Capitolo 16

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La tua casa non è dove sei
nato. Casa è dove cessano
tutti i tuoi tentativi di fuga.
Nagib Mahfuz

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Weston

Sin da quando ero piccolo avevo sempre avuto difficoltà a capire quale fosse casa mia, quale fosse il mio posto nel mondo.

Ero nato e cresciuto a Richmond, in Virginia, e avevo vissuto fino ai diciotto anni con mio padre Sam.

Potevamo tranquillamente affermare che fosse una persona particolare e decisamente non era portato per fare il padre.

Mia madre non l'avevo mai conosciuta.

Non sapevo che viso avesse, né tantomeno se fosse ancora viva e si trovasse lì fuori da qualche parte.

Risalire alla sua identità sarebbe risultato facile, ma non ci tenevo. Non potevo affermare che mio padre bastasse come genitore visto che a mala pena lo consideravo tale, ma non ne avevo mai sentito la necessità.

Eravamo da sempre stati solamente io e lui.

Lui con il suo sguardo serio e io con lo sguardo incerto.

Mio padre era un veterano di guerra.

Sin da piccolo mi aveva trattato come l'avevano trattato quando faceva il militare.

Ordine e disciplina, sempre.

Sveglia presto e, la prima cosa da fare, era quella di sistemare il letto alla perfezione. Niente doveva essere fuori posto.

Costante esercizio fisico e non potevo parlare se non fossi stato interpellato.

La scelta di arruolarmi, quindi, non era un mai stato un mio desiderio ma bensì un punto di riferimento.

Avevo sempre saputo che, una volta preso il diploma, sarei entrato all'accademia militare.

Mio padre si era letteralmente seduto a un tavolo con carta e penna segnando tutte le tappe della mia vita.

Diploma a diciassette anni.

Arruolamento in caserma a diciotto.

Prima missione a diciannove.

Fidanzamento a ventidue.

Insomma, era una lunga lista che si concludeva con me che diventavo capo di stato maggiore, sposato e con tre bambini.

Non mi sarei mai potuto scordare dell'espressione e della reazione che ebbe quando ritornai a casa con quella ferita sul petto.

Mi sbatté la porta in faccia dicendo sei semplici parole: "Tu non sei più mio figlio".

Non gli importava che fossi vivo e stessi in piedi per un miracolo. No, a lui importava solamente di vedermi con quella catenina di metallo al collo e quella maledetta divisa indosso.

Solo in quel momento, per la prima volta nella mia intera vita, avevo percepito quel senso di libertà.

Ero libero.

Potevo fare della mia vita quel che più mi aggradava.

Non c'era nessuna lista da seguire.

L'unica cosa che ricordavo di aver fatto era guardare quella struttura e accorgermi che quella non era affatto casa mia.

Non mi faceva sentire protetto e amato.

Gli unici ricordi che riaffioravano erano identici a quelli che potevano ricomparirmi una volta vista l'accademia.

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