Capitolo 12

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Splendida.
Ecco l'unica parola che poteva descrivere Meredith in quel preciso istante. Era straordinaria, perfetta da ogni punto di vista. Indossava un lungo abito bianco a sirena, pieno di pizzo e trasparenze. I vertiginosi tacchi che portava ai piedi risaltavano le sue chilometriche gambe e lo smalto bianco lucido che era il risultato di un'accurata pedicure. Aveva legato i capelli in uno chignon ordinato, lasciando ricadere soltanto due ciocche ondulate ai lati del viso. Non aveva esagerato con il trucco, non lo faceva mai, non ne aveva alcun minimo bisogno. Solo un po' di mascara e di ombretto glitterato sulle palpebre.
Letteralmente, rimasi a bocca aperta. Se fossi stata un uomo, avrei sicuramente tentato di conquistarla. Nemmeno un cieco sarebbe rimasto immune alla sua bellezza.
«Ti piace?» mi chiese, allargando le braccia, per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi.
Gli occhi mi divennero lucidi. Non riuscivo a contenere le emozioni. Perché sognavamo questo giorno fin da bambine, lei più di me. Avevamo solo dieci anni quando le promisi che sarei stata al suo fianco, durante l'ingresso. E stava per accadere davvero, da lì a poco.
Mi limitai a stringerla in un forte abbraccio, che lei ricambiò senza esitare. Poi mi afferrò per le spalle e disse: «Non farmi piangere che si rovina il trucco.»
Scoppiammo a ridere.
Suo padre ci accompagnò fino al locale. Gli invitati ci attendevano all'ingresso. E quando le porte si aprirono, degli applausi si elevarono in aria.
Tutti si avvicinarono a lei, per farle gli auguri e consegnarle i regali che avrebbe aperto successivamente. Il mio era il migliore, sapevo che le sarebbe piaciuto moltissimo. Sognava di visitare Parigi, per lei era la città dell'amore per eccellenza, ed io avevo realizzato il suo sogno. Saremmo partite quell'estate. Io e lei. Mi ci erano voluti tutti i miei risparmi per organizzare tutto.
«Stento a riconoscerla» disse Walter, affiancandomi.
Sorrisi, mentre la guardavo girovagare per la sala. «È meravigliosa, vero?»
«Anche tu lo sei» rispose di getto.
Mi voltai verso di lui. Non ero niente di che. Avevo optato per un abito al ginocchio, con le maniche a sbuffo e uno spacco laterale, rigorosamente nero. Indossavo degli stivaletti bassi, alla caviglia, perché non mi andava di lottare contro il dolore di piedi per tutto il tempo. Ero l'apoteosi della comodità.
«Come no, sei tu quello splendido, questa camicia ti sta proprio bene» dissi.
Lo pensavo sul serio. Era di un grigio perlato, con i primi bottoni sganciati, che facevano intravedere la collana d'oro del battesimo, che non toglieva mai. Gliel'aveva regalata suo nonno paterno.
Improvvisò una piroetta. «Vero? L'ha scelta mamma.»
Ridacchiai. C'era da aspettarselo. Feci per aprire bocca, ma la figura di Mael, poco distante, attirò la mia attenzione. Così lo raggiunsi, senza perdere tempo. Lui mi stava già sorridendo.
«Wow» disse, quando mi ritrovai tanto vicino da poterlo sentire, al di sopra della musica.
Mi imbarazzai. «Grazie.»
La sua bocca cercò subito la mia, mi rubò un rapido bacio a stampo. Poi mi chiese se mi andasse di bere qualcosa, così concentrò la sua attenzione sul barman.
Quando mi voltai verso la pista, il fiato mi mancò. C'era Devin. Ed era bello da far girare la testa. Indossava una camicia nera, perfettamente stirata, ma con le maniche arrotolate, che scoprivano le evidenti vene pulsanti dei suoi avambracci, pure a quella distanza. I pantaloni dello stesso colore che gli calzavano a pennello. I capelli spettinati, che gli conferivano un'aria ribelle. Ma soprattutto, i suoi occhi profondi, fissi su di me. Voleva che lo notassi. Infatti, non fece assolutamente nulla per nasconderlo.
La temperatura sembrò alzarsi di qualche grado, e non avevo ancora ingerito una sola goccia di alcol. Per questo, quando Mael mi passò il bicchiere, lo afferrai e ne scolai un grande sorso. Almeno sarebbe servito per mascherare il caldo che stavo sentendo.
«Tutto bene? Sembri parecchio assetata» disse ridendo.
Sorrisi, forse in modo troppo esagerato. «Sì. Tu cosa hai preso?»
«Analcolico» rispose, scrollando le spalle.
Ed ecco che ritornava in mente quella maledetta parola. Noioso. Me l'avevano ripetuta così tante volte che stavo finendo per crederci anch'io. Ma non volevo che fosse così. Volevo che Mael mi piacesse, sul serio.
«Oh, devo andare un attimo in bagno» dissi.
Avevo bisogno di allontanarmi da tutti, per un momento. E ritornare in me, il più in fretta possibile.
«Ti aspetto qui» rispose.
Una volta raggiunto l'antibagno, mi aggrappai alla superficie di marmo dei lavandini e tenni gli occhi bassi. Presi un respiro profondo. E quando decisi di guardare il mio riflesso allo specchio, proprio alle mie spalle, lo vidi. Era lì.
Mi immobilizzai.
Devin fece un passo in avanti. «Ti senti bene?»
Deglutii. «Vattene, per favore.»
«Perché?»
Avanzò ancora ed io pregai tutti gli angeli in cielo.
«Sto bene.»
Si fermò solo quando il suo addome sfiorò la mia schiena. Sentivo il suo profumo. Era davvero buono, sapeva di pulito e di maschio. Un inebriante mix.
«Kelly, capisco quando qualcosa non va. Che succede?»
Serrai le palpebre. Il mio autocontrollo stava vacillando. Stavo per perdere, per arrendermi a quello che sentivo. Era stato facile metterlo a tacere, quando mantenevo una certa distanza. Ma in quel preciso momento, dannazione, la tentazione stava diventando troppo forte.
Sentii le sue mani sfiorare il mio collo, spostare i capelli. Poi il suo fiato si schiantò contro la mia pelle, facendomi rabbrividire. La sua bocca era vicina al mio orecchio, la sentivo.
Quando decisi di riaprire gli occhi, mi persi. Persi me stessa, la ragione e tutti i miei buoni propositi. Li mandai a quel paese, consapevole che avrei dovuto fare i conti con le conseguenze delle mie azioni. Ma in quel momento, non mi importò.
Mi voltai. I nostri petti erano incollati. I nostri nasi così pericolosamente vicini. La sua bocca tremò ed io mi lasciai andare. Afferrai il colletto della sua camicia e lo spinsi contro di me. Lo baciai.
Lui ricambiò, stringendo i miei fianchi. Ed io, mannaggia a me, dentro urlai di felicità. Tutto esplose, in uno spettacolo senza precedenti. Mi sentii viva. Di nuovo. Lui mi dava la vita. Una scarica d'adrenalina. Elettricità pura.
La sua lingua si intrecciò alla mia. Non c'era dolcezza in quel contatto. Nemmeno una briciola. C'era passione, fuoco, potenza. Un tornado pericoloso. E già lo sapevo: ci avrebbe spezzati entrambi.
Non me ne preoccupai, però. Anzi mi beai del suo tocco. Mi sollevò, mi fece sedere sulla superficie ed allargò le mie gambe, piazzandosi in mezzo. Le sue mani risalirono su per le cosce, stringevano la mia carne bollente. Io mi eccitai. Sentii una fitta propagarsi sul basso ventre.
Stavo morendo. Stavo impazzendo. Stavo andando all'inferno.
Mugolai contro la sua bocca e spinsi il mio bacino contro il suo. Volevo sentirlo, ancora più vicino. Lo volevo ovunque. Dappertutto. Non avevo il controllo del mio corpo. Decideva in modo autonomo, dettato da un istinto primordiale e sconosciuto.
Lui si staccò con un grugnito ed i miei occhi si posarono sulla protuberanza che spingeva contro il cavallo dei suoi pantaloni. Gli piacevo. Gli piacevo tanto.
«Merda» ringhiò, senza fiato. «Merda, Kelly. Non puoi farmi questo.»
Le mie guance andarono in fiamme. Aveva ragione. Non potevo. «Scusa, io non so cosa... scusa» balbettai.
Poi mi ricomposi velocemente, per paura che qualcuno entrasse all'improvviso e ci beccasse in quella situazione poco consona. Passai una mano tra i miei capelli, per districare i nodi. Il cuore, nel frattempo, non ne voleva sapere di calmarsi. Era agitato. Io lo ero.
«No, cazzo. Non scusarti. L'ho voluto anch'io.»
Lo fissai. Sembrava sincero. Sembrava credere davvero alle sue parole. Io, invece, iniziai una lotta sanguinosa con il senso di colpa. «Già, ma c'è persona di là che mi aspetta e non posso...»
«Fingeremo che non sia successo» sputò, interrompendomi.
Sentii le lacrime arrivare. Le ricacciai indietro. Non avrei pianto, non davanti a lui. «È la nostra specialità, ormai.»
Devin sospirò. «È che non riesco a starti lontano.»
Annuii. «Ma non riesci nemmeno a restarmi accanto, non è vero?»
Non rispose. E fu abbastanza. Ma non potevo scaricare la colpa su di lui, non quella volta. Non potevo prendermela con nessuno, se non con me stessa. Perché ero una debole ragazzina indecisa. E stavo ferendo altre persone.
«Già, appunto» dissi.
Feci per andarmene, ma la sua mano bloccò il mio polso, afferrandolo. Mi voltai di scatto e lasciai che i capelli ricadessero davanti ai miei occhi. Dovevo nascondere la mia fragilità.
«Non pensare che io non soffra. Ma ho altri problemi, Kelly. Cose che devo risolvere. Non posso dedicarmi a qualcuno, e tu meriti tutto, non soltanto una piccola parte.»
Le sue parole mi scossero tanto. Inutile negarlo. Ma non servirono per farmi stare meglio. Perché, qualunque cosa lo turbasse, avrebbe potuto condividerla con me. Ci sarei stata, se solo me lo avesse chiesto. Lo avrei aspettato.
Lui, però, aveva scelto di chiudermi fuori. E io dovevo accettarlo. E dimenticarlo. Dimenticare tutto quello che mi faceva sentire. Prenderlo con prepotenza, a calci. Fino a convincermi che fosse la cosa giusta da fare.
«Hai detto bene» sussurrai. «Io merito di più.»

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