Lunedì sera

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Preparo io da sola le scodelline col gelato, infilo torno torno una corona di biscotti stretti e lunghi. Serviranno anche da cucchiaino, lo so già, ma preferisco mostrarmi educata e metterne uno d'argento accanto ad ogni coppetta. Vassoio, tovaglioli. Ho bisogno di qualcosa di pratico, che mi faccia stare nel mondo. Ho paura dei miei pensieri, di sentire che il mio cervello non c'è più e di diventare pazza. Clinicamente matta. Quante volte, mio Dio? Quante? Non farmi almeno sopravvivere ai miei figli. Tutti e otto.

Cerco di guardare il video gioco. Mi rendo conto che Oreste e Michele giocano per distrarmi, ma hanno la testa altrove. Letizia mangia metà del suo gelato come una furia, poi butta la ciotolina (Michele è diventato un esperto e l'acchiappa al volo. Quanti oggetti sono volati via dalle mani di mia figlia? Ci sarebbero i muri pezzati se i suoi fratelli non fossero diventati degli abilissimi ricevitori) e sbotta: "Ma come fate a stare qui a fare finta di niente? Avete sempre bisogno di scappare di fronte ai problemi?" Si alza in un frusciare di tutto, ogni molecola di cui è composta è un vortice di furia e d'impotenza. "Io vado all'ospedale, io!!". "Leti!!" dico io, a voce già un po' troppo acuta, ma Michele mi mette una mano sul braccio e Oreste mi suggerisce di lasciarla stare. Allora, con più dolcezza, mi alzo e la seguo: "Non è orario di visita. Ci andiamo tutti insieme questa sera.""Mi raggiungerete questa sera?!? E che cosa me ne frega a me degli orari? A me aprono, a me!!" Si sta pettinando con furia, mentre scrive messaggi al volo sulla tastiera del cellulare. Ha sempre fatto mille cose in una volta e poi lasca cadere tutto dalle mani (abbiamo tappeti e tappetini dovunque per salvarci da queste improvvise défaillances) ma questa volta non è per strapparsi rabbiosamente la maglia di dosso o per legarsi con furia i capelli in una treccia stretta; si volta di scatto, mi si butta tra le braccia (anche io sono un discreto ricevitore) e scoppia in un pianto disperato. Letizia è così: eternamente arrabbiata con l'Universo perché non accetta che non possa essere altro che una lotta, ma capace di esprimere apertamente i propri sentimenti. Almeno, in questo modo riesce a tirare fuori tutto quello che può emergere. Dopo il pianto sarà più tranquilla e non cederà più per tutta la settimana e per molte, molte altre settimane a venire. Assomiglia un po' a Francesca in questo, salvo per i nervi costantemente a fior di pelle. È una roccia, la mia bambina, e fa finta di bastare a se stessa.

Mi piace tenerla fra le braccia, passarle la mano sulla schiena. Devo sempre aspettare queste situazioni estreme, ma è una bella sensazione. Letizia è forte, compatta, soda, piena di vita. Eterna. Spero veramente che per me siano eterni tutti e tre. Tutti e otto.

I suoi fratelli si tengono prudentemente a distanza. Solo quando lei è pronta per uscire e passa a salutarli le chiedono come va, se ha bisogno di uno di loro che l'accompagni. Michele si offre volentieri di andare con lei. A parte Paolo, lui è sempre riuscito a 'controllarla' meglio, sfruttando tutto il suo ascendente di fratello maggiore. Le circonda le spalle col braccio, escono.

Io e Oreste restiamo soli. Mi va bene così. Nonostante il nome, Oreste è una persona tranquilla, accomodante, non si stressa per le reazioni altrui. Lo sa che quando il carico emotivo è troppo pesante io ho bisogno di molti attimi di calma, devo annebbiarmi la mente, ritirarmi in qualche luogo dell'anima solo mio. Oreste è capace di entrarci in punta di piedi. Non l'ho mai ringraziato per questo.

Restiamo un po' sul divano, senza dire nulla, poi ci guardiamo. "E adesso?"

"Non lo so, Oreste."

"Mi spiace per te. Anche per noi Francesca c'è sempre stata, ma per te è diverso."

"C'è ancora, ci sarà sempre."

"Sì, va beh, queste sono le idee tue. I miei amici andavano in bicicletta con il loro papà, prendevano anche qualche sberlone. Io guardavo una fotografia."

Prigionieri della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora