1. Visti dall'alto.

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Critica della ragion pratica.

Immanuel Kant.

Questa è la scritta che Simone vede al posto del viso di suo padre non appena entra in salone. Ha un libro stretto tra le dita e se ne sta comodamente stravaccato sulla sua poltrona con una lampada a luce calda vicino, che illuminava il resto del salone buio. Sono rari i momenti in cui Simone lo vede così tranquillo, come sono rari i momenti in cui Dante è a casa e non al centro sportivo, ma ogni volta che lo fa è sicuro che lo si trovi con un libro di filosofia tra le mani.

«Lo sai che dice questo libro?» Chiede Dante senza tirare fuori la testa da lì dietro, è probabile che abbia sentito i passi di Simone avvicinarsi, ma per fortuna non lo guarda alzare gli occhi al cielo mentre si poggia con una spalla allo stipite della porta.
«Papà, tu sei scuro di aver scelto il lavoro giusto? Saresti stato perfetto come professore di filosofia.»
«Pensatore?»
«Rompipalle.»

La risata di Dante risuona per tutto il salone, contagiando anche Simone che sorride appena. Il libro scivola via da davanti agli occhi del padre e finisce sulle sue gambe, tenuto aperto solo dal dito indice. Ed era ancora un po' strano per lui avere questo rapporto con il padre, o anche solo avere un rapporto con il padre. Che quando era piccolo non aveva idea del perché stesse sempre fuori casa, del perché per passare del tempo con lui fosse costretto ad andare in una scuola calcio che a lui nemmeno piaceva o del perché si sentisse semplicemente così solo.

Quando era piccolo non ricordava il perché di tutte quelle cose e nessuno lo aveva mai aiutato a farlo fino alla sua adolescenza. La foto di due bambini identici che giocano a pallone è proprio sul tavolino vicino a Dante e lui si era sentito in colpa per non aver mai ricordato che quella fosse la passione di Jacopo. Che, pur di stare sempre insieme, a calcio ci giocava anche lui, nel loro giardino.

Era in quel momento che aveva smesso di fargliene una colpa a suo padre, perché cercava solo un modo per stare più vicino a suo figlio, o quantomeno per ricordarlo. Aveva impiegato del tempo per perdonarlo di tutti i momenti che aveva perso con lui, che era lì, ma aveva sentito le ferite risanarsi ad ogni tentativo di Dante di riparare i propri errori.

Quindi gli faceva ancora un po' strano avere quel rapporto lì con lui, ma era comunque una delle sensazioni più belle mai provate.

«Serve qualcosa?» Chiede, inclinando leggermente la testa senza smettere di sorridere.
«Si, veramente si.» Risponde Simone, scioccando la lingua contro il palato. «Matteo e Aureliano volevano i biglietti per la prima di campionato.»
«E ci vieni pure tu?»

Quello era un altro tasto ancora dolente tra di loro. Perché se prima a Simone non piaceva andare al centro sportivo o a guardare le partite (che fosse per qualche meccanismo inconscio o per semplici gusti, non lo sa.), da quando aveva scoperto che quella fosse la passione del suo gemello e che suo padre aveva iniziato ad allenare per lui, gli sembrava quasi di entrare in una loro sfera privata. Quindi, di fatto, Simone non era mai andato ad una partita di suo padre da quando aveva iniziato ad allenare la prima squadra della Roma.

«Pa'.» Quello di Simone sembra più un ammonimento, che il padre i motivi di quella scelta li conosce e ne hanno discusso più di una volta.
«Io il biglietto te lo prendo.»
«E va sprecato come tutte le altre volte.» Dante alza le spalle.
«Tanto quel posto è tuo.» Insiste. «E Jacopo sarebbe felice di vederci insieme per una cosa che piaceva a lui.»

Quella conversazione viene dichiarata conclusa da un sospiro di Dante e dal libro che torna a coprirgli il volto. Lo sguardo di Simone cade di nuovo sulla foto di quei due bambini con il pallone tra i piedi, entrambi sorridenti.

Sogni affittati. | Simuel.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora