6. Onde

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C'era una specie di interferenza nel tempo, in sottofondo un rumore a banda larga.
Qualche giorno prima l'avevano messo seduto in una barca tra due montagne, l'acqua le leccava alla base. Loro, umani sfrontati, attraversavano quell'equilibrio al passo lento della calma, tra uno schiocco e un altro di un remo.
Sempre qualche giorno prima, Hội An aveva brillato di luci di lanterne e si era accesa di odori, di onde di mare, di edifici di legno così vecchi che prendere la mano di Remus all'improvviso gli era sembrato più proibito di ogni singolo gesto proibito al mondo.
Quel giorno, invece, era a Sydney, da qualche parte tra il primo e l'ultimo dell'anno e il cielo era appena esploso. Se avesse avuto una tartaruga chiacchierona sottomano di nome Scorza, che a centocinquanta anni era ancora un ragazzino, le avrebbe raccontato l'assurda storia di come era finito lì, a guardare l'Harbour Bridge sparare scintille, come quelle candeline di compleanno molto scenografiche che non si spegnevano mai soffiandoci sopra. E Scorza l'avrebbe detto a un pesce, che l'avrebbe detto a un altro pesce, passando per squali, uccelli e granchi. Ma Sirius non avrebbe sentito l'ultimo anello della catena venire a chiudersi al primo a raccontargli il suo stesso viaggio, perché non sentiva più nulla.
Così tante luci in cielo che sarebbero potute essere tutte riflessi delle lenti delle telecamere che trasmettevano quello spettacolo alle televisioni di tutto il mondo. E ogni lente un orologio che andava indietro nel tempo, che si fermava.
Uno, due. Tre.
Ripeti da capo.


Mary MacDonald era un'artista. Casa sua sembrava uscita direttamente da uno di quei film fatti più per l'estetica che per il contenuto.
Si trovava su una strada in cui anche d'estate gli alberi si assicuravano che a terra permanesse un tappeto di foglie. Strani fiori rossi pendevano dai rami. Lei era all'ultimo piano di un edificio di mattoni. Era un open space tappezzato di tele, il linoleum macchiato di vernice indurita. La casa di un'artista, proprio la casa di un'artista, al punto che pareva finta.
"Ma è bellissima!" Lily si affacciò alla finestra, si intravedevano dei fiori. Era in cima a un soppalco, dalla ringhiera pendevano tele dipinte a metà.
Sirius ne ispezionò una. Era una scena incomprensibile: un fiume di gente sfumava in un fiume di lepri. Si riunivano sullo sfondo a formare un campo da cui nascevano dei tulipani. Le facce delle persone in primo piano erano distorte in espressioni estreme, il terrore si scontrava con i fiori.
Mary spostò tazze macchiate di vernice e di tè dal pavimento con i piedi. Sirius si chiese se non bevesse mai da quella sbagliata. "Cinque letti ovviamente non li ho..." iniziò.
James alzò una mano. "Abbiamo una tenda!"
"... ma ho dei materassi," concluse Mary, guardò James confusa. Lui ritirò la mano.
"Grazie per l'ospitalità, Mary," Remus lasciò il borsone alla porta e abbassò la testa, "se possiamo sdebitarci in qualche modo..."


La pizza. Ecco come si erano sdebitati.
Si erano seduti tutti e sei a terra, una stanza di tele coperte e lasciate a metà. Dalla finestra sul soppalco e dai balconi le tende si gonfiavano al ritmo del vento. Sirius non avrebbe potuto vivere tutta la vita in un posto simile, sarebbe caduto vittima di una certa inspiegabile magia del sonno, un torpore di violini e raggi del primo pomeriggio che portavano il retrogusto verde dell'estate.
"Siete fortunati a essere venuti qui in tempo per Capodanno, la città è piena! C'è chi paga anche cinquecento dollari per un buon posto da cui vedere i fuochi d'artificio."
"Davvero?" Peter parlò attraverso un boccone di pizza. "Mi sembra già cara di suo."
"Non c'è un parco da cui si può vedere lo stesso lo spettacolo?" domandò Lily.
"Sì, ma... è un po' quello che cercano di fare tutti. Ci si piazza anche dalla notte precedente a volte."
Sirius si strinse nelle spalle. "A me sta bene anche solo lo champagne."
Mary si sporse al centro per una birra. La stappò, l'effervescenza sibilò in risposta. "Non ho detto che non vedremo i fuochi." Sorrise sorniona.
Era una cosa strana su di lei, perché sembrava una caramella. Aggraziata ed elegante, la pelle liscia e i denti allineati, se fosse stata un'attrice le avrebbero dato la parte della moglie morta del protagonista, la creatura perfetta nelle sue fragilità più intime. La furbizia, invece, era un vestito pieno di pieghe. Alla fine Sirius suppose che avesse senso, se nello stesso quadro disegnava orrore e tulipani.
"Si dà il caso che abbia un amico che lavora in una delle barche al porto. Di solito riesce sempre a infilare qualcuno in più."
"Sei persone?" Remus mollò la pizza nel piatto e inclinò il viso di lato. Sirius distolse lo sguardo un secondo dopo, rispetto a quando avrebbe dovuto.
"Si può fare." Mary sorrise nel suo misterioso modo angelico. "Mentre per i giorni successivi..."
"Oh no, non ti disturbiamo. Volevamo partire e andare verso l'interno." James la interruppe, sventolando le mani.
"Il deserto? In macchina in questo periodo non è l'ideale. Quando piove a terra diventa poltiglia e le auto si impantanano. Non c'è ricezione telefonica e se non avete acqua a sufficienza... adios."
James fece schioccare la lingua. "Davvero? Non è per... serpenti, ragni, lupi mannari, mostri infernali in formato animale?"
Mary si alzò e si strinse nelle spalle. Si diresse all'ingresso e ravanò in una ciotola piena di lettere e volantini. "So che non è una tipica attività turistica australiana, ma per caso vi interessa?"
Sirius fu il primo a ricevere l'annuncio. Lesse velocemente, poi lesse di nuovo. Poi si accertò una terza volta di aver letto bene.
Era una follia.

Parlami di mari in tempesta | WolfstarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora