Nickolas

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Nickolas è mio fratello, o meglio, fratellastro. Andavo in seconda elementare quando è entrato a far parte della famiglia, allora composta solo da me e mio padre. Carlo lo adottò durante uno dei suoi innumerevoli viaggi di lavoro, in quel periodo soggiornava in Scozia. La sera del suo rientro era fredda, la pioggia era battente ed io, piccola bambina allegra e con gli occhi rossi ancora luccicanti, correvo energicamente per salutare il mio papà. Quella bambina non si sarebbe mai aspettata che quella sera, suo padre, sarebbe tornato in compagnia; portava in braccio il suo nuovo compagno di giochi: Nickolas. Il bimbo dalla pelle chiara e dai capelli rossissimi era il figlio di un noto duca scozzese, ma non suo figlio legittimo. Infatti era il frutto dell'unione del duca ed una delle sue serve; in seguito anche Nickolas, per i suoi primi otto anni, divenne un inserviente di corte, come sua madre. Quel giorno, fortunatamente, mio padre arrivò in soccorso, dopo aver concluso un affare con il duca.
«Mi raccomando piccola mia, comportati bene con il tuo nuovo fratellino. Abitava in un posto brutto e non veniva trattato molto bene.» mi ripeteva sempre Carlo, me lo ripeteva quasi sempre, quasi incessantemente. Era un bambino molto spaesato, alla sola visione della piccola Diana il suo viso pallido riprendeva colore, un rossore anormale. Contemporaneamente il bambino però, manteneva un atteggiamento ostile con la piccola principessa fino al raggiungimento della pubertà.

All'inizio io e Nick non eravamo molto amici, passava la maggior parte del tempo nascosto dietro le gambe di mio padre. Quando Carlo ripartiva per lavoro, il bimbetto passava pomeriggi interi sui libri di scuola nelle sue stanze, non facendosi mai trovare. Passava tantissimo tempo sui libri di terza elementare, cercando di imparare bene l'italiano, perchè non lo conosceva una sola parola di esso, ma non conosceva bene neanche l'inglese. Quante volte, da piccola, preferivo ammirarlo da lontano, nella sua riservatezza. Neanche lo guardavo, sentivo solo le sue pronunce sbagliate mentre tentava di imparare l'italiano con il nostro maestro privato; lui nelle sue stanze ed io fuori la porta, seduta sul pavimento con un cuscino per mantenermi comoda.

Una volta, incuriosita dalla sua misteriosa riservatezza, decisi di affrontarlo e attraversare le sue stanze. Ero annoiata a morte e avevo voglia di giocare. Quel giorno mi feci coraggio e bussai alla sua camera da letto, ci mise un po' ad aprire.
«Cosa vuoi?» mi disse in tono quasi annoiato, non ebbi neanche il tempo di scorgere il suo visino.
«Cosa fai? Vorrei giocare con te» nonostante i suoi toni, così infantili ma anche abbastanza sgarbati, decisi comunque di mantenere un atteggiamento quieto e angelico, da brava bambina paffuta quale ero.
«Vai via, io studiavo, no.. Io... Io-io studio» ribatté cercando di parlare correttamente la nostra lingua. Subito dopo mi sbatté la grande porta della sua stanza in faccia. È stato il primo e ultimo tentativo di approccio con Nick, infatti da quel momento in poi cercava costantemente di aggirarmi, di evitarmi come la peste, peggio di come accadeva in precedenza. Quel giorno trascorse normalmente, quell'episodio spiacevole non mi aveva minimamente toccata, perchè non riuscivo mai a capire i suoi singolari comportamenti. Così, come nel resto della mia infanzia, ho passato quel pomeriggio completamente da sola, a giocare con la mia casetta in miniatura stracolma di bambole rosa.

I suoi atteggiamenti mutarono completamente quando Morgana, in compagnia delle sue splendide figlie, entrò a far parte della nostra famiglia. Da quel momento in poi la nostra quotidianità era costituita da umiliazioni, dispetti e angherie di quella strega, io purtroppo non riuscivo a reagire, rimanevo passiva dinanzi ai suoi comportamenti. Nickolas iniziò ad uscire sempre di più, a stare sempre più lontano da palazzo, l'atmosfera casalinga divento asfissiante e la vita quotidiana, tranquilla e serena, scomparve nel nulla; come dargli torto? Usciva per giorni interi, a volte restava fuori anche tutta la notte. Quando rientrava (se rientrava), lo si poteva ritrovare sempre in pessime condizioni: ubriaco, sudicio, a volte aveva gli occhi rossissimi; l'unica cosa che lo accompagnavano sempre erano le occhiaie. Quando tornava cercava vanamente di non fare troppo chiasso, ma l'unica che non riusciva a schivare ero io. Restavo sveglia finchè non sentivo la porta di servizio scricchiolare, quella che portava al secondo piano, quella che portava direttamente davanti camera mia, di lì potevo vedere chiunque vi passasse. Era consapevole del fatto che potessi benissimo vederlo, di quanto fossi amareggiata dai suoi comportamenti durante il mio periodo di "ragazzina innocente affetta da sindrome di Crocerossina"; a lui non importava, semplicemente passava davanti a me, con le sue condizioni pietose e mi guardava... mi guardava infastidito, non accennava nessuna parola, ma il suo sguardo faceva capire tutto. Il suo sguardo vuoto e profondo poteva farti capire quanto fosse frustrato da quella donna; potevi capire come aveva passato la giornata, dall'alba al tramonto, o dall'alba successiva; potevi capire quanto aveva fumato, quanto aveva piovuto fuori solo guardando i suoi vestiti, potevi capire perfino quanto alcool si era scolato precisamente, solo da un suo singolo sguardo. Si poteva benissimo capire da quanto non dormiva, anche. Spesso gli chiedevo dov'era stato, cosa aveva fatto, e lui dava sempre la solita risposta: che era stato con una ragazza, e se ne andava completamente indifferente nella sua stanza. Ogni volta il nome femminile era diverso: Jessica, Carmela, Luisa, Concilia, Maria Consiglia... tutti nomi che potevano usare solo in paese, anche se queste ragazze non le avevo mai viste.

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