Bisogna fare ancora una cosa, prima di dormire. Da tempo immemorabile, è un rito condiviso tra Francesca e me. Quattro cose. Devo trovare quattro cose belle che sono successe nella giornata, quattro per cui ringraziare.
Ho un baule, nella mia camera, che contiene tutti i quaderni che ho riempito fino ad ora. Ne prendo spesso uno a caso, mi diverte vedere che cosa ho scritto in un giorno di cui non ricordo assolutamente nulla, del quale, infatti, non rimangono che quattro cose rigorosamente positive.
Quando arrivo a casa, il sonno è del tutto passato. Non è proprio questo, ma piuttosto il rifiuto di abbandonarsi ad una situazione in cui la mia volontà non potrà avere nemmeno un minimo di controllo sulle emozioni. M'infilo il pigiama, vado al baule e prendo a caso due quaderni.
Venerdì 12 luglio 1968:
ho mangiato un gelato pistacchio e vaniglia (grazie)
è arrivato Gianfranco da Milano (grazie)
abbiamo preso il sole al torrente (grazie)
finalmente ho finito la versione di greco numero 5!! (grazie grazie)
Certo, eravamo in vacanza in montagna e non avevamo un pensiero al mondo. Gianfranco aveva quattro fratelli e due sorelle, una casa grandissima circondata da un ampio parco; ma ciò che interessava a noi era la casetta dei giochi, un piccolo edificio in muratura a due piani ai confini della proprietà. C'erano solo due stanze, grandi, una per piano. Quella del pianterreno era tutta per noi.
Il giradischi suonava piano "Ho scritto t'amo sulla sabbia" oppure "Back to the U.S.S.R.". I silenzi stellati quando mettevamo gli LP di De André e i cori con "Hey Jude" mentre, intorno ad un tavolo pieghevole, facevamo i compiti estivi; tornavamo a casa per cena, e poi, di nuovo lì, parlavamo di tante cose, di politica, di filosofia, ci raccontavamo gli aneddoti ed i fatti dell'anno scolastico appena concluso. Era una meravigliosa libertà controllata: tutti gli adulti del paese ci osservavano senza che ce ne rendessimo conto, mentre noi credevamo di vivere in una terra popolata solo da noi, inquadrata dalle nostre leggi. Un modo intelligente per circoscrivere le nostre sane ribellioni.
Prendevamo slancio l'uno dall'altro, ricaricavamo le pile per l'autunno, ci innamoravamo, ci lasciavamo, complessivamente ridevamo molto.
Poi un giorno qualcuno aveva invitato Paolo, che faceva il duro e, da bravo allievo sedicenne e spocchioso del Liceo Scientifico, sorrideva ironico all'indirizzo di noi del Classico. Credeva di aver sempre ragione perché aveva un anno più di me! Era tornato tutti i pomeriggi. Ne erano bastati quattro; al quinto, il primo bacio, non ricordo la canzone: così non abbiamo mai avuto la "nostra" canzone perché anche lui era troppo concentrato su altro.
Era veramente un universo perfetto: ci sentivamo immortali, avevamo la sensazione di possedere tutto il mondo e di poter fare tutto ciò che avessimo voluto. Poi ci siamo infilati in una facoltà universitaria, in una carriera e, a ripensarci dopo, sembra che la strada sia andata stringendosi sempre più. Eppure è solo adesso, nella piena maturità, che sono capace di misurare i sogni a cui non rinuncio mai.
Sono fortunata ad essere venuta al mondo, ad aver vissuto, e sono grata per tutto ciò che ho. Anche Paolo, anche Francesca, che sono parte di me e incancellabili.
Il secondo quaderno è un poco più recente, l'ho riconosciuto dalla copertina verde e dalle pagine gialle; apro a caso.
Lunedì 31 gennaio 2000:
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Prigionieri della Speranza
General FictionL'io narrante è una donna di mezza età, con i figli grandi. La sua vita è stata complicata ma piena di belle cose, che non dimentica e di cui è grata. La storia si svolge in una settimana, sette giorni che cambieranno di nuovo la sua vita. C'è un in...