PARTE V

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24. accumulo
I mesi trascorsi dopo il mio tentato suicidio sono stati di una monotonia esasperante. Sempre la solita routine disfunzionale: attacchi di panico, desiderio di suicidio in classe e nei bagni e assunzione giornaliera di xanax. Pianti esagerati fuori classe e bruciature. Continuando ad accumulare la mia rabbia e tutti i miei negativi sentimenti repressi. Un giorno mio padre mi ha vista fissare ardentemente la finestra in camera, lo spavento nei suoi occhi era palpabile. Per la prima volta mi sono sfogata rabbiosamente con un genitore, vomitando fuori tutto lo schifo malato che avevo dentro. Il mio unico desiderio oramai era la morte, e la stavo pianificando da tempo, continuando ad accumulare farmaci ma poter poi usare nel momento opportuno, quando la morte non avrebbe potuto far altro che accettarmi. Il primo step era evitare di parlare con lo psicologo, fare scena muta continuamente, sperando che dicesse che non servisse a questo punto la terapia. E così è stato. Per un po' non sono andata. Poi dopo qualche settimana credo abbia intuito il mio folle piano e mi ha convocata, costretta dai miei genitori ad andarci. Ciò che mi aspettava, non lo avrei mai immaginato.
25. ricovero
Non avrei mai pensato di sentire uscire dalla bocca di un dottore quella frase: "domani ti ricovero in ospedale". "Ma cosa cazzo è uno scherzo? "ho subito pensato, "A cosa cazzo mi serve, è inutile non cambierò idea." Che stronzo del cazzo, mi sono ripetuta. Andarci per me era fuori discussione, e continuato a far valere la mia idea fino alla fine, anche se oramai la decisione era stata presa, con l'appoggio di mio padre e il disaccordo di mia madre.
E il fatidico giorno arrivò. Borsone in spalla, pesantezza addosso, pesantezza nel cuore.
Arrivata in ospedale, il peso che portavo addosso iniziava a crescere a dismisura, così come l'ansia e la confusione mentale che provavo.
Tutto era confuso, mi sentivo disorientata completamente.
La luce in fondo al tunnel? Stronzata. Non finisce mai il tunnel, così pensavo. Era una corsa in cerchio, senza punto di partenza ne fine. Era finita ormai. Mancava poco.
Dopo vari esami, arrivò il fatidico momento. Mi presi qualche secondo per realizzare la situazione e per osservare dettagliatamente la scritta a grandi caratteri sulla porta, "psichiatria", e inizialmente mi scoppiò una piccola risatina di incredulità, fino a che non mi fecero entrare in quello che sarebbe stato il mio purgatorio.
Mentre camminavo verso quello che sarebbe stato il mio "rifugio" analizzavo di sfuggita ogni angolo di quel luogo infernale, notando finestre senza maniglie e con sbarre, porte chiuse e una grande sala con un tavolo lungo. La prima cosa che avevano fatto fu quella di esaminare la mia borsa, per controllare se avessi qualcosa di tagliente o pericoloso. Stupidi, ho pensato. Non sapevano che avevo nascosto una lametta in un luogo che non avrebbero mai scoperto. Comunque dopo essermi sistemata, esplorai un po' la zona, convinta che non avrei fatto neanche in tempo a guardami intorno che subito sarei uscita. Sarebbe stato solo un lontano fastidioso ricordo. Che ingenua. Sono arrivata fino all'unica saletta aperta, con un tavolo lungo, una piccola televisione, dei divanetti blu, una finestrella con le sbarre ed una minuscola sala fumatori giallognola imbrattata di frasi e nomi. Poi ho scoperto di non essere sola. Ero in compagnia di altre tre ragazze, che inizialmente non si accorsero di me. Per due di quelle era l'ultimo giorno e stavano per andarsene, l'altra invece doveva restare ancora dopo una settimana già passata. Notai subito una delle tre, rossa e piccola, magrolina, tanto che avrei pensato che con un soffio di vento sarebbe volata via. Non avevo ancora capito che quel minuscolo angelo, mi avrebbe portato solo guai. Guai in cui forse non avrei voluto cacciarmi. O si? Poco dopo la vidi baciare un'altra ragazza e capii che stavano insieme, così mi tolsi il pensiero dalla testa. Per un po'. Quando se ne andarono, l'ultima ragazza mi rivolse le sue attenzioni, chiedendo subito la mia storia. Le spiegai del mio tentato suicidio e della poca collaborazione durante le sedute, e lei mi rispose che aveva cercato di morire anche lei, così intravidi i suoi tagli sulle braccia. Poco dopo arrivò un'altra signora che chiese la stessa cosa, e spiegò che finì li per un attacco al compagno che le aveva buttato dell' acido sul braccio. Insomma li il divertimento non sarebbe mancato.
A pranzo mangiai solo un panino in busta, cercando di ingraziarmi l'unica ragazza rimasta, così da poter vivere quell'esperienza senza annoiarmi a morte. Durante il mio primo colloquio feci scena muta e me ne andai, sentendomi apatica per praticamente quasi tutta la permanenza li. Le giornate passavano come un accumulo di noia, senza colloqui ad eccezione del gruppo di sostegno a cui non partecipai, ritenendolo inutile data la mia recente esperienza con i gruppi. Però osservai. Era un gioco. La dottoressa fece distribuire delle carte sulla sua grande cattedra e chiese di sceglierne una che ci piacesse. La mia compagna scelse una che rappresentava una ragazza senza volto con dietro di lei tante maschere. Credo sia scontato il significato. Qualcuno che deve fingere costantemente, o che non riconosce le proprie emozioni. Come me. Gli altri si limitavano a descrivere le immagini scelte, senza spiegare il motivo della loro scelta, come avessero messo in stand by il loro cervello e non lo recepissero. Intanto io continuavo ad osservare assiduamente una carta, e la dottoressa se ne accorse. Raffigurava dei ghiacciai in procinto di sciogliersi, ed in particolare mi soffermai su un blocco che assomigliava ad un tassello di un puzzle, che scivolava via, proprio come la mia vita che era stata fatta a pezzi. Non notai che su uno di quelli era cresciuta una piccola piantina, forse simbolo di una possibile rinascita per me, che ancora non vedevo.
Comunque, mio padre è venuto a trovarmi ma l'ho cacciato via. Non so perché. La mia ormai compagna di stanza verso sera ha avuto una crisi perché gli infermieri avevano "preso in giro" il suo disegno, così urlava dicendo di volersi tagliare e sono stata l'unica a calmarla. Schifoso. A cosa cazzo servono gli assistenti sanitari se neanche aiutano? Si voleva fare del male con il cavo del telefono, così le ho bloccato i polsi. Il mio dottore mi ha elogiata dicendo che ho sensibilità ed empatia, ma è una bugia. Sono una persona orribile, egoista ed indifferente a tutto, non mi importa realmente di niente e di nessuno, tantomeno di me stessa; l'ho aiutata solo perché non volevo sentirmi dire di essere insensibile, dopotutto finché sarò qui la sua amicizia mi servirà. Così pensavo.
Pochi giorni dopo inaspettatamente arrivò in ricovero la ragazza dai capelli rossi che incontrai la prima volta, ed io mi preoccupai che assieme alla mia compagna mi avrebbero esclusa. Ironia della sorte noi abbiamo escluso lei. Beh, non per cattiveria, più che altro ci legammo troppo morbosamente e finimmo per innamorarci. (almeno per me) Non so e forse non saprò mai cosa le passa per la testa, se in questi giorni meravigliosi passati insieme io abbia avuto un posto importante nella sua vita o ero soltanto un ripiego, un modo per fuggire di li, una copertura. C'era anche un altro ragazzo in reparto che mi dava sui nervi: il classico donnaiolo. Prima ha fatto innamorare la mia fragile e confusa compagna di stanza e poi ha iniziato a gironzolare intorno al mio angelo dai capelli rossi e, nonostante avessi messo le cose in chiaro, non sembrava voler cedere. Fortunatamente, abbiamo fatto finta di niente e ci siamo godute appieno quel piccolo angolo di paradiso che ci eravamo create. Era come un sogno diventato realtà, mi sentivo amata come mai prima, e volevo che quella sensazione non finisse mai. Credevo di amarla davvero. Non avevo tenuto conto del suo fragile stato mentale e l'avevo dipinta come qualcuno che avrebbe potuto riempirmi la vita, ma era solo un angelo caduto che raccoglieva i pezzi delle sue ali.
O mio angelo caduto,
le tue ali hai perduto?
Forse volevi volare troppo lontano
ti sei avvicinata troppo al sole
si sono spezzate le tue ali, o mio dannato angelo
raccoglile, ti prego
così tornerai a volare
e solo allora io potrò riprendere a respirare.
26. ossessione
tu che disorienti come vagabondare in una selva in una notte buia
tu che splendi fioca come le prime luci di un debole tramonto
tu che distruggi il mio cuore e tutta me stessa con la stessa foga con cui il mare distrugge le città e le bombe annientano le genti. È questo che hai fatto con il mio cuore, o mia bellissima ossessione, ci ha giocato, lo hai riempito, pompato d'amore e delle tue attenzioni d'oro, e poi l'hai schiacciato tra le tue pallide dita. ora i pezzi chiedono di essere raccolti, chiedono di essere di nuovo riempiti, chiedono la vita.
Ma nonostante questo, resti la mia bellissima ossessione.

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