Capitolo 2

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Al ritorno da scuola, il mio sguardo si incrociò con quello di Joseline, dall'altra parte della strada. Mi mostrò quel dolce sorriso che la rendeva tanto speciale ai miei occhi.
Sollevai una mano per salutarla e la sua voce non tardò ad arrivare alle mie orecchie. «Kelly, tesoro, vieni da noi per cena?»
Avrei voluto rifiutare, perché non avevo proprio voglia di prendere posto a tavola accanto al figlio stronzo che possedeva, non per gene suo, ma come facevo a dirle di no?
Lei era sempre stata tanto buona con me. Mi definiva la sua bambina, la figlia che non aveva mai avuto. Comunque, si preoccupava molto più di mia madre, questo era certo. Facevo ancora fatica a capire come riuscissero ad andare d'accordo, essendo due donne molto diverse.
Le parole mi uscirono di bocca prima che potessi rendermene conto. «Ci sarò.»
Allora mi mandò un bacio volante e mimò un "ci vediamo dopo", prima di rientrare in casa, seguita dai due ragazzi.
Trovai una pizza surgelata sull'isola di marmo della cucina, sbuffai e la gettai nel cesto dell'umido, prima di dirigermi verso la mia camera, al piano superiore. Mia madre sapeva perfettamente quanto mi disgustassero i cibi surgelati, ma fingeva sempre di dimenticarlo.
Mi avvicinai alla scrivania, per afferrare i miei auricolari, e il mio sguardo finì sulla finestra di fronte alla mia. Walter era lì, perfino a quella distanza i suoi occhi celesti brillavano. Mi fece segno di controllare il cellulare.
Trovai un suo messaggio.

Walty: Non ti lascerò entrare senza crostata al lampone.

Scoppiai in una risata. Sapevo quanto la adorasse, era la sua preferita in assoluto. Anche se, a dirla tutta, Walter aveva una passione particolare per tutti i tipi di dolci. Perciò promisi di prepararla, e mi misi subito all'opera.
Due ore più tardi, il mio capolavoro era terminato. Il profumino allettante rallegrò le mie narici e lottai contro me stessa per non rubarne una fetta prima di cena.
Dopo averla chiusa accuratamente dentro un contenitore apposito, decisi di concedermi una doccia, dato che la farina aveva raggiunto perfino i miei capelli.
Quando uscii dal mio bagno privato, le cui pareti erano di un tenue colore rosa, sentii la porta d'ingresso sbattere e subito dopo la voce di mia madre. «Sono tornata.»
Con ancora addosso solo l'accappatoio, mi sporsi oltre le scale e la vidi, mentre riposava le chiavi della sua Mercedes sul centrino del mobile che le aveva regalato nonna.
Sollevò lo guardo su di me. «Stai uscendo?»
«Vado a cena da Joseline.»
«Bene, allora io andrò a ultimare il lavoro al country club per il ballo d'inverno» disse. «Oh, a proposito, se vedi Elizabeth, falle i complimenti per suo figlio. Sarà un vero gioiellino al fianco di Britney Hughes.»
Aggrottai la fronte. «Walter parteciperà al ballo?»
«Beh, ma certo, guarda che sarà la tua scuola a finanziare metà delle spese. Tutti partecipano» precisò, giusto per ricordarmi di essere una delusione, per lei.
Le lanciai uno sguardo vuoto e apatico. Non avevo la minima intenzione di lasciarmi abbindolare dalle sue parole. Odiavo mettermi in tiro e indossare abiti lunghi e scomodi. Ma soprattutto odiavo l'idea di dovermi trovare un cavaliere. Era così Ottocentesco.
Perciò le voltai le spalle e finii di prepararmi, con l'intenzione di uscire da quella casa il più in fretta possibile.
Venti minuti dopo, suonai il campanello. Ad aprire la porta fu proprio Devin, che non mi rivolse la parola e si limitò a lasciarmi passare, spostandosi di lato.
«Ciao anche a te» borbottai sottovoce.
Pochi passi e Walter corse ad abbracciarmi, sollevandomi da terra. «Dammi qua.» Mi strappò letteralmente la crostata dalle mani e si diresse dritto in cucina.
Joseline stava apparecchiando, perciò mi offrii di darle una mano. Ma lei rifiutò, pregandomi di sedermi e rilassarmi.
«Irresistibile.» Questo commento sfuggì dalle labbra di Walter, che venne beccato mentre divorava un pezzo di crostata.
«Non ti azzardare, giù le mani, brutto goloso» lo rimproverò Joseline.
Lui sollevò le braccia in segno di innocenza, con ancora le guance piene. Sembrava uno scoiattolo e ovviamente fu impossibile non ridere.
«Elizabeth non c'è?»
«Certo, è di sopra, sta finendo di sistemare la camera del suo disordinato figlio» mi rispose Joseline.
«Ehi, ci provo, non è colpa mia se non riesco a stendere per bene le lenzuola» replicò lui, mettendo su un finto broncio.
Incrociai le braccia sul tavolo e decisi di aprire l'argomento. «Stenderai bene la camicia, però. Ho saputo che parteciperai al ballo.»
Walter fece spallucce. «Mi hanno incastrato.»
Fu proprio Elizabeth ad intervenire, raggiungendoci. «Bugiardo, non hai saputo resistere al fascino di Britney.»
Lui ridacchiò, proprio quando sua madre mi stampava un tenero bacio sulla fronte. «Che vuoi farci, mi piacciono le donne.»
Arricciai il naso. «Più che donna, mi sembra una principessina con la puzza sotto al naso.»
«Disse la svampita che giudica sempre tutti.» Fu la voce di Devin a parlare, così bassa e velenosa da irritarmi nell'immediatezza.
Lo guardai storto. «Ti è tornata la parola?»
Infilò le mani nelle tasche dei suoi jeans. «Ti sei offesa?»
Joseline colpì suo figlio con uno schiaffetto sulla nuca. «Non fare l'antipatico, Kelly è davvero splendida.»
«Sì, come no.» Sbuffò. «Chiamatemi quando è pronto» aggiunse, per poi uscire dalla porta che conduceva al giardino sul retro.
Notai gli occhi tristi di Joseline ed Elizabeth che le sussurrò qualcosa all'orecchio. Perciò, in ruolo di ficcanaso numero uno dell'intera città, decisi di indagare.
«Va tutto bene?»
Joseline sospirò. «Sono un po' preoccupata, non va molto d'accordo con suo padre ultimamente e per dispetto ha iniziato a fumare.»
Lanciai subito un'occhiata a Walter, che scrollò le spalle, come per dire "non ne so niente". La stessa cosa valeva per me.
Peter, essendo un grande imprenditore immobiliare, si trovava spesso fuori città per lavoro. Ma la sua assenza non era una novità e non aveva mai recato danni nel rapporto con suo figlio.
«Non ha mai fumato davanti a me» osservai.
Elizabeth intervenne. «Cosa credi che stia facendo in questo momento?»
Mi alzai di scatto e, senza aggiungere altro, mi precipitai fuori. Quando girai l'angolo, seduto sull'altalena, lo vidi. Ed era tutto vero. Tutto quanto. Dondolava lentamente, mentre teneva una sigaretta tra le labbra ed espirava una boccata di fumo.
Incrociai le braccia al petto con fare teatrale. «Che schifo.»
I suoi occhi mi puntarono, seri. «Torna dentro.»
Scossi la testa in negazione. «Da quanto tempo va avanti questa cosa?»
«Boh, qualche settimana.»
Mi avvicinai di qualche passo. «Hai il vizio?»
«No.»
«E allora smetti.»
Lasciò scappare una risata amara. «Mi aiuta a rilassarmi.»
«Il coach lo sa? Perché non credo che ne sarebbe contento.»
Strinse le spalle. «Chi se ne frega? Che mi butti pure fuori dalla squadra.»
Rimasi perplessa. Devin amava il football, profondamente, più di qualsiasi altra cosa al mondo. Questo cambiamento repentino mi preoccupò e non poco.
«Ma che stai dicendo? È successo qualcosa che non so?» indagai ancora.
Prese un respiro profondo e mi si avvicinò, così tanto che i nostri petti quasi si sfiorarono. «Perché non pensi a quell'imbecille di Clifford e mi lasci in pace, mh?»
Inutile mentire, negare su quanto ci rimasi male, perché non avrebbe dovuto continuare a trattarmi in quel modo. Non ne aveva alcun diritto.
«Che problema hai? A me importa di te, quindi smettila di fare lo stronzo.»
Sollevò un angolo della bocca. «Io non sto facendo lo stronzo.»
«Invece sì» gli puntai un dito contro.
Afferrò le mie spalle. «Lasciami in pace, Kelly. Non mi serve il tuo aiuto.»
E tornò dentro, mollandomi lì come un'allocca, senza guardarsi indietro. Perché così faceva lui, sempre. Entrava in modalità protezione e teneva tutto dentro. Una volta, da bambino, tenne il polso rotto per un giorno intero, senza dirlo a nessuno. Voleva sbrigarsela da solo. Ma questa volta temevo che potesse trattarsi di qualcosa di grosso. Di serio.
Quindi, povero lui, poteva pure scordarselo. Non avrei lasciato perdere.

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