Cap XI

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Un silenzio irreale occupava la sala, avvolgendo tutto in un'atmosfera ovattata, dal palco rialzato per i consiglieri maggiori, fino alle gallerie degli spettatori e attendenti.

La sala del consiglio plenario era decorata con sfarzo, con colonne di legno profumato su cui rampicanti d'oro si arrampicavano in complesse coreografie. Tra le colonne sottili balaustre laccate di rosso e nero delimitavano gli spazi.

La grande pedana ottagonale al centro, con la mappa della città tracciata in sottili linee argentate sul marmo candido. Di fronte alla porta a due battenti, intarsiata con dragoni e tigri, oltre la pedana, c'erano i due scranni dove prendevano posto gli anziani del consiglio dei mercanti e dei maestri.

Jinhe trovò Fao già seduto, avvolto nella veste dorata e intento a parlare sottovoce con alcuni servitori. Alla sua destra, l'anziano dei maestri, Gu della scuola del Drago, sembrava focalizzato a tenere gli occhi aperti.

«Il maestro Gu ormai va per i centovent'anni» gli sussurrò Feihua in un orecchio, mentre si dirigevano ai loro spalti «dici che si addormenterà durante la riunione?»

Suo malgrado, Jinhe trattenne un sorriso.

«Credo di no» disse, mentre raggiungevano il suo posto «ci vediamo dopo, salutami tuo padre»

La qilin sorrise e se ne andò, diretta agli spalti superiori destinati ad attendenti e spettatori. Quel giorno erano quasi vuoti, la situazione drammatica aveva fatto rimanere solo i più discreti e i più indispensabili.

I sette mercanti del consiglio interno erano già seduti, e la consigliera Fu gli fece cenno di avvicinarsi.

«Si è dissetato?» chiese lei, il sorriso radioso in aperto contrasto con l'ansia nei suoi occhi.

«Abbastanza, la mia gola non è più così asciutta» Jinhe, in piedi dietro alla consigliera, guardò la fila dei maestri.

I sette della prima fila sedevano rigidi, tesi, cercando di apparire impassibili e austeri. Solo un paio ci riuscivano. In particolare, il maestro Fu pareva più annoiato che interessato, ma come la nipote non riusciva a tenere fermi i suoi occhi.

Quando vide il maestro Zhong parlare con il maestro Ken, Jinhe si concesse un sospiro di sollievo. Il qilin in giallo e nero ascoltava con interesse, annuendo. Jinhe si concesse di sperare che, dopo quella chiacchierata, la scuola del tuono si tenesse lontano dalla guerra.

Ormai quasi tutti i consiglieri avevano preso posto, e il brusio andò placandosi quando Finlao finalmente si decise ad alzarsi.

«Onorati colleghi del Consiglio dei Mercanti, venerati membri del Consiflio dei Maestri» iniziò, cantilenando come a voler far addormentare gli astanti «il generale del regno di Wu ci invia un messo, intende trattare la pace con noi, onde evitare una disgrazia come al castello di Daha»

Un mormorio sommesso si diffuse nella sala, ma senza mostrare grande sorpresa. Non c'era bisogno di spie o informatori per prevedere una mossa del genere.

Una città, mal fortificata ma pur sempre piena di mercati, era utile solo se lasciata intatta.

«Chiedo quindi la vostra approvazione a questa trattativa; onorati maestri?»

Alla domanda di Fao, tutti i maestri del consiglio interno alzarono la mano. Dopo che gli scribi annotarono la cosa, toccò al consiglio esterno; solo due mani rimasero basse.

Jinhe strinse i denti, perché il maestro Ken era uno dei due contrari.

Nel consiglio dei mercanti, solo Xiao del consiglio interno votò contro, mentre il consiglio esterno andò all'unanimità per la trattativa.

Ai fiori non importaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora