Ogni cosa era vento.
Inconsistente, alla fine, più sensazione che visione. Avrebbe dovuto rincuorarlo e invece era una cornice, un assist, un candelabro che avrebbe potuto fare da protagonista nella casa di un collezionista, ma che restava in qualche modo inutilizzato se non ospitava candele.
Si abbatteva su ogni superficie che osasse sfidarlo e lui, umano inutile, non lo sfidava, ma ne restava vittima ingiusta lo stesso.
Il vento se la prendeva anche con una cosa sottile come il pelo dell'acqua, una barriera insignificante che acquistava forza quando si faceva distesa, quando si faceva oceano. E allora il vento perdeva, veniva a patti con quel mostro liquido e gli stringeva la mano finché le loro dita intrecciate non intessevano motivi geometrici sulla superficie.
Un'onda si abbatté alla base della scogliera, spruzzò colonne di spuma. Intanto, un uccello troppo lontano per venire identificato si stagliava sullo sfondo. In alcuni punti, la scogliera era bucata, apriva finestre e scorci su altri panorami, l'acqua cristallina catturava la luce e si faceva beffe della possibilità di chi la guardava di poter fare solo quello e non toccare. Il cielo era terso ma tratteneva il fiato, perché all'orizzonte si avvicinavano nuvole temporalesche. Era un controsenso, perché in quest'ottica il soffio del vento faceva un po' meno da nemico e un po' più da ambasciatore.
L'ostilità verso questo genere di avvertimenti forse era un tratto quasi esclusivamente umano. Era suggerito nell'espressione "calma prima della tempesta", nell'istinto di crogiolarsi nel bene finché c'è.
Forse era un tratto quasi esclusivamente umano anche vedere il male nella tempesta. Al mondo importa poco se viene distrutto. Se ne starà lì a girare anche prima dell'impatto che lo farà a pezzi. Che l'asteroide si schianti, che il sole muoia, che Andromeda si faccia avanti.
Era decisamente un tratto umano, la capacità di tenere a qualcosa.
Guardò questo accavallarsi di eventi. Non ti sembra mai che se guardi troppo a lungo il mondo poi questo ti punga?
L'autobus strombazzò da qualche parte alle sue spalle. Aveva le ruote e il parabrezza ricoperti di un sottile strato di polvere, dove la strada secca si era integrata al viaggio. Assottigliò gli occhi, per ridurre anche la nostalgia che avrebbe provato una volta smesso di guardare, poi diede le spalle all'oceano e recuperò il cellulare dalla tasca.
In fondo neanch'io sono una canocchia, ma mica mi lamento.
Sirius Black sorrise al messaggio, perché era un commento inappropriato e anche l'unico che avrebbe mai accettato. Non rispose, rimise il cellulare in tasca e salì sull'autobus.
Quando prese posto, i vetri semi-oscurati gli concessero un'altra occhiata al mare. Sembrava il filtro di un film retrò. L'asfalto accoglieva le prime gocce di pioggia, colorandosi di nero, la nuvola si era avvicinata, l'acqua e il vento non si stringevano più le dita. Avevano seguito il percorso che portava a volte gli innamorati a scivolare nella violenza.
Ma anche questo era un tratto esclusivamente umano.
"Quattro mesi?"
Sirius annuì, la luce nella stanza era un triangolo scaleno. La lampada al di sopra del tavolo offriva un cono ben angolato, ma James ne interrompeva il flusso con la sua presenza e i lati si inclinavano.
I lati si incrinavano.
Si strinse nelle spalle e poi le scrollò come se l'intero peso di quella ghigliottina non gli volesse frantumare le ossa, come se stesse dicendo al suo migliore amico che stava perdendo le chiavi di casa e non la vista. Fosse stato per lui, a dire il vero, non gliel'avrebbe neanche detto, ma James aveva fiutato la dimensione della notizia e si era messo in mezzo.
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Parlami di mari in tempesta | Wolfstar
FanfictionSirius Black sa che ha quattro mesi prima di perdere la vista. James Potter sa che hanno quattro mesi per vedere il mondo insieme. Dopo averci riflettuto per meno di dieci secondi, i due partono per un viaggio dalle destinazioni incerte, che li port...