~ Capitolo 3 ~

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Stephanie era solita svegliarsi presto alla mattina, alle sei nello specifico, per dare inizio a una ferrea routine che, come primo impegno, prevedeva le lezioni all'università. O, per lo meno, era così dal lunedì al venerdì. Giorno sacro il venerdì. Le lezioni si tenevano nel pomeriggio, lei poteva permettersi di dormire di più, a lavoro montava più tardi e quando smontava avrebbe potuto godersi del meritato riposo. Almeno fino all'inizio del turno successivo, è chiaro. In generale, tuttavia, il venerdì era la giornata pre-riposo. Tutto scorreva calmo, sereno, cadenzato.

Ma il suo nuovo coinquilino, dando voce agli incubi e timori della ragazza, aveva deciso di spezzare quella tranquillità.
Stephanie si rigirò nel letto più volte, coprendosi le orecchie con il cuscino, e sperando che l'uomo dell'altra parte della casa svanisse. Si ripetette più volte, in un'opera di autoconvincimento, di star sognando o di star avendo una qualche tipo di allucinazione sonora.

Ma non vi fu verso. Con un diavolo per capello si alzò dal proprio letto e, a passo di carica, si diresse direttamente alla fonte. L'ingresso. Lo vide non appena superò la zona notte. Era seduto comodamente sulla seduta della scala di metallo, spuntata da chissà dove. Aveva le braccia protese in alto, in tensione e contratte al punto da mettere in risalto la sua muscolatura, i capelli umidi gli ricadevano con piccole onde sul volto, l'espressione concentrata e attenta.
Stephanie, in un altro momento, avrebbe inarcato un sopracciglio interessata dalla visione. Ma, in quel momento, oltre al fastidio provocato dal frastuono mattiniero, non riusciva a scollare gli occhi da cosa stava tenendo l'uomo. Una telecamera.

Stephanie sospirò rabbiosa, passando si nervosamente una mano tra i capelli aggrovigliati. Non poteva crederci. Non era possibile. Prima il bodyguard e ora una telecamera in casa sua?!? No. Assolutamente no. Le sembrava di tornare a vivere a casa del padre. Con le stesse regole, imposizioni, privazioni. No. Non poteva permetterlo.

Sì guardò intorno nervosa mente e, con orrore, notò il proprio pavimento. Ammesso si potesse ancora essere definito tale. Era completamente sommerso da cavi e fili di diverse misure. Stephanie ne seguì alcuni e, con una rinnovata onda di ribrezzo, vide i cavi sparire in cucina, in balcone, alcuni persino nel corridoio da cui era arrivata. Come non li avesse notati, o come non vi fosse inciampata, proprio non se lo spiegava. Non che fosse importante al momento. Considerato che, ogni singolo cavo, aveva un punto in comune. Il portatile dell'uomo poggiato sul divano.

Stephanie vi si avvicinò e non appena ebbe sbirciato, si sentì mancare la terra sotto i piedi. Ogni ambiente della casa era su quel piccolo monitor.
La rabbia montò di colpo, come un incendio.
Con uno scatto repentino si voltò verso l'uomo e gli indicò il computer.

«Si può sapere che diamine è questa roba?!» Urlò sull'orlo di un esaurimento nervoso.

Adrian la scrutò dall'alto in basso, per poi sorriderle divertito. Stephanie aveva in dosso un buffo pigiama rosa con un enorme coniglio, le cui orecchie erano cucite in rilievo, scalza, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi dal sonno interrotto.
Non riuscì a trattenere una risata, seppur sommessa, e si concentrò invece a cambiare la punta del trapano. «Bel pigiama.» Commentò divertito riattivando l'oggetto.

Stephanie abbassò lo sguardo sul suo abbigliamento. Arrossì in imbarazzo, ma fu svelta a dissimularlo con un sospiro e inumidendosi seccata le labbra. Incrociò le braccia al petto, in una posizione risoluta, fissando nervosamente Adrian. Era convinta che avrebbe smesso di fare ciò che stava facendo, e le avrebbe dato delle spiegazioni.
Ma no.
Adrian la ignorava completamente, come se lei non fosse la proprietaria della casa che stava deturpando.
Stephanie tentò di richiamarlo un paio di volte, fallendo. Sì umettò di nuovo le labbra e, con due grandi falcate, arrivò alla presa dell'oggetto staccandola di netto.

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