perfetto allora andiamo a piedi" esclama lui avviandosi sul marciapiedi e lasciandomi indietro con espressione da ebete.
"Allora vieni? O se preferisci puoi dormire insieme ad Antón" fa segno con il pollice un barbone sulla panchina, vestito di buste dell'immondizia, la cui puzza arriva fino a qui.
Accelero il passo e mi affianco allo sconosciuto che, nonostante abbia trattato male, mi sta aiutando.
"Come ti chiami?" Chiedo guardandolo da sotto la sua spalla.
"Alexander Gareste" risponde lui con uno strano sorrisino.
"Io sono Marianna Russo"
"Sei italiana?" Mi chiede.
"Si...sono nata a Venezia. Deduco che anche tu lo sia dato che parli perfettamente italiano" gli dico.
"Mamma italiana e papà francese. Hanno insistito affinché imparassi entrambe le lingue, ma non sono mai stato nel tuo paese. Non sono mai neanche uscito da Parigi veramente...." Dice rabbuiandosi.
"Oh beh....senza offesa ma l'italia è molto meglio. Sono tutti cordiali ed ospitali, non ti fanno sentire "lo straniero"." Dico Mimando le virgolette in aria.
"Questo posto è pieno di arroganti invece. Come quella specie di buttafuori con cui stavo cercando di parlare prima. Non mi ha neanche guardata e poi che razza di villa sgargiante, sicuramente ci vivono degli stronzi super arroganti"Continuo io con la fronte corrucciata .
"Ah si?" Mi domanda e sembra che sia sul punto di scoppiare a ridere.
"Si" ribatto ferma.
Lo guardo di profilo mentre camminiamo e non posso fare a meno di notare quanto sia carino. Il naso dritto, le labbra rosee non troppo sottili e il fisico alto e scolpito. Mantiene una spallina dello zaino con la mano piena di vene gonfie in rilievo e leggermente arrossate per il freddo.
"Ecco siamo arrivati. Questo è esattamente il marciapiede dove mi hai dato dal cazzone" mi dice con un risolino e io muoio di imbarazzo.
Mi stringo di più nella felpa fingendo che sia per il freddo e non per la figuraccia fatta che mi fa arrossire al pensiero.
"Ecco io....grazie...sei stato molto gentile. Forse non sei un cazzone" balbetto con un sorriso nervoso e guardo ovunque tranne che nella sua direzione.
"Grazie per il forse" continua ridendo della mia faccia rossa.
Ad un tratto qualcuno mi strattona la manica della felpa facendomi voltare in malo modo e Alexander si mette immediatamente in mezzo.

Anima contro animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora