Capitolo 4

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La musica ora non dà più fastidio, è diventata un rumore ovattato. Non sono lontani, ma devono
essere in un punto del locale verso cui non è orientata nessuna delle casse ed è quindi possibile parlare con un tono di voce normale.
Alla fine di un vialetto c'è uno spiazzo, nell'angolo più lontano dello spiazzo un grande gazebo bianco in legno circondato da lunghe tende, anch'esse bianche. Si sente un basso vociare provenire da lì dentro, ma nessuno schiamazzo, come se fosse pieno di persone intente a raccontarsi segreti.
Superfluo dire che non sono proprio segreti ciò che si sta scambiando in quel luogo.
Giacomo si avvicina al gazebo e apre la tenda senza esitazione. Tutti, per una breve manciata di
secondi, si muovono come quando gli scarafaggi vengono scoperti sotto un grande masso. Qualcuno si lascia scappare un "oh", altri istintivamente nascondono il viso tra le mani e pensano alla fuga, c'è anche chi non si muove di un millimetro (non per sangue freddo, ma per incapacità di processare quanto sta accadendo davanti ai propri occhi).
«Calma, sono io», dice Giacomo cercando di tranquillizzarli.
«Oh Giacomo, cazzo, devi dare voce quando vieni...», (tira su col naso).
«Porca puttana, il cuore me lo fai scoppiare tu, non la cocaina», (tira su col naso).
«Mi sono dimenticato, hai ragione hai ragione», (tira su col naso).
«Questo è un amico mio, un grande... Matteo...», (tira su col naso).
«Sera a tutti gente della notte...Matteo, piacere di conoscervi», (tira su col naso anche lui, più per
segno di rispetto che per altro... un po' come quando ci si presenta in una tribù e bisogna stare alle loro usanze).
Ci sono sette persone nel gazebo, tra queste riconosce quasi subito, con suo stesso stupore, l'amica della ragazza dal costume blu. Sono tutti seduti in semicerchio su dei divanetti bianchi e dei grandi cuscini. Al centro c'è un tavolino quadrato in vetro con la base in vimini. Sul tavolino delle sigarette, due bottiglie di Belvedere, un numero imprecisato di bicchieri da cocktail, alcune bustine di cocaina
chiuse e cinque strisce già preparate, perfettamente allineate.
Al saluto rispondono quasi tutti con un "ciao", non si alza nessuno, nessuna stretta di mano, ma va benissimo così.
Giacomo si volta verso Matteo e, senza riuscire a guardarlo negli occhi, né in qualunque altro punto del viso, gli dice:
«Lui è Massimo, il titolare del locale Mattè».
"Lui" era l'uomo a cui stava per scoppiare il cuore poco prima. Avrà avuto tra i 33 e i 36 anni. Barba
lunga e curata, carnagione scura, camicia bianca di lino, pantalone bianco di lino, infradito bianche, sorprendentemente non di lino.
Ha in mano una tessera sanitaria e sta finendo di aggiustare la quinta striscia.
«Ciao Mattè... se vuoi qualcosa serviti tranquillo... gli amici di Giacomo sono amici miei».
«Grazie dell'offerta Massimino, ma sto a posto così... e comunque complimenti per il circo che hai tirato su... i clown fanno sbellicare e le scimmie parlano, da non credere, dovrai dirmi come hai fatto prima o poi. In realtà sono venuto per la signorina laggiù».
La ragazza si punta l'indice contro il petto e si guarda intorno.
«Per me?», chiede ad alta voce e con stupore.
«Mais oui madame, sono la sua carrozza... c'è di là Marta che ti cerca ed è sull'orlo di una crisi di
nervi... credo si chiami Marta. La situazione ci è sfuggita di mano e ora siamo tutti e due confusi sulla questione nomi».
La ragazza sbuffa, Matteo pensa sia irrispettoso e si augura che quell'amicizia non duri.
«Le avevo detto che sarei tornata a momenti, non la posso lasciare un attimo da sola... ogni volta la
stessa storia, sembra di stare con mia madre...».
Si alza e prende l'uscita dal gazebo dirigendosi a passo svelto, e continuando a borbottare, verso il
vialetto. Mentre si allontana, Matteo risponde a quel brontolare:
«È vicino al bar...e devi farmi assolutamente conoscere tua madre».
Giacomo ha già preso il posto della ragazza e si sfrega le mani.
«Bene», dice Matteo, e tira su col naso, «il mio compito qui è finito, tolgo il disturbo col massimo silenzio e torno alle mie cose. Spero che la vostra serata possa continuare nel migliore dei modi... Maximilian, ancora complimenti, mi piace un sacco come hai arredato questo posto, il bianco deve essere davvero il tuo colore preferito. Ci si vede presto, sempre che Giacomino impari a bussare».
Massimo sta per rispondere al saluto, Giacomo ha già sollevato la mano e sta per raccomandarsi di dire agli altri che sarebbe arrivato a minuti. Ma la tenda si riapre di scatto, mandando di nuovo tutti in paranoia. È sempre la ragazza, visibilmente agitata. Non dà spiegazioni, riesce a dire solo:
«I Carabinieri!».
Nessuno fa in tempo a fare niente.
Non ci sono vie d'uscita, se non il vialetto da cui sono arrivati. Da quello stesso sentiero arrivano sei carabinieri in divisa e due in borghese, sicuramente già da un po' nel locale e già da un po' incuriositi dal via vai in quella zona. Uno dei ragazzi del gazebo prova a scavalcare il muro di cinta, ma è troppo alto e viene fuori un gesto totalmente ridicolo. Qualcuno comincia a piangere. Massimo torna dietro le tende e cerca di far sparire quanta più roba possibile, ma i carabinieri sono già dentro e lo fermano.
I due in borghese restano sull'ingresso del sentiero per assicurarsi che nessuno vada via. Gli altri sei cominciano a mettere ordine.
Matteo si avvicina al sentiero camminando senza fretta, gli agenti in borghese lo fermano dicendogli che non può allontanarsi e che deve restare calmo.
«Sono calmissimo signori, io qui non c'entro assolutamente niente, volevo solo cercare una pers...».
«Signore le spiegazioni le darà poi in centrale, adesso resti calmo qui per cortesia».
Quelle parole, e i modi pacati del carabiniere, non fanno desistere Matteo, il quale comincia a farsi un'idea di come la cosa stia prendendo una piega del tutto sbagliata.
«No agente lei non capisce, io questi non li conosco proprio... mi ci sono trovato in questa parte del locale».
«Mattè! Matté! Questi sono pazzi, mi vogliono arrestare! Io non ho fatto un cazzo, oh! Non ho fatto un cazzo! Diglielo Mattè!», la voce è di Giacomo, totalmente preda di un attacco di panico, bloccato dai carabinieri, che si dimena accanto al gazebo. Sul volto di Matteo prende forma una triste rassegnazione.
«Conosco solo lui, cioè lui conosce me... ma sono pulito... c'è qualcuno che mi aspet...».
«Signore per favore, deve aspettare con gli altri mentre i colleghi prendono le generalità, glielo stiamo chiedendo per cortesia, altrimenti ci costringe a usare le manette».
«Le manette? State scherzando spero, non ho ammazzato nessuno, sono qui per una coincidenza, fatemi un cazzo di test e vedrete che sono pulito, no? Ditemi dove devo pisciare, visto che non volete lasciarmi andare. Come funziona? Mettete le mani a coppetta, io la faccio, voi annusate e mi dite cosa ho mangiato e se ho assunto stupefacenti».
Matteo ha sempre avuto la fortuna di sapere (e poter usare) molte parole. Purtroppo però, ha avuto anche la sfortuna di non essere mai stato un tipo calmo e paziente di fronte a una minaccia. Non c'è nessuna spiegazione, nessun'altra richiesta: uno dei due agenti sfila dalla cinta un paio di manette,
attacca un'estremità al polso sinistro, la ruota leggermente forzando Matteo a girarsi, afferra il braccio destro, e prima che lui possa dire "andiamo ragazzi, fate sul serio?", si ritrova ammanettato e accompagnato accanto agli altri.
La sfilata che porta tutti verso l'uscita dura fortunatamente poco. La fase del blitz si è svolta lontano da occhi indiscreti, quindi ad accorgersi del gruppetto di ragazzi scortati fuori dai carabinieri sono giusto i più attenti, i più vicini e i meno ubriachi. Dal terrazzino sembra che nessuno abbia notato niente.
In macchina, seduto sul sedile posteriore, Matteo fissa il vuoto fuori dal finestrino, con le manette
ancora ai polsi, quasi fosse davvero un criminale. Non riesce a pensare a molto. Non riesce neanche
a ripercorrere la serie di circostanze che lo avevano portato in manette su una volante dei carabinieri.
Non riesce e non ne ha voglia. In quel momento di sconforto, lasciandosi andare sul poggiatesta
dell'auto, la mente ha la forza di pensare solo a una cosa, a quanto era bella Maria quella sera.
Aveva visto tante donne fino ad allora, molte di loro erano bellissime, così belle che di alcune non
faticava a ricordare i dettagli, i vizi, i piccoli difetti. Eppure tutto diventava sfocato, secondario, superfluo quando lei prendeva posto nella sua testa. Aveva la capacità di infilarsi sotto la sua pelle con un solo sorriso.
"Colpo di fulmine", penseranno alcuni di voi. Niente di più lontano dalla realtà.
Quella sera le aveva parlato per la prima volta ed era come non aver fatto altro per gli ultimi tre anni.
Non era solo qualcosa di platonico, lo percepiva anche a livello fisico. Poteva sentire il sangue
pompare dal cuore, le vene far fatica a contenere il flusso, i muscoli tesi, come davanti a qualcosa che si vorrebbe anche solo appena sfiorare, ma di cui si ha la consapevolezza di una fragilità che richiede un'attenzione estrema.
Già solo essere nello stesso luogo in cui era lei lo eccitava, non aveva più alcun controllo su niente, né tantomeno sentiva di volerlo. Tutto ciò che desiderava era abbandonarsi a quelle sensazioni,
abbandonarsi all'eccitazione, sentire le sue dita addosso, le sue mani che si prendevano cura di lui.
Baciarla fino a consumare l'ossigeno e farci l'amore per tutto il tempo possibile.
Anche ora, in quell'auto, pensare a lei su quel parapetto, ai suoi lunghi capelli e alle sue labbra, causa un'incontrollabile erezione. Chiude gli occhi, abbassa la testa, la scuote, come per mandare via un pensiero troppo bello e lontano.
Sul bancone del locale, intanto, due gin tonic stanno sudando, il ghiaccio si sta sciogliendo, presto non saranno altro che acqua leggermente aNicole, dello stesso sapore delle occasioni perse.
In caserma capiscono, dopo un'ora e mezzo, che Matteo effettivamente, non c'entra nulla. Ma lo
hanno tenuto tre ore di più per impartire una qualche tipo di lezione sulle buone maniere da usare con le forze dell'ordine.Finite le domande di routine aveva potuto chiamare Flavio, il quale,
preoccupato, aveva già provato a contattarlo più volte.
«Ma dove cazzo sei finito?».
«Sono alla caserma dei carabinieri, mi hanno arrestato, credo. Non so se sia il termine corretto,
comunque è stato un malinteso, dovrebbero lasciarmi andare tra poco. Devi venirmi a prendere, perché altrimenti non so come cazzo tornare a casa».
Era seguito un silenzio di qualche secondo.
«Ma tu stai scherzando ovviamente».
«No Fla, ho dovuto raccontare tutto dieci volte, è una lunga storia, lunghissima, e ogni volta che la
racconto mi sembra di sentirla uscire dalla bocca ed entrarmi nel culo. Vienimi a prendere, se domani il culo mi farà un po' meno male proverò a renderti edotto».
«Non ho parole... il tempo di arrivare comunque».
«Grazie Fla'... ah, Giacomo è stato arrestato pure lui. Però non credo uscirà con me, potrebbe volerci un po' di più».
«No vabbè, non dirmi più nulla, non so che cazzo avete combinato e non voglio saperlo adesso.
Devo portarti qualcosa? Servono soldi? Che devo fare?»
«Portami qualcosa da bere, whisky sarebbe perfetto, altrimenti va bene anche una birra... e
comprami un pacco di sigarette, le mie se le sono finite i compagni di cella».
«Sei un coglione, sto arrivando».
Perciò, quando si sono ormai fatte le 04.15 del mattino, Matteo mette finalmente piede fuori
dall'edificio. È stanco, con la camicia slabbrata e i polsi indolenziti. Flavio lo sta aspettando di fronte all'uscita. Appena lo vede gli va incontro, gli porge la birra, sfila una Merit dal pacchetto e gliela infila in bocca, si tira fuori dalla tasca un accendino e la accende. Matteo fa un bel tiro, la prende tra le dita, butta il fumo verso il cielo, guarda Flavio negli occhi e gli dice:
«Io li odio quei cazzo di locali».
«Tanto non ti ci porto più, mi fai fare solo figure».
«Maria?».
Aveva paura di chiederlo, in tutta onestà, non era sicuro di voler sapere se fosse rimasta male, se si
fosse arrabbiata o se lo avesse visto uscire in manette. Da troppo tempo lei era solo una fantasia, un film nella sua testa. Ma aveva bisogno di sentire qualcosa di reale che la riguardasse, anche solo per avere l'impressione di poterla ritoccare con mano.
«Sono tutti ovviamente a casa, ce ne siamo andati dopo un'oretta... quando si è sparsa la voce che erano arrivati i carabinieri e avevano portato via della gente... certo, mai pensando che in mezzo a quella gente ci fossi anche tu».
«Credimi amico mio, faccio fatica a crederci anche io...».
Dà un altro lungo tiro alla sigaretta, si volta verso la caserma dei carabinieri alle sue spalle, alza il dito medio, esclama "fanculo", poi si volta di nuovo verso Flavio.
«Portami a casa».
Una volta arrivato a casa sono quasi le cinque del mattino.
Comincia a intravedersi la luce del sole all'orizzonte. È stanco, ma non ha abbastanza voglia di mettersi a letto. Le pareti della stanza sembrano ancora troppo strette. Esce e decide di andare a bere un ultimo drink in un locale sul mare, a poco più di cinque minuti da casa. Un locale che durante la stagione estiva fa quasi sempre orario continuato e che già in altre occasioni lo aveva salvato da notti
insonni.
Quando arriva non c'è quasi nessuno, giusto qualche gruppo di amici che fa colazione prima di
andare a letto, a chiusura della serata.
Si avvicina alla cassa e aspetta che si presenti qualcuno. Passa qualche minuto ma neanche ci fa caso.
Alla fine arriva la cassiera. Una giovane ragazza con i capelli legati in due trecce, il naso leggermente aquilino, gli occhi grandi (grazie al trucco ancor di più). Indossa la divisa del locale, una maglia con uno scollo largo, il seno è abbastanza grande da attirare l'attenzione dell'occhio anche non volendo.
Le deve essere successo più volte perché se ne accorge ma fa finta di non farci caso.
«Scusa per l'attesa», esordisce solare nonostante l'ora. Matteo apprezza la professionalità.
«Figurati, a quest'ora non è più concesso avere fretta».
«Eh, eppure c'è gente che ce l'ha... e te lo fa pesare».
«Quei clienti dovreste farli servire dal cameriere più brutto che avete>>
«Ahahaha... perché?».
«Come perché? Se dopo aver atteso arrivi tu, per quanta fretta si possa avere, uno finirà sempre per pensare che n'è valsa la pena... proprio come è appena successo a me».
«Giusto...», interrompe con un leggero sorriso.
«Invece se fai arrivare un tipo orrendo, magari con dell'acne qua e là, avrà quello che si merita:
delusione su tutti i fronti».
«Non ci avevo mai pensato, farò mio questo consiglio da oggi in poi».
«Un piacere esserti stato d'aiuto».
«Prendi qualcosa? O entri nei locali solo per elargire preziose perle di saggezza e basta?».
«Come pensi mi sia possibile elargire preziose perle di saggezza senza prendere qualcosa in tutti i locali in cui entro?».
Lei sorride, lui sorride.
«Whisky».
«Arriva».
Lo prepara lei stessa, mentre Matteo si poggia sul bancone all'aperto e si accende una sigaretta.
«Prego».
«Grazie... perdona la mancanza di maniere, non ti ho chiesto se vuoi qualcosa tu, dopo una lunga
giornata di lavoro».
«No no io no, ho già dato per ora».
«Se hai già combattuto allora meriti il riposo del guerriero...non insisto».
«Sei strano tu».
«Strano in un bel modo spero».
«Non so sbilanciarmi, ma di sicuro sei strano».
«Ho deciso che lo prendo come un complimento, mi piace l'idea di ricevere un complimento da una bella donna».
«Fai tutto da solo, insomma».
«Un uomo deve saper far da solo. Ahimè, finiamo per far da soli più volte di quante ne immagini...».
«Dove sei stato di bello stasera?».
«Sono appena uscito di prigione».
«Ahahahah...ma come ti vengono?».
«Talento, credo».
Scambiano qualche altra battuta, parlano di quanto sia faticoso lavorare in un locale che fa certi orari, del fatto che il suo turno sarebbe finito nel giro di mezz'ora, del caldo, del tempo, del nulla. Poi Matteo chiede il conto e lei si dirige verso la cassa. Torna al bancone sorridendo e guardandolo negli occhi gli porge scontrino e resto.
«A presto allora, buon proseguimento».
«A presto... e tieni duro, ci sei quasi».
«Ce la farò!».
Quasi sull'uscio del locale Matteo mette il resto nella tasca posteriore e guarda con più attenzione lo scontrino. Sul retro c'è un numero di telefono e la scritta "se proprio non hai sonno chiamami...
Ilenia". Si volta verso il bancone, lui ricambia il sorriso con lo sguardo di chi si sente colpito.
La chiamerà... perché quella notte aveva portato con sé tante cose, ma non il sonno. Quaranta minuti dopo saranno tutti e due nel suo appartamento in affitto, accanto al locale. Su un vecchio letto cigolante. Tutt'altro che stanca salterà su di lui, piena di vita e di voglia. Matteo, con le mani sulle sue cosce, si godrà lo spettacolo dei seni. Cambieranno posizione, si divertiranno in più modi.
Un intero turno di lavoro non aveva minimamente destabilizzato il desiderio che la breve chiacchierata aveva generato. Avrà il suo orgasmo mentre lui la spingerà a sé, con le mani sui fianchi.
Non avrà vergogna di far sapere di averlo avuto, sottolineandolo con un grido di piacere. Dopodiché si lascerà andare in avanti e si stenderà a pancia in giù, con l'affanno e un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Lei prenderà sonno poco dopo, finalmente stanca e soddisfatta.
Lui resterà steso qualche minuto. Poi si alzerà, si rivestirà in silenzio, riprenderà lo scontrino sul quale c'era scritto il numero di telefono, ci scriverà sopra "grazie per lo splendido sesso" e lo lascerà sul comodino.
Chiuderà la porta dell'appartamento alle sue spalle, si accenderà una sigaretta, osserverà il fumo disperdersi nei colori leggeri dell'alba e prima di incamminarsi a casa si dirà ad alta voce: "sarebbe davvero bello se anche tu mi stessi immaginando nei tuoi sogni, così come ti ho immaginata io fino
a poco fa, Maria"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 28, 2023 ⏰

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