Capitolo 3 - parte 2

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Maria è con una sua amica, una ragazza silenziosa e sulle sue, almeno fino a quando non riesce a prendere confidenza e lasciarsi un po' andare. Matteo fa l'ultimo tiro alla sua sigaretta, la getta via e si avvicina.
«Salve a voi tutte!».
«Ciao», rispondono praticamente in coro.
Prontamente interviene, a questo punto, Ludovica:
«Questo è Matteo, un caro amico di Flavio... Matteo ti presento Teresa e Maria».
«Molto piacere Matteo», dice stringendo la mano a Teresa.
«Molto piacere sempre Matteo», dice entrando, per la prima volta dopo tre anni, in contatto fisico
con Maria.
La sua mano è esattamente come l'aveva immaginata: morbida, piccola e da non lasciare mai andare.
«Allora, che mi sono perso ragazze?».
«Mha, direi nulla, non siamo arrivate da molto. Ci siamo godute praticamente solo il caldo assurdo di questa sera».
Mentre Matteo sente queste parole uscire dalla bocca di Maria, tutto quello a cui riesce a pensare è quanto sia piacevole ascoltarla parlare, anche solo del tempo, anche se il tono di voce è più alto del normale per via della musica alta che li disturba.
«Ah, qualche discorso da affrontare ce lo inventeremo nell'arco della serata, ma certo non possiamo perdere tempo parlando di quanto sia strano il caldo in estate, invece di parlare di cose serie, tipo da dove vieni, cosa fai nella vita, chi ti ha costretta a essere qui, questa sera, in questo teatro dell'assurdo, quanti anni hai...».
«Sono un sacco di domande per poter rispondere in una volta sola», dice lei.
«Facciamo una alla volta, allora».
«Vengo da Brindisi».
Credimi Maria, lo so bene, non hai idea di quanto bene lo sappia, pensa intanto Matteo.
«Ottimo, non l'avrei mai detto».
«Ah no? E che avresti detto?».
«Un posto esotico, degno di una bellezza esotica».
«Ah ecco», esclama sorridendo, e quindi facendo di nuovo impazzire i battiti di Matteo.
«Continua, ti prego».
«Vediamo... ho 24 anni... e poi...».
«Anzi no, fermati. Le altre domande me le tengo per dopo, quando i drink diventeranno un bel po'
e le parole saranno molto più difficili da contare», dice lui per rallentare e darsi la possibilità di godere di quei momenti quanto più a lungo possibile.
«Va bene, anche perché devo pensarci un po' alle risposte»
«Se lo fai mi offendo, prepararsi non vale. Io tifo per l'istinto e le cose dette di pancia».
Parla, scherza, fuma con chiunque, ma non riesce a staccarle gli occhi di dosso... e sembra che lei lo
sappia, anche se non lascia trapelare alcun segnale. Matteo li cerca. Qualunque cosa, il minimo sguardo di ricambio, il minimo piccolo segno, ma niente. E lei resta lì, accenna qualche movimento sulle note di una canzone, parla con Teresa, l'amica che le resta incollata accanto quasi fosse la sua guardia del corpo, ride, sorseggia e ride ancora.
Passano minuti che sembrano durare anni, ma finalmente il bicchiere di Maria adesso è vuoto e
Matteo se ne accorge. È l'occasione giusta per potersi concedere un altro tuffo in quel mare di
sensualità ed erotismo che si è rivelata essere una conversazione con lei.
«Allora, spero che tu non ci abbia pensato troppo... pronta per il secondo round?».
«Non ci ho pensato nemmeno un secondo, spara».
«Bè, prima di tutto devi concedermi di fornirti un bicchiere che sia pieno, posso? Mi concederesti
questo piacere?».
«Va bene».
«Perfetto, aspetta qui. In questo posto servono un drink che lo bevi e non riesci più a stare zitto. Ne prendo due e arrivo».
Si allontana sorridendole e venendo ricambiato.
E non credo esista modo migliore per allontanarsi, se proprio bisogna farlo, da una donna cosi.
Una volta arrivato al bancone del bar, dopo aver dribblato qualcosa come mille orangotanghi in tiro per un gran galà nella giungla, Matteo attira l'attenzione del barista alzando il dito. Il ragazzo gli si avvicina, ha i capelli legati in una coda di cavallo e le braccia piene di tatuaggi che raffigurano bicchieri e Boston di vario tipo. Si china sul bancone, gli prende lo scontrino dalle mani e porge l'orecchio per sentire l'ordinazione.
«Due gin tonic, Monkey se ce l'hai, altrimenti va bene anche Bombay».
«Arrivano».
Prima ancora di poter decidere su cosa far cadere la propria attenzione per ingannare l'attesa, una
mano si poggia sulla sua spalla.
«Se non fossi consapevole che è una cosa impossibile, direi che mi stai seguendo».
Matteo si volta e, con giusto stupore, si trova davanti la ragazza dal costume blu, la stessa ragazza che, quella mattina, lo aveva deliziato con del semplice (ma interessante) sesso occasionale.
«Ma tu guarda se il mondo non è il più piccolo sobborgo che si possa immaginare».
Segue una pausa che lascia ampiamente intendere il fatto che, anche in una condizione di lucidità, gli sarebbe tornato davvero difficile ricordare il suo nome.
Non si sente in colpa.
«Marta».
«Marta ovviamente, da Marte, dio della guerra... e tu, mia cara, sai lottare eccome».
«Non preoccuparti, credo di non avertelo mai detto il mio nome».
«Accidenti, in tal caso non avresti dovuto farlo, hai rovinato la magia».
«Magari ti ho mentito, magari mentire è l'altra cosa che adoro fare», dice inclinando la testa e
sollevando lo sguardo in modo espressamente malizioso.
«L'altra... la prima sarebbe?...oh...ohhh...wow, ma guarda tu, e fu di nuovo magia».
Lei si lascia andare in una risata di gusto, poggia la mano sulla sua spalla:
«Scemo».
«Che ci fai qui sta sera? So che detto da me, che sono qui a mia volta, suona ridicolo, ma dei tanti
posti in cui potersi divertire in questa bella regione, perché hai scelto proprio questa schifezza».
«Dipende dal tipo di divertimento che si sta cercando, no?».
La ragazza non ha tutti i torti.
«E chi mai sono io per giudicare chi, di certo, sa bene come divertirsi... e dove divertirsi».
«Bravissimo... anche se, a dir la verità, è da una decina di minuti che non mi diverto più».
«Che è successo?».
«Ho perso la mia amica qui, da qualche parte, la ragazza che era con me oggi a mare, ricordi?».
«Vagamente, c'era un così bel mare che sono stato quasi costretto a guardare altro».
«Dai, sono preoccupata davvero».
«È un posto grande e affollato, è più facile perdersi che trovarsi. Anzi, non vieni in macellerie come queste per trovarti, ci vieni proprio per perderti...», "questo, però, non vale per me oggi", si trova a pensare Matteo, impaziente di tornare accanto a Maria, quanto più vicino possibile, così da sentirne bene l'odore e poterlo conservare nella testa e nel naso, per qualche ora almeno, «...quindi direi che
tutto sta andando secondo i piani».
Ma la ragazza dell'allora costume blu, e dell'adesso vestitino rosso terribilmente aderente e spaventosamente corto, ora si è fatta più seria, la preoccupazione di cui parla è effettivamente visibile.
«Ehi, vedrai che è qui da qualche parte, tranquilla... l'hai persa mentre era con qualcuno?».
«Abbiamo incontrato un amico che ci ha detto che stavano andando a farsi due botte al volo, e ci ha chiesto se volevamo unirci... a me quella roba fa schifo, queste cose non te le direi nemmeno se tu non fossi praticamente l'unico che conosco qua dentro... se posso dire di conoscerti...».
"A me quella cosa fa schifo" è una di quelle frasi che, ogni persona che faccia un uso sporadico di
cocaina, utilizza almeno due volte al giorno. La prima col conoscente di turno che si incontra in
qualche bar o per strada, la seconda davanti allo specchio, con se stesso. Matteo lo sa, ci pensa, ma
non interrompe il racconto per dire qualcosa di cui, sicuramente, entrambi sono già al corrente.
«...comunque l'ho accompagnata in bagno, lei è entrata ed è uscita poco dopo. Mentre stavamo
tornando ha detto che doveva rientrare perché aveva prestato il cellulare a questo suo amico e aveva dimenticato di farselo restituire... da allora non la trovo più».
La domanda sorge spontanea a Matteo proprio come sarebbe sorta a tutti.
«Sei tornata in bagno a controllare?».
Lei risponde senza parole, ma con uno sguardo leggermente stizzito che vuole dire: "mi fai davvero così cretina?".
«Ho capito, ma ci sei entrata in bagno? Anche in quello degli uomini?».
«No, in quello degli uomini no...mi sto preoccupando».
«Stai tranquilla, sicuramente è qui in giro che ti cerca... facciamo così: aspettami qui al bar, ho
ordinato due gin tonic, io vado a vedere se è in bagno, ok?».
«Grazie, scusami davvero se ti sto rovinando la serata».
«Non ti preoccupare, vado e torno... magari se vede te quel cazzo di barista i cocktail me li fa
davvero».
La ragazza di rosso vestita è leggermente più rasserenata mentre Matteo si avvia verso i bagni.
Nell'area che precede l'ingresso alle toilette, alcune coppie si baciano contro i muri in maniera
maldestra, senza controllo, visibilmente ubriache. Lo fanno solo per poter dire di averlo fatto, non certo per il piacere che può esserci dietro, non certo per quell'eccitazione, quella crescente voglia di più, di altro, che dei baci appassionati tra due amanti, anche occasionali, portano in dote.
Matteo li osserva, si chiede per un attimo se Jaques Prevert avesse quello in mente quando scrisse "I ragazzi che si amano".
Si risponde con una certa sicurezza di no.
La porta del bagno si apre prima che lui possa poggiare la mano sulla maniglia, ne esce Giacomo, l'amico e organizzatore della serata, assente già da tempo dal privè.
Le pupille dilatate, la camicia praticamente del tutto sbottonata, la mascella che proprio non vuole stare al suo posto. Fatto, drogato e quindi ben mimetizzato.
«Oh Mattè, tutto ok?».
Domanda assolutamente evasiva.
«Come al solito».
«Ottimo, ottimo... ci vediamo sopra tra un po», (tira su col naso).
Matteo pensa e agisce in un secondo. Se da qualcuno si possono avere risposte è proprio da lui.
«Senti un pò Jack, ma ti stavi divertendo da solo lì dentro?».
«In che senso?».
«Eri solo? Sto cercando una ragazza, c'è qualcun altro in bagno?».
«No no ero solo, ma questo non è il tipo di locale in cui ci si diverte nei bagni, eh... perché? Vuoi
approfittare? Non c'è problema per te, lo sai».
«Che significa "non è il locale in cui ci si diverte nei bagni"? Dove ci si diverte qui?».
«Al gazebo... devi andare al gazebo... vieni, ti accompagno io se no non ti fanno entrare... vieni con me, andiamo».
È completamente sudato e accelerato, segno che quello che stava facendo lo stava facendo già da un pò. Matteo lo segue con la speranza di arrivare quanto prima alla fine di quella ricerca, con la testa fissa su quei due cocktail e sulla splendida donna che (forse) lo sta ancora aspettando sul terrazzino.
Giacomo cammina a passo svelto, ma sicuramente non se ne rende conto, Matteo è dietro di lui. Si allontanano dalla pista, girano dietro al locale passando per uno stretto sentiero, in mezzo a delle siepi alte, dietro le scale che portano ai privè in terrazza.
Passando accanto a quelle scale a Matteo viene quasi voglia di lasciar perdere e fare quei gradini a quattro a quattro, presentarsi da lei senza gin tonic, dirle che aveva rinunciato perché era stanco di aspettare, tanta era la voglia di rivederla. Poi chiederle scusa per il ritardo, guardarla fisso negli occhi, dirle che aveva un altro milione di domande da fare, ma che con quella musica cominciava a diventare davvero antipatico e difficile e che forse era meglio spostarsi in un posto più tranquillo. Se poi lei
fosse stata d'accordo si sarebbero appartati in un angolo, si sarebbero lasciati sopraffare dal desiderio e avrebbero reso un vero e giusto omaggio a Jacques Prevert.
Ma il suo buon cuore, spesso nascosto da errori di forma o di espressione, o magari solo da lunghe serie di sfortunati eventi, gli impediva di essere così insensibile nei confronti di qualcuno che sembrava essere in difficoltà. Anche se quel qualcuno era niente più che una conoscenza puramente fisica.
Uno degli ultimi cavalieri, senza tavola rotonda né ronzino, senza armatura né spada, ricco di buone intenzioni e spesso sul sentiero sbagliato.

Una canzone dagli accordi fuori tempoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora