Capitolo 10

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I suoi muscoli sembravano forgiati dal ferro, quell'uomo terrificante sguainò la sua spada e l'affondò nel cuore della ragazza che amavo. Prese la sua vita in un secondo, il suo corpo cedette a terra inerme. Immobile. Un urlo strozzato uscì dalla mia bocca. Era esattamente come se avesse strappato la mia stessa vita. La mia unica ragione d'esistenza era scomparsa per sempre, dissolta dalla spada di quell'essere. Affondai le mani nella polvere incapace di sorreggermi in piedi, il mondo attorno a me si dissolse, l'unica cosa che i miei occhi percepivano era il suo corpo immerso in un lago di sangue. L'uomo si voltò verso di me, puntò i suoi occhi infuocati d'ira sui miei e si diresse a grandi falcate nella mia direzione. Non ebbi paura, anzi fui felice di poter morire e porre fine allo strazio di vivere in un mondo senza l'altro lato della mia anima. Sguainò la spada sporca del suo sangue e affondò il colpo.

Mi svegliai, o forse no. Il mio corpo non rispondeva ai comandi, immobile, come fosse privo di terminazioni nervose, non riuscivo in alcun modo a muovere neanche un dito, paralizzata incapace di capire se ancora stessi sognando o se fosse la realtà, il fantasma dell'uomo era ancora lì con me nella mia stanza, anche il respiro sembrava bloccato, quanto tempo trascorse? Secondi, minuti o ore? Finalmente dopo quel tempo indefinito riuscii a muovere un braccio cercando un lembo di pelle e capii che ero sveglia, la stanza buia e soffocante connessa al mio fiato corto non faceva che rendere quella sensazione ancora più orribile. Quella sorta di paralisi mi prese alla sprovvista, l'incubo ormai era una terrificante routine ma quella sensazione fu la prima volta che la sperimentai e non volevo per alcun motivo che riaccadesse. Mi diressi a piccoli passi verso la finestra e l'aprii. La fresca brezza mi ridestò dall'incubo. Ormai lo conoscevo bene, sapevo esattamente ogni minimo dettaglio. Da che ne ho memoria, ogni notte, ogni singola notte facevo sempre lo stesso incubo. E ogni notte sentivo lo strazio di perdere la persona che amavo, come se tutto d'un tratto una spettatrice si trovasse nei panni della protagonista senza sapere come potesse essere accaduto. Ma tollerare altro dolore a quello accumulato negli anni non aiutava affatto. Quell'incubo ogni notte mi straziava all'inverosimile. Era come perdere all'infinito la propria anima gemella in loop. Un'agonia che negli anni è diventata un'abitudine. Ed era il mio segreto. Anche perché parlarne con qualcuno era come ammettere che quei sentimenti fossero reali. Già immaginavo la faccia di mio padre se per caso avessi confessato questa mia stranezza. Avrebbe trovato il giusto appiglio per rimandarmi nuovamente in terapia. Dopo la morte della mamma ero così stravolta che non facemmo che girare per tutto il Canada alla ricerca del giusto psicologo. Dopo svariati tentativi andati a vuoto, ne trovammo una che sembrava fare al caso mio a cinquanta chilometri da casa. Parte della mia infanzia venne scandita dalle sedute che facevo due volte a settimana da Bennie. Fu un grande sacrificio ma lei riuscì a plasmare il mio dolore, riuscì ad entrare nella mente di una ragazzina di sette anni, guardarci dentro e cercare un appiglio che potesse farmi ricostruire l'isola felice. Già allora facevo quegli incubi ma non le dissi mai nulla. Sentii un ululato provenire dal cuore della foresta che di soprassalto mi ridestò dai miei pensieri e poi mi resi conto che quel ricordo aprì uno squarcio degli anni d'oro della mia vita. Ripensai alla mamma che mi rassicurava in ogni momento che non mi sarebbe mai accaduto nulla di brutto perché lei sarebbe stata sempre lì con me, come su un'isola felice. Una di quelle che si vedono sulle riviste di viaggi, un luogo sicuro in cui tutte le cose brutte del mondo erano lontane e mai ci avrebbero scalfito. Ma poi arrivò uno tsunami e spazzò via tutto. Fui scaraventata da quel muro d'acqua credendo di non riuscire a salvarmi. Stavo annegando mentre tutti mi dicevano che con il tempo quella massa di dolore lancinante si sarebbe acquietata. La mamma non c'era più e io ero in balia delle onde. Venni scaraventata in ogni dove, venni sommersa, accecata, dilaniata con la consapevolezza che il dolore diventasse sempre più forte. Poi un giorno. Un giorno qualsiasi, la marea, centimetro dopo centimetro si ritirò lasciando dietro di sé nient'altro che distruzione. L'isola felice era irriconoscibile. Si era ridotta in un accumulo di fango, macerie e detriti. Ma in quello schianto ad avere la peggio era stata la mia anima. Ammaccata, tagliata, lacerata e rotta. Fu in quei momenti di coscienza che arrivò la seconda ondata. Ricordavo il dolore avvolgermi più forte di prima. L'onda era tornata di nuovo e quella volta mi trascinò a fondo. Questo successe ripetute volte negli anni, fino a che le onde sembravano diventare sempre più piccole oppure ero io diventata sempre più pronta, le sentivo arrivare da lontano, così prendevo precauzioni per non farmi sopraffare. Fu così che creai il mio piccolo mondo-cuscinetto: la fotografia, il telescopio, la letteratura, i miei due amici Jacob e Liam, il trekking. Ero diventata abile nel gestire il dolore. L'isola felice era sparita e non ne rimaneva più neanche un granello di sabbia, avevo dovuto imparare a nuotare nel bel mezzo dell'oceano. Mio padre ha sempre cercato di fare del suo meglio, ma il suo dolore si rispecchiava nel mio ed entrambi cercavamo di spalleggiarci per non affondare in quell'infinito mare apparentemente privo di appigli. Fu così che qualche tempo fa capii una cosa molto importante. Quando si perde una persona cara, il dolore con gli anni non sparisce, è sempre quello, l'onda è sempre alta quando arriva ma siamo noi che siamo pronti ad affrontarla, iniziamo a conviverci e grazie all'istinto di sopravvivenza, ognuno a modo suo cerca la miglior cosa da fare per arginare la sua ennesima distruzione. L'aria si fece più fresca, respirai lentamente e alzai gli occhi al cielo. Le stelle sono sempre riuscite a far ridimensionare ogni cosa, sapere che l'ha fuori c'è l'universo mi ha sempre creato conforto, sapere che da questo minuscolo angolo d'universo, sospesi su una roccia altrettanto minuscola possiamo guardare l'immenso mi dava una pace incredibile, solo questo e poche altre cose riuscivano ad alleviare il mio dolore. Il dolore della perdita. Richiusi la finestra e mi rimisi sotto le lenzuola. Quella fu una notte come tante altre ma in realtà non ero cosciente del fatto che fu l'ultima in cui feci quell'incubo.

Due lune, un'anima.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora