Buonanotte

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Parole generate: LAVATRICE, BAMBINO, FILM, FRUTTA, BIDONE, ORECCHIO, CUCINA, TOVAGLIA, YOGURT, LANTERNA

Sebbene fosse piccola e malandata, la casa in cui mi trovavo era quella con più denaro e gioielli che avessi mai derubato.
Finito di nascondere nel mio piccolo zaino la maggior parte di quelle ricchezze, sgattaiolai via dalla finestra dalla quale ero entrato. Ero già convinto che sarei tornato qualche altra volta, per terminare il mio lavoro.
Era tutto andato bene fino a quel momento. Tuttavia, c'era qualcuno che, da quando misi piede fuori dalla finestra, mi fissava. All'inizio, appena l'avevo notato, avevo sentito come una fitta al petto. E quasi non gridai per lo spavento quando ritrovai un bambino intento a fissarmi dall'altro lato della strada. Rimasi immobile forse per una trentina di secondi, a fissarlo a mia volta. Tra le strade deserte a quell'ora di tarda notte, si udiva solo il suono del suo cucchiaio che raschiava il vasetto di yogurt che aveva in mano. Ad illuminarlo, la luce di una lanterna poco sopra la sua testa, rendendo la mia visione di quel bambino ancora più tetra e inquietante.
Per un attimo avevo dimenticato di star indossando un passamontagna; ero ancora salvo! Quel moccioso non avrebbe potuto farmi sbattere in prigione: non avrebbe potuto descrivere il mio volto. Perciò corsi subito via, prendendo volutamente la strada opposta alla mia destinazione; qualche passo in più, ma sempre meglio essere prudenti.

La mattina seguente, come ogni mattina, accesi la televisione per sentire le notizie del mio paese. Nessuna notizia di furto.
Ottimo, pensai.
Uscii da casa e, con la mia bicicletta, passai davanti la casa della sera precedente. Diedi una rapida occhiata mentre pedalavo, ma senza fermarmi e senza risultare sospetto. Lì non c'era nessuno. E nessuno, dunque, aveva denunciato il furto. Tra l'altro, non c'era nemmeno il bambino.
Perfetto!, pensai.
Così mi recai nella scuola elementare in cui lavoravo. Talvolta pensavo di guadagnare più rubando in giro, di notte, che lavorando lì. E qualche volta mi capitava pure di sorridere mentre pensavo a ciò; questa volta, invece, non ebbi la forza.
Davanti a me c'era un bambino. Quel bambino. Continuava a fissarmi senza voler smettere. Mangiava della frutta, questa volta.
Girai altrove lo sguardo. Avevo iniziato a respirare affannosamente e non dovevo attirare l'attenzione di nessuno.
Per mia fortuna suonò la campanella e, come me, anche lui sarebbe dovuto entrare in classe.

La mattina passò in fretta, fortunatamente. Non incontrai più quel bambino, e ciò era da ritenersi un bel traguardo. Tutto sommato, fu una semplice e normale mattinata.
La notte, invece, tornai in quella piccola casa: dovevo terminare il mio lavoro. Fui a dir poco sorpreso non vedendo nessuno, questa volta, ma ne fui certamente sollevato.
Dunque entrai e mi recai anzitutto in cucina, aprendo cassetti e sollevando tovaglie e grembiuli. Proprio sotto una tovaglia, trovai un sacchettino di plastica nera chiuso con cura. Non ci pensai due volte, e lo aprii. Infilai una mano all'interno tastando il contenuto freddo, umido e morbido. Estrassi la mano e con quella anche il misterioso oggetto.
Era un orecchio.
Un orecchio umano, ancora sanguinante. Lo lasciai immediatamente assieme a quel sacchettino nero. Caddi per terra anch'io, preso dal panico e dal terrore. Sentivo scorrere il sudore da un lato del collo. Lo vidi pure gocciolare per terra.
Non era sudore. Era sangue.
Non avevo più un orecchio, realizzai toccandomi con la mano che tremava all'impazzata.
Si aprì lentamente uno sportello, quello col bidone dell'immondizia. Uscì altrettanto lentamente quel bambino. Mangiava un lecca-lecca. E mi fissava. Mi pareva di essere in un film dell'orrore.
«È sbagliato rubare» pronunciò lui con una voce innaturalmente calma.
Mi alzai da terra e corsi in lavanderia, lì dove c'era la finestra aperta che avevo usato per entrare. Ma la lavatrice iniziò a fare strani rumori e l'anta del cestello si spalancò, rivelando prima un braccio - il mio braccio - sanguinante, e poi quel maledetto bambino.
«Un maestro insegna le regole, le cose giuste» disse con quella stessa voce calma. «Tu non sei un buon maestro e nemmeno un uomo buono.»
Respiravo a fatica anche per colpa del passamontagna. Stringevo con una mano la manica vuota e umida quasi quanto le mie guance in quel momento.
Lui leccò quel dolce due volte e poi continuò: «Tu non imparerai mai. Tu pensi solo a te stesso e a danneggiare gli altri. Non è questo il compito di un maestro.»
Trovai la forza di mettermi in piedi per scappare. Scavalcai la finestra e raggiunsi la strada. Iniziai a correre per raggiungere casa mia. Come se avessi avuto un improvviso svenimento, caddi per terra.
Ma non ero svenuto.
La mia testa era caduta e rotolata lontana dal mio corpo. I miei occhi erano rivolti al cielo.
Il bambino si avvicinò per guardarmi dall'alto verso il basso. «Buonanotte» mi disse.
E io chiusi gli occhi.

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