1. Dalla Luce alle Tenebre

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Occhi aperti verso la luce del sole. Cécile si risvegliava dal sonno, come una bambina piccola nelle prime mattine d'infanzia. L'aria era leggera, quasi delicata. Dalla finestra a croce della sua stanza entrava una brezza piacevole che le accarezzava il viso.

Il vento scompigliava i libri sulla sua scrivania, che si trovava tra il letto e la imponente e antica libreria di legno. Quella che la giovane fanciulla ha sempre chiamato in maniera eccentrica "il suo primo armadio", o "l'armadio dell'anima".

Giovane studentessa di lettere, Cécile Martin era una ragazza dolce e di cuore, un'anima fuori dal tempo per la sua gentilezza, educazione e generosità. La sua bellezza sfolgorante e sensuale faceva a pugni con un'anima del tutto innocente, a tratti stravagante, al punto che le amiche, in particolare la più stretta, Elise, solevano chiamarla "la principessa tra le nuvole".

Papà francese, mamma iraniana, Cécile era un miscuglio di tratti che la rendevano esoticamente bohèmienne.

La lunga chioma nera come la notte e riccia cadeva elegante sulle sue spalle delicate, coprendo a tratti il viso. Gli occhi allungati e taglienti tacitamente narravano di antiche discendenze persiane, e il nasino tipicamente francese sulla carnagione olivastra creava un'orchestra di colori che si fondeva al rosso acceso delle sue labbra di presenza ma raffinate. La sua corporatura era principesca: molto magra, fianchi stretti e curve sinuose la facevano sembrare adatta a ogni genere di abbigliamento del mondo delle fiabe. Del resto il suo look un po' bohèmien aveva un che di ottocentesco, per non dire regale e raffinato.

Quella mattina il sorriso si imprimeva sul suo volto, come una magnifica scultura, quel sorriso che riempiva di positività chiunque la circondasse. I bianchi denti che mostrava quando rideva, sembravano risvegliare il sole nelle notti più buie.

Cécile quella mattina di domenica era felice, senza un motivo apparente. Le bastava vedere la luce del sole e bere del buon caffè per star bene. E così fece.

"Cécile, sto preparando il caffè, ne vuoi un po'?"... Squillò la voce della madre dal piano di sotto. "Sì arrivo mamma", fece lei. Cécile indossò le pantofole color rosa e scese giù in cucina.

La ragazza scese rapidamente le scale e si trovò nella stanza. Il tavolo di legno antico si trovava al centro dello spazio, e dava sulla vetrata del giardino. L'arredamento della stanza era quello tipico delle case di campagna francesi, ed europee in generale. Su un muro di fronte al tavolo, si ergeva una credenza, rigorosamente in legno chiaro, ricolma di piatti e servizi da tè in argento mai utilizzati, una coppa decorata con increspature floreali e ghirigori artistici conteneva della frutta secca, dando le spalle a foto di parenti paterni ormai deceduti. Su un altro angolo, un vaso di fiori blu raccolti dal giardino. A fianco alla credenza, si ergeva una cucina antica, di fronte alla quale si trovava in piedi la madre, intenta a controllare la Moka strabordante di caffé. Si girò e sorrise alla figlia appena arrivata.

Maryam Karimi, 50 anni, capelli ricci un po' sale e pepe, fisico esile e piacevole, era sempre vestita in modo elegante. Lavorava come ricercatrice di archeologia antica all'Università di Marsiglia. Era arrivata da Tehran a Ville Parnasse a soli 26 anni, dove conobbe l'attuale marito e padre di Cécile, Simon Martin, che lavorava come professore di Matematica al liceo scientifico di Ville Parnasse.

Si conobbero a Lione durante un caffè tra amici in comune e lì nacque subito la scintilla che, nel giro di 5 anni, li portò a sposarsi per poi avere Cécile.

La città non distava molti chilometri da Marsiglia, troppo costosa per la coppia allora giovane, che decise di vivere in una tranquilla cittadina di provincia di 100.000 abitanti, piccola rispetto a una metropoli, ma grande abbastanza da non sembrare un paesino. E fu così che vi rimasero per il resto della loro carriera e vita.

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