4. Eden.

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La maglietta di Denki mi sta larga.

Anche i suoi pantaloni.

Ed è da quando siamo usciti da quella porta del cazzo che continuano a strascinarsi sull'asfalto dandomi fastidio.

Un'altra cosa che mi dà  fastidio è il silenzio, e per una persona che odia i rumori, che non li sopporta e che il solo percepirli lo inquieta tremendamente, altri tipi di "rumori" come le parole, aiutano molto.

Essere concentrato ai suoni di sottofondo è orribile, che tu lo voglia o no, e le voci intorno aiutano a deconcentrarti.

Però, qui le voci sono mute.

Nessuno parla e si sentono le scarpe che si sfregano ad ogni passo, il masticare della chewing-gum di Denki, e i sospiri di Eijiro.

Mi sento come se avessi una cintura al collo, che si stringe alla gola, ci passa dentro fino a premere sulle code vocali, così non escono le parole.

Non è che io voglia parlare, perché non saprei nemmeno cosa dire.

Ogni mio pensiero barcolla da una parte all'altra

E con violenza ognuno di essi si spingono le spalle.

Mulinano e vorticano senza saperne il motivo.

C'è caldo, ho la luce sulla pelle, io come gli altri.

Per fortuna, eccolo lì, in lontananza che si vede, con persone che saltano, la musica che si avvicina ogni secondo, e i soliti vecchi sulle panchine che ogni tanto ci urlano contro che siamo gioventù bruciata.

«È quello lì?» Chiede Eijiro allungando il braccio, puntandolo con il dito.

«Ah-Ah. Oh, mi pare di vedere Sero, io lo raggiungo, a dopo!»

Butta giù lo Skate, ci salta su e corre senza lasciarci dire una parola.

Non credo che l'abbia visto, in realtà. 

Il parco è lontano almeno cinquanta metri e verrebbe difficile riconoscere in viso da questa distanza.

O ha la vista bionica, o quel presuntuoso figlio di puttana vuole fare il cazzone e lasciarci soli.

Ed è decisamente probabile la seconda.

Lui è come se di notte indossasse un paio di ali bianche, una tunica ricamata d'oro, un arco dorato con frecce dalla punta rosso sangue.

Non mi sorprenderei se dovessi vederlo vestito in quel modo per Halloween.

«Fa sempre così?» Chiede.

«No.» infilo le mani in tasca, in una di loro sento gli auricolari che si incastrano fra le dita.

Lui sospira, segue i miei movimenti e si avvicina di qualche passo, io non mi allontano.

Si sposta i capelli, e noto qualcosa al polso. Ha un orologio d'argento.

Le lancette sono fini e i numeri sono in rilievo.

È fermo.

Non ticchetta e l'ora è decisamente sbagliata.

Mi schiarisco la voce come per avvisarlo.

«Ti si è fermato l'orologio.»

Lui nemmeno lo guarda, insinua le mani in tasca, anche lui, sistema con le spalle lo zaino e guarda avanti.

Mi scambia uno sguardo.

Non parla per qualche secondo e io mi gratto la nuca.

«É sempre fermo.» Risponde cauto, mentre stringe le palpebre e serra le labbra.

Under Life -Kiribaku-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora