Capitolo 19

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Non m'importa del corpo-
io amo l'anima, la timida,
pudica, ritrosa anima - che
si nasconde perché ha paura
Emily Dickinson

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Claire

Quando ero piccola ero una dolce, timida e innocente bambina. Amavo casa mia, amavo il Texas, amavo le festività con la famiglia e, soprattutto, amavo i miei genitori.

Ogni volta che ci pensavo, rimanevo sbalordita di come la mia vita fosse cambiata così drasticamente.

Casa mia era una stanza d'hotel in Virginia dove ero solita stabilirmi per qualche settimana di pausa tra un caso e l'altro.

Non ritornavo in Texas da quasi quattro anni. Mi mancava il caldo torrido, andare a cavallo, bere una birra seduta su degli sgabelli dei bar che riempivano lo Stato. L'unica festività che avevo festeggiato dall'inizio della mia carriera, era stata il ringraziamento. Più precisamente, il ringraziamento con Weston.

Non sentivo la mia famiglia da anni ed ero convinta che ormai i miei cuginetti fossero diventati adulti. Mi mancava sederci ad un tavolo colmo di cibo tutti insieme. Le urla riempivano il salotto causandomi poi il giorno dopo un tremendo mal di testa, ma mi piaceva e per me quella era casa.

I miei genitori.

Tasto dolente, direi.

Sospirai sonoramente voltandomi verso il finestrino dell'aereo. Weston mi aveva concesso il privilegio di sedermi proprio lì.

Quella mattina, Alejandro aveva convocato tutti quanti ordinandoci di passare del tempo con la nostra famiglia durante il periodo natalizio.

Voleva la casa vuota e, sicuramente, non per mangiare tanto e scartare regali.

Mi passai una mano tra i capelli voltandomi verso il moro seduto accanto a me.

Avevamo comunicato che la nostra destinazione sarebbe stata il luogo dal quale provenivano Anthony ed Elizabeth: Chicago.

Inutile dire che abbiamo fatto di tutto per far perdere le nostre tracce e abbiamo preso un aereo con una destinazione totalmente diversa: Houston.

«A cosa pensi?» domandò Weston allacciandosi la cintura di sicurezza.

«A tante cose, forse troppe...» sussurrai mettendomi comoda e chiudendo gli occhi.

«Abbiamo tre ore di volo e siamo bloccati qui senza poter fare chissà che cosa» rispose di rimando mentre la hostess che passava a controllare le cinture di sicurezza si soffermò forse un po' tanto su di lui.

L'agente, però, continuava a fissare me senza degnarla di uno sguardo.

«Sto cercando di capire i piani di Alejandro.

Perché farci prendere il primo aereo disponibile? Perché vuole casa libera? Cosa ha in mente?»

«Sappiamo entrambi che le festività sono state solamente un pretesto, su questo non c'è dubbio. Penso che stia ultimando i dettagli per il suo piano...»

Sospirai nuovamente e, dopo le indicazioni da parte del personale di bordo, l'aereo iniziò a correre sulla pista fin quando non cominciò a prendere quota.

«Direi che non dovremmo parlarne qui» affermai anche se accanto a Wes sedeva un bambino sugli otto anni che smanettava con il cellulare.

Provai una marea di emozioni contrastanti. Avrei finalmente rivisto mia madre e ciò mi riempiva il cuore di gioia.

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