PARTE III

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Non so quali saranno le sorti di questo libro, né tantomeno le mie, sarà divertente scoprirlo immagino.
Ed eccomi sottoposta ad un ulteriore colloquio:
le cose non sono andate come avevo programmato, e se pur mi sforzi di non essere troppo dettagliata ed esagerata nelle descrizioni, il medico mi ha prescritto un altro farmaco da assumere, che avrebbe fatto effetto soltanto dopo alcuni mesi. Ero estremamente frustata per questo e spaventata da quello che ciò avrebbe provocato. Già immaginavo la mia totale e duratura perdita di libertà. Non riuscivo a pensare lucidamente, essendo affiorati nella mia mente milioni di pensieri e desolazioni. Il mio sogno di felicità, la mia speranza di rinascita e tutti i miei progressi sembravano non avere più importanza ed essere in procinto di venir distrutti. Non avevo la minima idea di cosa sarebbe accaduto, né di cosa avrei fatto, ero pietrificata dall'idea di non trovare mai più la gioia ed essere costretta a sprofondare nel più buio abisso e non risalire. Fortunatamente, il mio monologo interiore venne interrotto dalla voce del dottore, il quale affermò che non sarebbe stata necessaria una sorveglianza eccessiva nei miei confronti e che mi sarei potuta spostare liberamente, a patto che fossi diligente e non dimenticassi di assumere i farmaci. Dopo tanto tempo, finalmente un barlume di luce infondo al tunnel.
Avevo pianificato di partire per Roma ma, come al solito, deve sempre essere rovinato tutto. Credo che, in un certo senso, il mondo mi odi: ogni cosa che desidero viene presa da qualcun altro ed ogni cosa bella della mia vita mi viene portata via, quasi come avessi una sorta di maledizione, e ciò a lungo andare mi ha recato non poco fastidio e nervosismo. Come se, in fin dei conti, non fossi nata per trovare la felicità.
Sono decisa a spezzare quest'incantesimo finalmente, o almeno ci proverò.
Rivedere mio cugino e la sua famiglia, ha significato estremamente tanto per me, come se, anche solo per un momento, avessi trovato il mio posto. Appena varcata la soglia di quella casa, pensai subito di essere sempre stata destinata a quel luogo e a quelle persone, mi sentivo al sicuro. Dopo tanto tempo, sarà stata forse la prima volta in cui mi sia sentita appartenente ad un qualcosa, come ad una famiglia. Pur non vedendoli quasi mai, non mi sentivo affatto a disagio, al contrario mi sembrava come se stessi con loro abitualmente. Era tutto cosi stranamente familiare. Non venivo giudicata, non venivo esclusa, e nell'atmosfera regnava la calma e la gioia, emozioni per me sconosciute. Ma questa potrebbe essere solo apparenza. Ritornare nella mia città, non è stato doloroso come credevo. Mi sentivo rinata, almeno per un po'.
Il 18esimo di mia cugina era alle porte, ed io ero tutt'altro che preparata ai festeggiamenti. Nonostante la depressione non fosse ancora ritornata, non facevo che pensare al giorno della mia morte. Vederla divertirsi con i suoi amici mi aveva fatto pensare a quanto io non avrei raggiunto la contentezza neanche in quel caso, come un'ingrata infelice. Per di più, mi provocava un dolore immenso il pensare al fatto che probabilmente io non avrò nessuna festa e non ci saranno alcuni festeggiamenti, e questo soltanto per mio egoistico volere.
È straordinariamente folle e al contempo terrificante la rapidità con cui una singola azione possa capovolgere radicalmente il corso degli eventi. Il cosiddetto "effetto farfalla" (di cui ho parlato in precedenza) secondo il quale anche un singolo battito d'ali di suddetto insetto possa provocare una catastrofe da tutt'altra parte del mondo. Teoria a dir poco affascinante. Purtroppo o per fortuna ho potuto costatare molteplici volte la fondatezza di tale tesi. La più recente, mi ha portata a valutare la possibilità di dover decidere sul futuro della mia persona basandomi soltanto su quelle poche esperienze che farò.
Rimasta oramai a tutti gli effetti sola non vi è più niente che mi trattenga qui. Allo specchio vedo nuovamente una sconosciuta e vivo un'esistenza che non m'appartiene. Spero che con il mio folle gesto io possa ritornare ad essere me.
Mi sono sempre sentita sola in realtà, seppur con qualche amico mi sembrava di essere chilometri distanti da esso, o addirittura di parlare una lingua differente dalla sua. Nessuno mai riusciva a capirmi, mi sentivo sempre più estranea a quell'ambiente, di cui evidentemente non facevo e non avrei mai fatto parte. Avevo diversi interessi, priorità e modi di fare che m'avevano obbligata ad autoescludermi. Abbraccio la solitudine interiore e, stranamente, ciò non mi dispiace affatto. Non mi sono mai sentita sola pur essendolo. Essere amici di sé stessi. Non mi fidavo di nessuno, non mi relazionavo in alcun modo e non rivolgevo discorsi, forse per tutelarmi o per tutelare loro. Continuavo a credere che il mondo non fosse fatto per una come me e che il mio destino combaciasse con la solitudine eterna. Quella solitudine che non ti permetterà mai di trovare qualcuno con cui condividere la tua anima marcita e la tua vomitevole infelicità. Ormai ne sono consapevole. La felicità non spetta a persone come me, e se dovessi combattere ancora per ottenerla, credo che non lo farei. Corpo deteriorato, energie consumate, e una costante sensazione di abominevole ribrezzo verso ogni minimo particolare dell'insignificante vita. Ed è proprio per questo, che la mia mente non è in grado di reggere ulteriormente. Indipendentemente dall'esito dei miei tentativi di ripresa, la mia esistenza deve volgersi al termine. Solo e soltanto in questa maniera posso sperare di ottenere se non la felicità, almeno la pace.
L'unica volta in cui mi sia cecamente fidata di qualcuno, aprendomi del tutto e confidandomi, sono stata ovviamente tradita e abbandonata. Un mio fallo, ve lo concedo. Avrei dovuto tenere conto della malvagità dell'essere umano. Comprendo di aver fatto male i miei calcoli, ed adesso ne devo pagare le conseguenze. Perché è così che va il mondo, se ti mostri anche per un millesimo di secondo debole ti inghiottono senza pietà, non lasciandoti neanche un pezzo d'anima. La cosa peggiore che abbia potuto fare era quella di suscitare la compassione di qualcuno, che ha approfittato della mia vulnerabilità temporanea a suo vantaggio. Si ingegnano per scoprire le tue debolezze e cosi annientarti. Ho sempre seguito alla perfezione le regole per la sopravvivenza, tenendo giornalmente una barriera che mi proteggesse dai possibili attacchi dei nemici, ma ciò non è bastato. Mi sono resa indifesa cosicché mi potessero distruggere, stupidamente speranzosa che non l'avrebbero fatto. Fortunatamente, non mi sono mostrata senza una minima protezione, sarei stata estremamente folle, proprio come se mi gettassi in una gabbia di leoni affamati. Successivamente, ho ricominciato gradualmente ad indossare nuovamente i miei scudi, come se in un certo senso sapessi per certo che la persona di fronte a me venisse chiamata con l'appellativo di amica solo per copertura, ed ero fermamente convinta che presto o tardi avrebbe rivelato la sua natura. Quando l'ha realmente fatto, non mi ha causato alcun tipo di emozione se non la disperazione per non poter tenere del tutto fede al mio piano
di ripresa personale ma questo è solo un pensiero egoistico. Non avendo nessuna aspettativa nei confronti di quel legame, il suo spezzarsi mi ha causato solo un leggero fastidio, più che dolore. Forse a causa del fatto di non essermi protetta sin da subito, ma con l'andare del tempo maturava in me un desiderio di vendetta, o più che vendetta, giustizia. Cresceva dentro di me come se stesse lievitando ed avevo paura che sarebbe esploso da un momento all'altro, ed è per questo che nuovamente mi sono scagliata violentemente su me stessa. Di risposta, mio padre ha deciso bene di non parlarmi più, cosa che da genitore quale è non avrebbe dovuto fare. Essendo abituata a questo suo comportamento quasi manipolatorio, non ho ceduto al suo vittimismo.
Ho di nuovo intravisto quelle deformate sagome e mi è parso persino che una di esse mi stesse salutando. Non mi avevano mai effettivamente abbandonata, capitava un giorno in cui le vedessi ma attribuivo la cosa alla stanchezza o quantomeno alla presenza del buio, mentre vivevo costantemente nell'ansia che mi stessero osservando da fuori la finestra e che avrebbero aspettato che dormissi per fare la loro mossa. Cercavo di non permetterlo. Ciononostante, in quel momento sono rimasta atterrita dallo spavento che m'aveva bloccato il respiro, provocandomi di nuovo un attacco d'ansia. Dopo un breve lasso di tempo però, il terrore e l'ansia stessa erano spariti.
Il mattino seguente mi attendeva un'urgente visita con il mio neuropsichiatra, e la cosa non mi entusiasmava affatto. Ero consapevole che, indipendentemente dall'esito del colloquio, mi avrebbe aggiunto un altro farmaco da assumere, cosa che avrebbe portato mia madre a controllarmi frequentemente, diminuendo a dismisura le mie possibilità di suicidio. I miei sospetti non si sono rivelati infondati, difatti adesso dovrò prendere in aggiunta un antipsicotico, probabilmente per diminuire le allucinazioni. Inoltre, dopo aver scritto in un nuovo referto la mia attitudine ad indurmi il vomito, il medico ha deciso di farmi tenere un diario del peso, cosa a dir poco sgradevole e snervante.
Bisogna che vi aggiorni su gli ultimi sviluppi: in breve, ho passato un giorno con delle mie compagne di classe in una casa al mare (non che interessino a qualcuno questi dettagli, purtroppo sono però necessari giusto per dare un po' di contesto) e, nonostante inizialmente fossi contraria all'idea, non sono rimasta particolarmente delusa dall'evento. Ci sono stati dei momenti in cui mi sentivo come lontana chilometri dal resto del gruppo, come se non riuscissi a comprenderli e questo mi allontanava da loro, ma al contempo vi erano quei lunghi istanti in cui avvertivo di essermi avvicinata alla società, come fossi tornata di nuovo umana, e ciò fece sparire per almeno un secondo il mio desiderio di morte, come se finalmente mi sentissi sul serio degna di vivere. "perché la vita è talmente preziosa che non può essere contaminata da gente insulsa e vomitevolmente debole come te" ripeteva costantemente la voce, che in contrapposizione a questo diceva: "perché la vita deve essere necessariamente depurata da persone insignificanti e stupide, e solo tu puoi farlo". Quando cercavo di non ascoltarla, urlava. Urlava che non meritavo di viverla, poiché ero un essere penoso e provocavo ribrezzo alla gente comune o che, proprio per questo motivo, tutte le persone diverse da me erano il nemico, e quindi dovevano essere sterminate. Ed io reagivo paranoicamente sostenendo che tutti a loro volta volevano farmi del male e quindi mai avrei dovuto fidarmi. Beh, morale della storia, l'ho fatto e come sempre me ne pento. Questi maledetti farmaci oltre a farmi tornare le emozioni mi hanno resa debole. Come ho potuto pensare anche solo per un momento di abbandonare qualsiasi impulso autodistruttivo alla volta di una calma vita terrena? Come se la mia mente palesemente febbrile credesse (e ciò sarà sicuramente dovuto alla mia eccessiva e casuale esaltazione che blocca temporaneamente tutte le ragioni per il quale avevo deciso di compiere tale gesto e di conseguenza tutto il dolore ad esso legato) che io avessi trovato un posto nel mondo, che la mia esistenza avesse un valore. A questo punto, ritengo piuttosto che sia io a non voler far parte del mondo, e non il contrario. La società si basa su una gerarchia, sulla legge del più forte, il cui motto è "mangia o vieni mangiato", e ciò ha portato alla creazione di un mondo sanguinario, meschino e approfittatore. Crescendo nel veleno, ho cominciato ad assumere e addirittura ad approvare questi comportamenti, che promuovevano lo sviluppo del singolo e la ricerca e l'ottenimento della gloria, utilizzando ogni mezzo o sotterfugio possibile. Ed è proprio per questo che, se anche amassi la vita, non rimarrei in questo putrido luogo.

Mondo intriso di oscenità (perversioni) e di perfide malizie.
Mondo meschino, fiabesca illusione, macchiato dall'ignoranza e dalla nullafacenza, promotore di tutte le cose e di tutti i temi più oscuri ed errati.

Non sono né fisicamente né mentalmente in grado di proteggermi dal mondo circostante e, allo stesso tempo, da me stessa. Chissà che alla fine dall'altra parte non esista un mondo all'insegna del rispetto reciproco e della collaborazione. Non ci resta che scoprirlo.

Vorrei soltanto uscire dal labirinto.

capio dramaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora