Se il destino esisteva, se l'era ingoiato l'uomo barbuto sul palco, perché lo stava ruttando.
Il locale era un roteare di luci verdi, fucsia, blu. A volte, quando scivolavano negli occhi, davano l'impressione che li stessero attraversando da parte a parte e che quello che illuminavano dall'altro lato venisse dal punto opposto dell'universo.
C'era un'altra stella, così lontana che non era ancora stata scoperta e quindi non aveva un nome che sembrava un codice di recupero di una password smarrita. Attorno a quella stella orbitavano otto pianeti e nel terzo c'era un anti-Sirius che era andato in anti-Finlandia con un anti-James, perché una sconosciuta aveva detto loro di andare più a nord. E si stavano guardando, lui e il suo opposto, in un momento che era già successo in un tempo lontano. Così lontano che forse si era verificato al polo negativo dell'evento zero. E c'era quindi una possibilità che leggessero di un personaggio inesistente che leggeva di loro.
L'uomo barbuto sul palco non ruttava, in verità, perché era un cantante metal e il rutto era al contrario un growl; una tecnica vocale difficilissima che si sarebbe rivelata tale quando James e Sirius ci avrebbero provato qualche ora dopo.
"Non era questo che..." iniziò James, ma la sua voce si perse nell'onda di teste e suoni che si impennò nel locale. Poiché erano pubblico liquido, si arricciarono anche loro. "Non era questo che mi aspettavo quando Lily ci ha detto che non potevamo perderci il nord!"
Sirius guardò James e la tavolozza di luci che si muoveva sul suo viso. Gli brillavano i denti. "È troppo forte!"
E, con la stessa regolarità di un oceano, partì un'altra ondata di visibilio.
Quel posto non aveva senso. Se non ci fossero state tutte quelle persone sarebbe sembrato quasi sobrio. Si intuivano le sagome di un luogo che avrebbe potuto accogliere fonografi o tavolini per tornei di partite a carte over 70. E invece ci si ruttava. Era come violare una chiesa ancora non sconsacrata, come farsi città del metal – la musica infernale – a un tiro di schioppo dalla fabbrica di Babbo Natale.
Fiamme e ghiaccio nella stessa bufera.
Un ragazzo accanto a lui prese un sorso di birra e poi si mise a urlare. Il suo profilo, sovrapposto alle luci stroboscopiche dall'altro lato, brillava in ombra come una foto in negativo.
Si voltò e incontrò i suoi occhi.
Il vetro trasparente della bottiglia raccoglieva le luci del locale e, presi i panni di un prisma, le rispediva così alla rinfusa da fondare un inferno per fisici. Nessuno dei loro calcoli li avrebbe condotti alla realizzazione più intima che le bottiglie erano come quadranti di orologi. Da polso, a pendolo, da esecuzione. La lancetta scoccò una volta, poi frenò a un passo dallo scoccare ancora.
Uno. Due. I prismi si arrestarono, le luci pure.
Ripeti da capo.
Si voltò e incontrò i suoi occhi.
Incontrò i suoi occhi.
La lancetta vacillò, lottò per riprendere il conto che aveva perso.
Incontrò.
"Perché sorridi?"
"Ah?"
L'uomo sul palco tornò a ruttare, le luci a girare, le persone a scatenarsi. Il ragazzo si avvicinò. Sorrideva. "Ti ho chiesto perché sorridi," gli disse all'orecchio, le parole si fondevano ai bordi col chiasso.
Sirius non se ne era accorto. "Non lo so," gli rispose e non doveva aver avuto lo stesso effetto della sua domanda, perché non gli aveva parlato nell'orecchio.
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Parlami di mari in tempesta | Wolfstar
FanfictionSirius Black sa che ha quattro mesi prima di perdere la vista. James Potter sa che hanno quattro mesi per vedere il mondo insieme. Dopo averci riflettuto per meno di dieci secondi, i due partono per un viaggio dalle destinazioni incerte, che li port...