4. Sabbia

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Quando Sirius aprì gli occhi non vide nulla. Buio pesto. Al punto che sembrava disegnare ghirigori su se stesso ed estinguerli nella fosforescenza istantanea di un battito di ciglia.

Prese un respiro profondo. Fallì.

Ci riprovò, questa volta espirò piano, così lento che tremò. Batté le palpebre un paio di volte ma non distinse niente.

Avrebbe potuto voltarsi, la finestra era alle spalle del letto, ma non riusciva a muoversi. Il suono delle onde che si abbattevano sulla spiaggia portava una pace beffarda.

Provò a respirare a fondo e fallì ancora. Stavolta il danno era irreparabile. Era esausto, era stanco, era sfinito, aveva corso come un matto forse, perché non riusciva a smettere di respirare. Si portò una mano al petto, distinse il battito accelerare sotto il palmo, assieme al respiro che aumentava.

Era troppo presto. Non aveva senso. Aveva ancora qualche mese.

Un'onda di terrore rotolò dalla spiaggia fino alla base della sua schiena. Non c'era più niente di pacifico in quell'accavallarsi di suoni periodici. Lo perseguitavano, lo avvelenavano, le stesse parole dei suoi pensieri si spezzavano in linee rigide e sempre più piccole.

"Sirius..." la voce di Remus, accanto a lui, era un filamento di realtà e per questo suonava priva di sostanza. Se avesse avuto appena più consistenza si sarebbe accorto che in due sillabe era passata dall'assonnato al preoccupato andante. "Non riesci a..."

Si schiarì la voce, acquisì concretezza. Non abbastanza, però, perché la Terra fece cadere il suo asse e il mondo cominciò a girare. Non sapeva come, visto che era tutto buio, ma lo sentiva.

Un fruscio, poi vide gli occhi stanchi di Remus guardarlo da sotto le ciglia.

"Stai bene?"

Sirius prese la boccata che aveva rincorso per gli ultimi minuti, il mare smise di strillare e la risacca tornò a muoversi discreta come una brezza tra i capelli. Con le giunture miracolosamente oleate, riuscì a portarsi una mano al viso e a esalare forte contro il palmo.

Remus era più consistente, più di una voce che veniva da lontano. Aveva una mano ancora appoggiata sull'interruttore della lampada. Il problema della sua consistenza era che a quel punto voleva una risposta.

"Sto bene," disse Sirius o almeno avrebbe voluto, se non avesse avuto la voce fatta di ruggine. Tossì e annuì. "Sto bene."

Remus poggiò una mano sopra la sua, quella che aveva ancora incollata al petto. "Vuoi che chiami James? Forse avrei dovuto dormire io con Peter."

"No, non sarebbe stato a suo agio." Non aveva idea di cosa stesse dicendo, a dire il vero. Si alzò a sedere, la schiena contro la spalliera del letto. Rischiò uno sguardo alla finestra. Le imposte lasciavano entrare una luce sottile e indipendente, forse il risultato di riflessi di luna e di lampioni e di barche al largo. "Sto bene, davvero."

Remus scrollò le spalle e lo indicò con un cenno del capo. "Sei tutto sudato."

Con un sospiro, Sirius si sfilò la maglietta e la lanciò di lato. Guardò Remus guardarlo un secondo, poi far ruotare gli occhi e concentrarsi sulla lampada. Sirius sorrise, una cosa piccola.

"Se hai paura del buio lasciamo la luce accesa."

Sirius sbuffò una risata. "Non ho paura del buio."

"E allora..."

"Per seguirti abbiamo voluto sapere solo fino a quanto volevi restare perché è vero che viaggiamo con una data di scadenza." Sirius cercò i suoi occhi. Fu un legame intenso e fragile, erano un po' più rossi del solito, un po' più bagnati. Il ricordo del buio passò da spaventoso a struggente. "Entro la fine del viaggio avrò perso la vista."

Parlami di mari in tempesta | WolfstarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora