Capitolo 3 - parte 1-

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Non essendo mai stato, per natura, una persona preoccupata del suo aspetto estetico, ma solo e
soltanto della sua igiene personale, Matteo non ci mise granché a prepararsi per quella sera. Il suo
guardaroba non era di quelli che lasciava troppa scelta, tutto molto semplice, zero spazio alla
stravaganza, nessuna strana maglietta con marche a caratteri cubitali o colori improponibili, tipo il salmone, l'albicocca. Era solito vestire di nero o di bianco con un jeans o un pantalone, la camicia era il massimo dell'azzardo per le occasioni importanti, come questa.
Così, per quella sera lo si può ritenere pronto con ampio anticipo, anche se pronto lo è solo
nell'abbigliamento. Non prova ansia (dio ce ne scampi e liberi). È una di quelle cose che non ha mai provato nella sua vita. Che si trattasse di un esame, un'interrogazione o dei primi tentativi per
apprendere come sedersi sul cesso, era sempre piuttosto rilassato davanti a qualunque situazione.
Non è paralizzato, piuttosto eccitato, , freme, non riesce a stare fermo.
Non è più nella pelle, vuole rivedere quella donna quanto prima. Possibilmente parlarle, starle
abbastanza vicino da sentirne il profumo. Ma lì, in piedi, nella veranda della sua casa al mare, mentre aspetta che Flavio passi a prenderlo per raggiungere il locale, si trova ad ammettere a se stesso, uomo che difficilmente riusciva ad accontentarsi su qualcosa, che quella sera gli sarebbe bastato solo rivederla, non chiedeva altro. E questo lo faceva sentire in pace.
Sono quasi le 23.30 quando Flavio arriva con la sua auto. Matteo ha già bevuto qualche birra
nell'attesa, cerca di non restare mai totalmente sobrio, o quantomeno non troppo a lungo. Si ripeteva spesso che abituarsi alla lucidità è un rischio, si finisce col passare la vita a vedere le cose per come vogliono apparire, piuttosto che per come dovrebbero.
Nell'auto ci sono Flavio e la sua ragazza del momento, Ludovica. Ragazza strana, coi suoi alti e bassi.
Lo amava, e glielo dimostrava regalandogli bei momenti alternati a sfuriate apocalittiche su questioni che, non dico non esistessero (non sempre per lo meno), ma sicuramente non meritavano quei toni.
Una tipa categorica, dittatoriale, imperialista, simil-nazista, ma senza la tendenza al genocidio... uno o due omicidi al massimo.
«Buonasera ragazzi!».
«A te».
«Ciao Matthew! Come va? Che racconti?».
«Il nulla del nulla... voi che dite piuttosto? Come mai così tardi? Questa vita sessuale vi distrugge».
«Ma che vita sessuale! Quando una donna deve prepararsi per una serata non c'è né orario,
organizzazione o strategia che tenga».
«E certo, perché ovviamente è solo colpa mia e non tua che sei andato a giocare a calcetto alle otto di sera».
«Sono andato ed ero pronto e puntuale sotto casa tua, all'orario che mi hai detto tu, ma quando hai
scritto "un minuto e scendo" ho capito che era finita».
Prima che tutto questo possa sfuggire di mano, ma conscio del fatto che tanto sarebbe successo
comunque più avanti, Matteo decide di stroncare questa inutile conversazione. In parte per la buona vita della serata, in parte perché ha il desiderio di parlare di tutt'altro:
«Signori, signori, evitiamo inutili battibecchi. Anche perché sappiamo qual è l'unico modo per
ritrovare la pace dopo un litigio di coppia, ed è il sesso. E siamo in ritardo, oltre che in troppi qui
dentro, per poterci concedere questo lusso. Infatti, Flavio, prima che tu lo chieda la risposta è no, non sono interessato a una cosa a tre, non mi sembra il caso. Non ha nulla a che vedere con te Ludo, sei deliziosa nel tuo essere totalmente fuori di testa. Ma l'idea di essere vicino al corpo nudo e sudato del tuo ragazzo smonterebbe ogni accenno di erezione, oltre a causarmi conati di vomito e nausea».
Lei ride, Flavio prova a prendere la parola, probabilmente per spiegare che non avrebbe mai chiesto di fare una cosa a tre, non in quella situazione sicuramente, ma Matteo continua, cercando di portare sul piatto l'argomento cardine:
«Parlando di cose serie, parlando di cose belle... Ludo, mi è stato detto che stasera ci sarà Maria, ti
chiedo conferma adesso perché faccio ancora in tempo a chiedere di fermare la macchina e tornare a
casa se così non è».
«Ahahah, c'è, c'è tranquillo... ma tu la conosci? Vi siete mai presentati?».
«Ci ha introdotti uno specchietto retrovisore, non ci siamo detti molto. Cioè lei non mi ha detto
nulla, io le devo aver detto davvero molto, visto quanto la mia bocca era secca subito dopo... ma
credo di averci parlato solo nella mia testa».
«Cioè non vi siete neanche mai detti "ciao"?».
«Credo che i nostri sguardi non si siano neanche incrociati una volta».
«E quando l'hai vista scusa?».
«Tre anni fa, se non vado errato».
«Tre anni?? Cioè, e in tutto questo tempo che cazzo hai fatto?».
«Sarò onesto con te: in non rare occasioni l'ho sognata».
«Ah, perfetto».
Segue un breve silenzio che Flavio interrompe con una leggera risata, quasi un ghigno, per poi
esclamare la sua profezia:
«Sarà una grande serata».
Il locale è una ridondanza di bassi esagerati su vecchie canzoni italiane che rimbombano nella cassa toracica e sul diaframma, dando l'impressione di ballare anche a chi non lo sta facendo o non lo vuol fare. Grande, dispersivo, pieno di gente, ogni tipo di gente, alti, bassi, gay, damerini, figli di papà in camicie davvero troppo aderenti e fin troppo sbottonate col tentativo di dare ancora più volume a un pettorale già gonfio. E poi gelatina, brillantina, schiuma per ricci voluminosi, lacca.
Quel genere di posti non sono mai piaciuti a Matteo per mille motivi. Tra i più importanti si
annovera la totale mancanza di realtà, l'ostinata voglia di lasciar credere, anche solo per una sera,
anche per poche ore, di essere totalmente altro da ciò che di solito si è.
Persone sicure, persone che non hanno un problema, che sanno come divertirsi, guardare una donna, un uomo. E poi le abbronzature perfette, i pantaloni di lino, le scarpe pulite e i vestiti ben stirati.
Ostentare tutto, qualsiasi forma di felicità, purché sia riconosciuta dagli altri per sentirla come qualcosa di effettivamente vero.
Nessuno ha un lavoro di merda, un lavoro estenuante a cui presentarsi in orario il giorno dopo per raccontare quanto folle fosse stata la sera prima. Nessuna ha voglia di essere da tutt'altra parte, tra le braccia di qualcuno che si odia e si ama, non prima delle tre o delle quattro del mattino per lo meno.
Che razza di posto è un posto dove non si parla, dove si recita e basta?
Hollywood, ma con la gente comune.
Una schiera di scadenti, mediocri attori e attrici, che pretendono di vincere il loro piccolo Oscar con la prestazione più breve e arrangiata della storia.
Un altro motivo per cui odiava quegli ambienti era la comunicazione, assente. La musica era troppo alta e troppo sbagliata. Un ragazzo come lui, affamato di parole, prolisso anche nel suo modo di respirare, incapace di mantenere il silenzio sin dai primi vagiti, non poteva che sentirsi chiuso in gabbia lì, dove esprimersi era impossibile se non a gesti. Questo e molto altro appesantiva la mente di Matteo. Tuttavia continuava a camminare con un sorrisetto impaziente sul viso verso il tavolo che avevano prenotato. Aveva i suoi ottimi motivi per sopportare tutto il contesto di questa sera. L'attesa era finita. Presto avrebbe rivisto chi da anni, a giorni alterni, faceva quel simpatico, intrigante e sensuale cameo nei suoi sogni.
Il piccolo privé è su un terrazzino che si affaccia sulla pista da ballo, due divanetti bianchi a due posti lo separano dagli altri privé tutt'intorno. Non manca praticamente nessuno. E Matteo pensa: ottimo.
Tra i mille cliché stucchevoli da sentire (e fin troppo abusati) "il ritardo rende affascinanti" era
decisamente il suo preferito.
Tutti conoscono tutti.
C'è Claudio, amico di una vita, ora residente a Milano con la sua ragazza del nord. Giacomo,
l'organizzatore vero e proprio, colui che, spesso e volentieri, conosceva i titolari di tutti i locali. Lui
si preoccupa di scrivere i messaggi, avvisare, prenotare e assicurarsi che tutto vada come previsto. E poi Vincenzo, amico di infanzia di Giacomo. Sono sempre insieme, godono di questo genere di serate in cui poter lasciar andare tutta la loro simpatia, e illudere chi gli sta intorno di star vivendo un momento di totale spensieratezza.
Molti altri sono venuti quella sera, e Matteo stringe la mano e abbraccia tutti quanti, simulando, con discreta credibilità, interesse per le loro domande di circostanza.
Ma gli occhi cercano altro, e lo fanno in maniera spregiudicata.
Tanta è la foga della ricerca, che Flavio, non un acuto osservatore di cose che non siano tangibili (o smontabili e rimontabili), se ne rende conto. Sporgendosi verso di lui gli dice all'orecchio:
«È lì, vicino al parapetto, sta salutando Ludovica».
«Non la vedo, cazzo».
«E guarda meglio».
E lui guarda meglio. Il cuore comincia a battere nelle orecchie nel tentativo disperato di fargli capire che doveva decelerare, o comunque prendere dei provvedimenti, perché così veloce non si poteva
continuare ad andare.
Fa caldo, ma quello che comincia a sentire Matteo non è come quel caldo di un'umida e
appiccicaticcia serata estiva in Puglia. La musica sparisce, diventa un lontanissimo sottofondo di
tamburi, le persone intorno sono ombre che non sarebbero in grado di oscurare la visuale nemmeno se si mettessero di mezzo. I suoi occhi fissi sulla ragazza che, lì per lì, è pura poesia in movimento. I sandali neri con l'allacciatura alta abbracciano un paio di piedi semplicemente perfetti, curati. Le unghie bordeaux sono la scelta ideale per la sua pelle scura, baciata dal sole di un'intera giornata passata al mare. Può quasi sentire, a distanza, il calore che la sua pelle ancora emana. Non aveva sbagliato la prima volta, non era stato l'inganno dello specchietto: le sue gambe sono
veramente interminabili e stupende. Un tubino nero le copre il busto e tutto ciò che è necessario non far vedere. Guardando quelle spalle nude, Matteo è costretto a chiudere i pugni, forse per convincersi di avere ancora un minimo autocontrollo.
Maria regge un cocktail, il bicchiere bianco fa da perfetto contrasto per potersi soffermare qualche
istante di più sulle mani, bellissime anche loro, decorate da vari anelli. Per un momento gli sembra di sentire quelle dita passargli tra i capelli e accarezzargli il petto. I capelli neri e lisci, fanno da cornice al viso più unico che abbia mai visto. Gli occhi sono gemme scure, incastonate in mezzo a zigomi taglienti ma allo stesso tempo delicati, in un modo tutto loro. Le labbra sono grandi, rosse e carnose, e celano un sorriso che spezzerebbe la volontà di qualunque uomo sano di mente e non. Forse perfino di qualche donna.
«Oh Padre veramente santo, allora hai fatto anche qualcosa di buono a questo mondo».
Si dice ad alta voce Matteo mentre resta fermo lì, e immagina di poter realmente condividere un
pensiero con il Signore.

Una canzone dagli accordi fuori tempoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora