I. Devils roll the dice

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Se avessero chiesto ad Harry Potter cosa ci facesse da solo nella hall di un resort a Sharm el-Sheikh, avrebbe risposto che aveva come minimo cinque ottimi motivi per voler mettere più di cinquemila e trecento chilometri tra lui e la sua attuale vita.

Motivo numero uno: l'ultimo anno di addestramento per diventare Auror a tutti gli effetti era stato sfiancante tra allenamenti, esami e tirocinio.

Era vero, aveva lavorato e studiato duramente per tre anni per realizzare il suo sogno, e ne era valsa la pena, ma il suo fisico e la sua salute mentale cominciavano davvero a risentire della stanchezza. Era stata un'esperienza bellissima, che gli aveva regalato tanto, ciò non toglieva che si sentisse sollevato dal fatto che fosse finita.

Motivo numero due: se avesse dovuto passare un altro, singolo minuto in compagnia di Ron e di Hermione che non facevano che litigare per ogni piccolezza riguardante i preparativi del loro matrimonio, avrebbe vomitato.

Non ne poteva più di discussioni sull'assegnazione dei posti a sedere, sul fatto che tutti i colori dovessero essere della stessa palette – dalle tovaglie, ai fiori, ai vestiti dei testimoni – e che no, la rock band a cui Ron aveva fatto un'audizione non era minimamente vicina allo standard di raffinatezza che intendeva Hermione, e che sì, era inevitabile che ci sarebbe stato anche qualche parente babbano dal lato Granger.

Motivo numero tre: Harry era stanco di essere sé stesso. Essere Harry Potter, il Prescelto, un giovane mago così in gamba, che aveva salvato il mondo magico dalla rovina per ben due volte e da cui tutti si aspettavano grandi risultati, era faticoso.

Nonostante ci mettesse tutto sé stesso per non deludere le aspettative di nessuno, c'erano giorni in cui avrebbe voluto ingoiare una bella dose di Pozione Polisucco e portare per un pochino il volto di un mago qualunque, di uno perfettamente anonimo.

Motivo numero quattro: la rivista.

C'era un giornale, un vecchio numero del National Geographic, che qualche babbano doveva aver dimenticato nella cabina telefonica che Harry usava ogni giorno per raggiungere il quartier generale degli Auror al Ministero. Per mesi nessuno si era preso la briga di gettarlo via – in fondo, era un dettaglio che rendeva la cabina ancora più credibile, una normalissima cabina usata da normali babbani – così ogni mattina Harry si ritrovava a fissare la copertina patinata della rivista che diceva "Sharm el-Sheikh, quest'anno è la meta da sogno più gettonata dagli inglesi".

Finché, un giorno, Harry era arrivato a lavoro e aveva scoperto che la rivista era sparita. E forse fu proprio quello il suo punto di rottura, la cosa che lo convinse definitivamente a mollare.

L'ultimo giorno dell'ultimo tirocinio, senza dire niente a nessuno, si era diretto in un'agenzia viaggi babbana, e il giorno stesso in cui aveva superato l'esame finale per diventare Auror, aveva lasciato tutto a casa – bacchetta compresa – e si era diretto all'aeroporto di Heathrow, deciso a concedersi, per la prima volta in vita sua, una vacanza da solo. Una vacanza vera, una vacanza da qualsiasi cosa.

Sì, una vacanza anche da Harry Potter.

***

Bisognava ammettere che cinque ore di viaggio in classe economica – chi aveva progettato l'aereo doveva per forza essere a conoscenza del fatto che la maggior parte delle persone avesse due gambe, che andavano pur messe da qualche parte, no? – e le successive due ore di pullman senza aria condizionata, avevano fatto vacillare la convinzione di Harry di aver fatto la scelta giusta, ma una volta arrivato in hotel – un magnifico villaggio a cinque stelle, dotato di svariate aree relax, una zona wellness e la spiaggia privata, tutto incluso – si chiese perché diamine non avesse fatto una cosa del genere prima.

It's a Wild (Cruel) Summer || DrarryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora