Prologo

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Ansia. Una sola parola, ma l'unica adatta in questo momento.
Mi alzo, trascinando il mio peso fino il bagno e guardandomi allo specchio, i capelli arruffati a causa dell'umidità, gli occhi lucidi a causa del sonno e ancora la forma del cuscino stampata sulla guancia destra; sbuffo, e mi precipito in doccia.
Dopo essermi rinfrescata e acconciata i capelli, mi trucco per bene e mi vesto.

Erano mesi che mi preparavo per questo,
il mio primo giorno come assessora comunale per i servizi sociali. Doveva essere tutto impeccabile, avevo programmato la mia giornata nei minimi dettagli, infatti sono in perfetto orario, pronta per tutto quello che questa giornata ha da offrire.

Era stato così difficile ottenere questo lavoro che non avrei permesso a niente e nessuno di sottrarmelo, mi era costato anni di studio, sacrifici, lavori precari e infine, la parte più importante, conoscere le persone giuste.

In un ambiente del genere è fondamentale conoscere le persone giuste, entrare nel mondo della politica è come gettersi in una tana di lupi; nessuno gioirà dei tuoi successi, nessuno ti darà consigli e nessuno sarà mai veramente tuo amico, la gelosia corrode gli animi di queste persone, le divora a tal punto da gioire delle sconfitte altrui. Il tutto è mosso dalla smania di potere, dal denaro, il lusso, la vita spericolata.

Non è stato facile per me integrarmi tra questa gente, sono cresciuta in una famiglia normale, con dei genitori che hanno ottenuto tutto con tanti sacrifici, senza far del male a nessuno, e privandosi di qualsiasi cosa per me.

Questa gente è diversa, inebriata dal profumo della vita lussuosa, ricchi di vizi e incuranti del futuro perché non hanno mai dovuto preoccuparsene.

Il vento fresco mi sfiora i capelli, l'autunno è la mia stagione preferita in assoluto, i colori e i profumi sono così belli che mi incantano ogni volta.

Stringo la cinta del trench e salgo in macchina, allaccio la cintura di sicurezza e mi dirigo spedita verso il comune.

Non riesco a frenare l'emozione e la mia mente vaga immaginando il mio ufficio, i casi in cui dovrò cimentarmi, le pratiche da svolgere, i colleghi...

Parcheggio la macchina, in modo maldestro, i parcheggi non sono mai stati la mia specialità e non mi sono mai impegnata affinché lo diventassero.

Mi avvio verso il grande portone, sorridendo a chiunque incontrassi e salutando con un buongiorno.
Catturo diversi sguardi, il tutto oscilla fra occhiate curiose, sguardi ironici e sguardi invidiosi.

"Buongiorno Natalie" la sua mano si protrae verso la mia, che stringo con grande sicurezza e in contemporanea sfoggio uno dei miei migliori sorrisi "sono contento di vederti, ti accompagno nel tuo ufficio così ti spiego un po' di cose" lo ringrazio e lo seguo per il lungo corridoio, l'abito scuro lo fascia alla perfezione e nonostante la sua figura bassa e rotonda risulta comunque un uomo elegante, i capelli grigi tirati indietro con del gel, la montatura spessa leggermente scesa sul naso, le labbra sottili che accoglievano le parole sicure che uscivano dalla sua bocca; tutto in lui trasudava sicurezza e cordialità, Leonard Cohen, almeno in apparenza era perfetto nel suo ruolo da sindaco.

Mentre mi spiegava alcune nozioni generali, di tanto in tanto mi illustrava le posizione degli uffici che superavamo e mi presentava diversi colleghi.
Arrivati dinanzi all'ennesima porta scura, i miei occhi vennero catturati dalla targhetta d'oro su di essa, che lampeggiava sotto le flebili luci che trapelavano dalle finestre.

Apre la porta con un gesto repentino e la scrivania scura piena di cartelle e documenti è la prima cosa che noto.

È un ufficio spazioso, con una grande finestra al centro della stanza che illumina l'ambiente, nonostante ciò, le sedie scure, la scrivania e il grande armadietto pieno di cartelle rendono l'ambiente più cupo.

In un batter d'occhio mi ritrovo da sola in quello che potevo finalmente chiamare il mio ufficio, l'avevo bramato così tanto questo posto che quasi non mi sembrava vero.

Era da almeno 2 anni, ossia dal mio tirocinio qui, che invidiavo chiunque fosse seduto dietro queste scrivanie.
La verità è che io ho sempre e solo criticato chiunque facesse parte di questo mondo, ma in realtà sarebbe piaciuto anche a me vivere in tutto quel lusso, abiti firmati, cene in ristoranti stellati, autisti, ville con piscine e tanti tanti soldi; e quella scrivania, rappresenta un po' l'inizio di quel sogno ad occhi aperti che ho sempre bramato.

Accendo il computer e svolgo tutte le mansioni che mi sono state commissionate, il via vai di gente è incredibile, e il tutto sembra scorrere così lentamente che non mi capacito di come il tutto fosse possibile.

Un bussare insistente interrompe i miei pensieri, sono pronta a gridare un "Avanti", ma neppure il tempo di terminare la parola che la porta è già spalancata.

"Conrad non hai idea di chi mi sia fatto nel bagno" spalanco gli occhi e un'espressione disgustata mi si dipinge sul volto.

"Hai sbagliato ufficio" mormoro con tono sarcastico, nascondendo il mio fastidio

"E tu scrivania, le segreterie o stagiste non sono autorizzate a stare qui"
apro leggermente la bocca indignata e  alzo un sopracciglio
"Come mi scusi?" Spero davvero di aver sentito male a questo punto

"Sei sorda? Devi uscire da qui, non è un posto per una come te".

Una come me? È così evidente che non appartengo a questo mondo o è lui che è semplicemente uno stronzo?

Nonostante devo ammettere che le sue parole mi hanno ferita nell'orgoglio, sento le guance infiammarsi e un calore irradiarsi nel mio corpo.

"Ma con chi crede di parlare eh? Come prima cosa usi un linguaggio consono al luogo in cui si trova e poi non mi manchi più di rispetto in questo modo, ed ora esca dal mio ufficio"
Mi congratulo con me stessa mentalmente per la freddezza utilizzata, che in parte stupisce anche me stessa, in quanto in questo momento ero così arrabbiata che avrei potuto rispondere molto peggio.

In tutta risposta?

Una grassa risata e un cipiglio sul volto di questo uomo "Stai calma furia, non sia mai ti venisse una ruga" chiude la porta alle sue spalle ancora ridendo, facendo la sua grande uscita di scena e lasciando me, completamente allibita.

E questo chi sarebbe?

Nonostante tutto, mi ripeto che è il mio primo giorno e non devo permettere a nessuno di rovinarlo, quindi prendo un bel respiro profondo e cerco di non farmi toccare dalla cosa e di riprendere con il mio lavoro viste le quantità dei fascicoli da esaminare.

In realtà il tempo a mia disposizione era poco, perché generalmente la giornata lavorativa termina allora di pranzo, sono pochi i giorni in cui è necessario restare anche il pomeriggio.

Al termine quindi delle ore odierne chiudo le cartelle che ho utilizzato e le dispongo in ordine alfabetico nell'armadietto a mia disposizione, spengo il computer e mi stringo il trench in vita chiudendo a chiave la grande porta scura.

Prima di andar via, saluto Anna, la signora all'ufficio anagrafe situato difronte al mio, e ancora Lucas che da quello che ho capito è uno stagista.

Percorro la lunga navata che mi porta al grosso portone ammirando quello che, si spera per un lungo periodo, dovrebbe essere la mia "seconda casa".

Salgo nuovamente in macchina, ripercorrendo la stessa identica strada che quella mattina mi aveva accompagnato a quello che non sapevo che sarebbe diventato il mio futuro per sempre.

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