Chapitre huit

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Milano, Italia.

Milano, Italia

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Erano passate dieci e rilassanti ore nelle quali Jisung aveva solo dormito, composto testi e... Dormito. Minho, seduto accanto a lui, si era messo a leggere un libro con le auricolari nelle orecchie.

Per il cantante viaggiare in aereo non era nulla di nuovo, per il ballerino invece sì: stare in prima classe in mezzo ad alcuni membri dello staff che lavoravano nell'agenzia di Jisung era nuovo per lui. Ovviamente non si era presentato a nessuno di loro, solo ad uno aveva detto il suo nome, ovvero al manager di Jisung.

Il manager si chiamava Bahng Christopher e da come si era presentato sembrava molto gentile. Forse probabilmente lo era veramente da come si comportava con il cantante, il loro rapporto era simile a quello tra padre e figlio avrebbe detto Minho.

Arrivati all'aeroporto dove li aspettavano diversi bodyguards e diversi fan -- principalmente ragazze adolescenti -- Jisung disse a Minho di mettersi la mascherina. Sicuramente gli avrebbero scattato foto e registrato video tramite i propri telefoni e se il suo collega voleva mantenere lontana la sua figura da riflettori del genere, allora era meglio fingersi uno dello staff.

Piedi per terra, aria diversamente fresca, Minho si sentì disorientato. Era tutto così strano per lui non solo perché non aveva mai viaggiato in quelle condizioni ma anche per il semplice motivo che lui, nella sua vita, non era mai stato in Italia.

Dopo aver ripreso le valige ed essere pronti per uscire da quel posto, Jisung intravide diverse fan salutarlo con gioia e, soprattutto, tenersi a debita distanza da lui per farlo passare. Per il cantante quello era il gesto più bello che i fan avessero potuto fare. Purtroppo delle volte si era ritrovato un asembramento di gente in alcuni dei suoi viaggi che gli aveva recato disagio, per questo motivo quando i suoi fan si comportavano da persone civili e mature gli spuntava il sorriso in viso.

Alcuni fan ripresero l'entrata di Han Jisung in Italia, era sempre bello per gli ascoltatori del rapper vederlo nel proprio paese, specialmente per gli italiani. Era da ben due anni che Jisung non metteva piede nel suolo italiano. Minho, dietro di lui e con la mascherina indosso, non riuscì a far finta delle continue foto scattate e dei benvenuti da parte di quei adolescenti e non.

In poco tempo e senza alcun intoppo riuscirono a salire sulla limousine che li aspettava per scortarli all'hotel e, dopo gli ultimi saluti ai fan, partirono. Jisung, Minho ed il manager erano sullo stesso veicolo.

Il ballerino osservò da fuori il finestrino oscurato Milano, ovvero una delle città italiane della moda. Milano era bella, pensò Minho mentre osservava le varie case completamente differenti da quelle di Parigi. Sì, Milano possedeva il suo fascino, ma dobbiamo tenere conto anche dei casi particolari che abitavano quelle zone.

Jisung sapeva già cosa aspettarsi da Milano, dopotutto non era la prima volta che la visitava. Oramai per lui la città era come una vecchia amica che andava a trovare quando aveva tempo e occasione.

Fortunatamente non ci impiegarono molto tempo ad arrivare nell'hotel a cinque stelle, farsi dare le chiavi delle stanze e precipitare poi in esse. Minho non fece molto caso a come fosse l'arredamento di quel posto visto ch'era abbastanza stanco dal viaggio, l'unica cosa che avrebbe voluto fare adesso era di farsi una lunga doccia e, poi, dormire.

Ciò che lo fece risvegliare fu Christopher che, controllando il numero sulle chiavi, ne diede una a Jisung. "Ecco, queste sono le chiavi della vostra stanza."

Minho si voltò verso il cantante che invece leggeva il numero -- novantasei -- non essendosi accorto dello sguardo che il ballerino gli stava dando. Avrebbero dovuto condividere la camera?

Beh, non sarebbe stato chissà che incubo e poi sarebbe stato più facile poter parlare del loro piano. Sì perché non dobbiamo dimenticare il vero motivo per cui Lee Minho, nonché Lee Know, fosse a Milano. Quindi non disse nulla quando Christopher si divise da loro per recarsi nella sua stanza, anche perché era tanto stanco per dire perfino solo una sillaba.

Arrivati davanti la porta della loro camera e aperta quest'ultima, Jisung fu il primo ad entrarci per esaminarla. Non era male, se non fosse stato per i muri dipinti di nero l'avrebbe apprezzata ancora di più. Era spaziosa ed i due letti erano divisi da una parete di vetro opaco, il bagno era sulla destra appena entravi e più in là c'era un balcone. Infondo, vicino alla porta finestra che mostrava Milano, si trovava un'altra porta che si scoprì fosse quella della cabina armadio.

Minho trascinò la sua valigia accanto ad uno dei due letti -- quello che veniva baciato dai raggi solari che arrivavano dal balcone -- e si sedette su di esso sbuffando. Era stanchissimo, così stanco che se avesse chiuso gli occhi per un secondo si sarebbe trovato immediatamente nel mondo di Morfeo. Jisung aveva compiuto lo stesso gesto del ballerino, ma lui si diresse verso l'altro letto.

"Micio, che succede che sbuffi in questa maniera?"

Minho non capì come mai ma rabbrividì a quel nomignolo insolito ch'era appena sputato fuori dalle labbra del brunetto il quale non si accorse minimamente di come avesse chiamato il suo collega, troppo impegnato ad abbassare la cerniera della sua valigia. Il cantante era un tipetto un po' pigro, ma si obbligava sempre a portare a termine immediatamente cose come mettere al loro posto i vestiti che si era portato dietro da casa sua. Quando non aveva voglia di fare qualcosa si immaginava sempre sua madre che lo rimproverava per far sì che si alzasse dal divano.

Il ballerino non riuscì a non reprimere un sorrisetto, nella sua testa rimbombava l'appellativo "micio" che gli aveva appena dato Jisung. Le labbra rosee del cantante facevano suonare quella parola in un modo dolce, amorevole.

"Da quando mi chiami micio, Mr. Stranger?" Minho s'alzò dal comodo letto per guardare Jisung che veniva coperto dalla parete opaca e lo vide che tirava fuori le varie maglie attillate e felpe.

"Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, e smettila di chiamarmi in questo modo."

Il felino avanzò ulteriormente verso il cantante. "E come dovrei chiamarti, allora?" Fece un altro passo ora più vicino come non mai alla sua schiena e le immagini di quella notte tornarono a galla nelle menti di entrambi i supercattivi. Minho si sporse in avanti, verso il collo scoperto di Jisung, e appoggiò le sue mani sulle spalle del ragazzo sussurrandogli nell'orecchio. "Magari... Potrei chiamarti tesoro..."

Jisung maledì il suo corpo per quelle continue scosse che stava avendo e per quell'inspiegabile bruciore al basso ventre. Avrebbe voluto dire qualcosa, stare al suo gioco, ma l'unica azione che fece fu quella di afferrare il polso di Minho e scaraventarlo sul letto in mezzo ai suoi vestiti. Con una mano gli afferrò le ciocche rosse  e gli alzò la testa per guardarlo negli occhi scuri.

"Non. Chiamarmi. In. Questo. Modo." Si abbassò verso il suo viso tenendo ancora strette le dita tra i capelli sofferenti del ballerino. "Quando siamo da soli o insieme a qualcuno mi devi chiamare per nome, quando siamo in missione mi devi chiamare Stranger." Cercò di essere il più minaccioso possibile -- e ci riuscì -- ma Minho non era uno che si spaventava facilmente.

Il felino in risposta gli mostrò un sorriso a trentadue denti ed il fatto che avesse già la risposta pronta faceva ribollire il sangue di Jisung. "D'accordo, tesoro." Lo canzonò e non se ne pentì nemmeno quando il cantante rafforzò la stretta sui suoi fili decolorati, ma non passò molto tempo da quel momento quando Jisung decise di lasciarlo andare non riuscendo più a reggere quello sguardo perforante.

Minho colse l'occasione per alzarsi dal letto e fare una piccola tappa in bagno, facendo finta che nulla fosse successo.

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