8- L'inizio dei giochi.

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Mi svegliai frastornata, la testa mi faceva male e i miei occhi erano ancora socchiusi.
«Buongiorno biondina» Ridacchiò, portandosi una mano alla bocca.

Lo guardai ad occhi socchiusi a due piccole fessure: «Faccio così ridere appena sveglia?» Domandai, mantenendo il mio sguardo fisso sui suoi occhi color nocciola.
Mi sorrise senza dire nulla, tolse il suo braccio dalle mie spalle e si alzò dal letto dove poco prima era poggiato; dal comodino prese il suo pacchetto di Marlboro e il suo solito accendino raffigurante delle fiamme. Estrasse la sigaretta con i denti, come era solito fare, si avvicinò sempre di più al balcone della stanza e in un batter d'occhio si trovò fuori ad osservare il paesaggio di Wall Street
Lo guardai attentamente, stava cercando di accendere l'accendino, con scarsi risultati a causa del vento.
Accennai un piccolo sorriso e poi mi alzai dal letto per andare di fianco a lui, varcai la soglia del balcone e mi appoggiai alla ringhiera.

«C'è troppo vento» Portai una mano alla bocca per camuffare la risata isterica che stava uscendo dalla mia bocca.

Marcus alzò gli occhi dall'accendino, guardandomi con uno sguardo assassino«Questo non mi impedirà di fumare, se io voglio fumare adesso, lo faccio» Sputò acido.
Mi avvicinai di poco a lui, trovandoci a pochi centimetri di distanza.

«Che cosa fai?» Domandò serio.

«Voglio aiutarti, Marcus» Sorrisi lievemente.
Presi la sigaretta che era tra le sue labbra, con gli occhi mi guardava attentamente, soprattutto le labbra, che sembrava volere con desiderio.
Presi anche l'accendino e sentii due grandi mani avvolgermi i fianchi; il suo sguardo era passato dalle labbra ai miei occhi azzurri.
Alzai lo sguardo e socchiusi le labbra, e lui sospirò, come se volesse dire qualcosa.
Portai l'accendino vicino alla sigaretta, e feci fatica anche io ad accenderlo, nel frattempo le due grandi mani strinsero i fianchi con più forza, portandomi a sbattere contro il muro.
Sgranai gli occhi ma senza farci caso provai nuovamente ad accendere l'accendino.

«Oh, ecco qua, ci sono riuscita!» Esclamai, accendendogli la sigaretta.
Marcus me la prese dalle mani sorridendomi: «Vuoi fare un tiro?» Domandò.

«Oh no grazie, io non fumo.»Portai le mani in avanti per non sentire l'odore del fumo.

«Come mai?» Chiese.

Che cos'è questo, un interrogatorio?!

Sospirai.«Semplicemente per il fatto che non mi piace, mi dà fastidio l'odore del fumo» Portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e incrociai le braccia al petto.
Marcus mi si avvicinò pericolosamente a me, portò la sigaretta alla bocca e buttò fuori il fumo sulla mia faccia.
Cominciai a tossire e a cercare di allontanarmi «Marcus, ma che diamine!» Esclamai.
Il ragazzo di fronte a me ridacchiò, dopo avermi guardata profondamente negli occhi si girò e appoggiò i gomiti alla ringhiera.
Ci furono attimi di silenzio che sembravano interminabili, così decisi di prendere la situazione in mano.
«Tu invece? Perché fumi?»Domandai.
Lo vidi serrare la mascella e sbattere le mani sulla ringhiera di ferro.
«È complicato, Chloe.» Si limitò a dire questo.

«Posso saperlo?» Domandai nuovamente.

«No Chloe! Se ti ho detto di no è perché devi starne fuori, cazzo!» Buttò la sigaretta per terra e la spense con la suola della scarpa, entrando in camera.

Entrai anche io, presi i vestiti e andai in bagno.
Indossai una camicia a maniche lunghe bianca, con lo stemma della nostra scuola, misi una gonna bordeaux, misi i calzini e indossai delle semplici sneakers bianche.
Mi truccai leggermente: un po' di blush, illuminante e come tocco finale il mascara.
Spazzolai i miei capelli biondi e li sistemai davanti alle spalle; al polso misi un elastico che riprendeva il colore della gonna tempestato di strass, in caso avessi avuto caldo.
Uscii dal bagno e vidi Marcus intento a mettersi la giacca, chiusi la porta del bagno e percepii il suo sguardo fisso su di me, che io feci il possibile per evitare.

«Oggi dobbiamo iniziare il nostro compito» Rispose lui, serio.
Non feci altro che annuire con il capo sorridendogli lievemente.
Mi sedetti sul letto prendendo parola: «Da dove cominciamo?»

«Per portarlo al termine dobbiamo individuarlo, prenderlo e ucciderlo.» Rispose Marcus.

«Che risposta ovvia, Marcus. Come facciamo per trovarlo?» Battei le mani sulle cosce.

Marcus ridacchiò:«Andando a casa sua, piccola biondina»

Sgranai gli occhi, «A c-casa sua?! Ma sei impazzito?!» Dissi alzandomi frettolosamente dal letto.

«E come vorresti trovarlo, biondina?» Sorrise lievemente lui.

«Smettila di chiamarmi così! E poi di certo non andando a casa sua!» Esclamai.
Roteando gli occhi al cielo, Marcus mi prese la mano e iniziò a trascinarmi fuori dalla camera d'hotel, fino a ritrovarci fuori dall'edificio.

«Riesco benissimo a camminare da sola.» Dissi io, strattonando la mano con fare prepotente.

«Bene, allora cammina.» Disse Marcus, incrociando le braccia al petto aspettando che io mi muovessi.
Roteando gli occhi iniziai a camminare, Marcus mi seguì a ruota e dopo poco ci ritrovammo intenti a cercare casa di Duval.

«Ma dove potrebbe essere!»Risposi infastidita: «C'è odore di fogna!»

«Taci Chloe»Ribatté Marcus.
«Numero 15, Wall Street...» Pensò il ricciolo.

«Siamo al numero 36, ci siamo spinti troppo oltre...» Dissi portandomi le mani nei capelli.
«Non riusciremo mai a completare il compito.»

«Calma, dobbiamo solamente tornare indietro.» Mi rassicurò Marcus, riprendendo a camminare.
Lo seguii passo per passo, non avrei mai voluto ritrovarmi da sola in un vicoletto buio, con chissà quali pericoli.

«25...Ci stiamo avvicinando»

Camminammo per altri minuti, che sembravano interminabili fino a quando...

«15! Chloe, il numero 15!» Esultò Marcus.
Sorrisi falsamente, mentre ero intenta ad osservare il ragazzo che stava aprendo la porta di quella maledetta casa.

«Credo di...Di avercela quasi fatta!»

Dio, che quella porta non si apra.

Sentii il rumore della porta sbloccarsi, segni che Marcus era riuscito nel suo obiettivo.
Cazzo.
Salimmo le scale che si trovavano oltre la porta, fino a quando non arrivammo in un salotto, se così si può chiamare.
Il divano era stato messo sottosopra, la televisione era accesa e al centro della stanza c'era un tavolino, con sopra dello champagne e due bicchieri.
«Marcus, credo sia meglio andarcene» Risposi io.
La casa era spenta: le pareti erano state dipinte di un giallo, con toni del grigio e i mobili erano tutti sui toni del nero.

«Ma che bella sorpresa»

Una voce parlò alle nostre spalle, con fare sarcastico.
Io e Marcus ci girammo all'unisono e la figura che si palesò davanti a noi era proprio lui.

Michel Duval.

«Avrei voluto aspettare un altro po' per uccidervi, ma vedo che mi state servendo l'opportunità proprio ora, su un piatto d'argento.» Sorrise malignamente.

Guardai Marcus, come per dire: "Cosa facciamo?" ma non ottenni nessuna risposta.

L'uomo si avvicinò a Marcus, prendendolo per il colletto della camicia, «Vedo che non ti è bastato ciò che ci siamo detti ieri, vero?» Lasciò la sua camicia facendolo cadere bruscamente a terra.

«E in quanto a te, riesci solo a fare la puttanella in giro, non è così?» Sgranai gli occhi.

E dopo pochi minuti, sentii un male atroce alla testa e alle gambe, e dopo il buio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 23, 2023 ⏰

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Unexpected | A Marcus Lopez Fanfiction Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora