5. Il diritto di essere tristi

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Immaginava che prima o poi anche i suoi genitori sarebbero venuti a conoscenza delle ultime novità, in un modo o nell'altro.

Non immaginava, invece, che seguissero così assiduamente i social della biblioteca, ma d'altronde rientravano nella categoria abbastanza in avanti con gli anni da aver trovato nelle piattaforme digitali l'unico sfogo di una generazione cresciuta col sol filo della cornetta quale mezzo di comunicazione principale.

Come da programma, le chiamate non si erano fatte attendere. Non ne aveva ricevuta una, bensì sei, tanto per ravvivarle un frizzantissimo mercoledì sera con una dose non richiesta di ansie e paranoie.

Angelica roteò gli occhi e posò a malincuore la sua copia de Le braci quando sentì il cellulare vibrare per l'ennesima volta e non ebbe neppure bisogno di guardare lo schermo per indovinare la sua interlocutrice.

Non fece neanche in tempo a rispondere, sua madre iniziò ad attaccarla con fantasiose ipotesi e teorie circa gli ultimi avvenimenti. La curiosità aveva anticipato le preoccupazioni, sua madre aveva preso una tangenziale mentale in direzione delle ipotesi più fantasmagoriche, le cui basi erano poggiate su anni e anni di sceneggiati televisivi.

«Per me si tratta di una storia di corna» sentenziò infine tutta tronfia.

«Mamma, stiamo parlando di incunaboli.»

«Vabbè, almeno non hanno ammazzato nessuno, sono solo libri.»

«Solo libri?»

Tuonò Angelica, sentendo una coltellata emotiva ben piantata nel petto. Sua madre la ignorò deliberatamente e per un sol attimo si creò uno di quei silenzi imbarazzanti, come quando l'una e l'altra parte avevano esaurito gli argomenti a loro favore.

«Comunque, fino ad ora sono stata occupata. Stavo lavorando a BTS» dichiarò Angelica, osservando la pila di fogli sparsi sulla scrivania.

In realtà stava leggendo, ma pur di terminare la conversazione aveva virato verso l'unica giustificazione che le era venuta in mente.

Era stata una lunga giornata alla Stazione di Polizia e Angelica avrebbe solo voluto affondare la testa nel cuscino e godersi serenamente le sue otto ore di sonno, al di fuori dell'assurda realtà che stava vivendo.

«BiTiEsse?»

«Banchetti tra sconosciuti. Te ne ho parlato, ricordi?»

Un sol momento di silenzio, pur tuttavia piuttosto lungo da risultare imbarazzante.

«Sì, lo sfruttamento.»

Come non detto, avrebbe gradito il silenzio.

Sarebbe stato di gran lunga preferibile alle lame acuminate che stava sentendo rigirarle dentro.

«Ma non sto lavorando lì. È come un volontariato... creativo.»

«Peggio. Almeno guadagneresti lavorando.»

Se inserire il dito nella piaga fosse uno sport agonistico, sua madre avrebbe già vinto tutti gli ori mondiali.

«Comunque, ti ho chiamata per un altro motivo... tuo padre ti ha già chiamata?»

Angelica glissò sull'inesistente tatto per volgere l'attenzione al nuovo argomento di discussione, pur tuttavia non riuscì a trattenersi dall'alzare un cipiglio.

«Ma non vivete insieme?»

Ci rise su, ma non udì alcuna risposta dall'altra parte.

«Mi ha scritto. Ha detto che verrà a trovarmi ad Amsterdam, pensa!»

Banchetti tra sconosciutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora