Cap II

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La sala del consiglio cittadino era in fermento. Sette qilin parlottavano tra di loro attorno al tavolo centrale; attorno a loro un'altra trentina bisbigliavano, nascondendo malamente il loro interesse per la questione che si stava discutendo.

Jinhe sedeva tra le postazioni della seconda fila, e stava ascoltando un vecchio qilin dalle corte corna rosso chiaro.

Spergiurava di avere una fonte attendibile, e che fosse ormai una mera questione di tempo prima che i messaggeri portassero la notizia. Jinhe annuiva, abbozzando un sorriso e tamburellando sul bracciolo.

Avrebbe voluto avere la confidenza del vecchio. O almeno delle fonti pessime come le sue.

Al tavolo del consiglio, i sette facevano del loro meglio per apparire rilassati, con vari gradi di successo.

Il giovane Xiao fremeva da capo a piedi, girandosi ora a destra ora a sinistra, chiamando con scatti delle mani e del capo servitori, uno dopo l'altro. Perfino da lontano, Jinhe lo sentiva lamentarsi sottovoce, pretendendo che gli si chiamassero i suoi qilin di fiducia o che si facessero sbrigare i messaggeri.

Accanto a lui, serafica a fissare il cielo fuori da una finestra, Hama pareva più interessata ai raggi del sole che alle notizie in arrivo. Sorrideva beata, gli occhi socchiusi e le dita che danzavano su corde invisibili. In un altro momento, Jinhe avrebbe considerato di pagare per sapere che melodia stesse componendo.

Finalmente, quando il vecchio qilin accanto a lui stava rienumerando per la terza volta i suoi informatori, l'ottavo consigliere, l'Anziano del Consiglio, entrò nella sala.

Vedendone il volto, il silenzio scese su tutti i qilin raccolti.

Fao era pallido, cinereo, ma la sua solita espressione pacata era intatta, una maschera di apatia che sembrava scolpita nel marmo. Estrasse una pergamena dalla veste dorata simbolo della sua carica, leggendola con teatralità.

Il qilin si schiarì la voce una volta, poi iniziò a parlare.

«Colleghi consiglieri, come tutti voi ben sapete, sei mesi fa il regno di Wu ci ha dichiarato guerra, marciando in forze contro le città della provincia di Tingyu» i consiglieri lo fissarono, così come tutti gli altri qilin nella sala.

Jinhe si stava sforzando di respirare piano.

«Sapevamo che, così come è iniziata improvvisa, improvvisa la guerra si evolve. Sono certo che tutti voi, qui in questa sala, avete avuto da tempo notizia dell'assedio del castello di Dazha» un'altra pausa ad effetto, che fece digrignare i denti a molti presenti «ebbene, è con mio profondo rammarico comunicare che quattro giorni fa il castello di Dazha è stato espugnato. Moltissimi sono i caduti da entrambe le parti, e questo ha paralizzato il nemico, tuttavia i nostri generali si aspettano che ricevano rinforzi a breve. Il nostro esercito si sta muovendo per porsi tra loro e noi, e per questo ci invitano ad inviare tutto l'aiuto possibile. E questo intende sia denaro, sia cibo, sia armi, sia soldati»

Sussurri sempre più frenetici percorsero il tavolo e le pareti. Il vecchio qilin accanto a Jinhe, che spergiurava sulla vittoria, adesso malediceva i suoi informatori.

Nel trambusto, Jinhe sentì l'ultima richiesta piovergli addosso come un macigno; Bagra era famosa per i suoi artisti marziali, nessuna meraviglia che i generali volessero anche loro nell'esercito. Di sicuro, in un'altra sala del palazzo, il consiglio dei maestri stava valutando la proposta.

Intanto, gli otto consiglieri si erano messi a discutere di dazi ed esenzioni, di depositi di garanzia e prezzi delle forniture. Jinhe prese un lungo respiro, chiudendo gli occhi e trattenendo il fiato nei polmoni.

In apnea, ignorando il trambusto, rivolse un breve pensiero a Feihua ed Aoren, sperando che entrambi si astenessero dal fare idiozie.

Avrebbe dovuto parlare con Aoren appena tornato a casa, ma in quel momento la discussione verteva sulle quote delle miniere, cosa che lo scaraventò dritto nel dover intervenire.

Ai fiori non importaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora