Capitolo 11

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«Perciò adesso fate sul serio» esclamò Walter, piazzandosi in mezzo.
Io e Mael fummo costretti ad interrompere il bacio che ci stavamo scambiando, nel bel mezzo del corridoio, arrossendo.
«Tu sempre delicato come un mattone, vedo» dissi, lanciandogli un'occhiata torva.
Il sorriso di Walter si ingrandì, il suo braccio circondò le spalle del mio ragazzo. «Non è facile avere a che fare con lei, amico. Scappa adesso che sei ancora in tempo.»
Mael scoppiò a ridere. «Mi assumerò le conseguenze delle mie scelte.»
«Beh, non dire che non ti avevo avvertito» concluse. Per poi lasciarci e raggiungere i suoi compagni di squadra, che lo attendevano poco più avanti.
I miei occhi, istintivamente, si posarono sulla figura di Devin. Era poggiato contro un armadietto, con le braccia incrociate. I bicipiti flettevano ad ogni minimo movimento. E non mi guardava. Questo fu un bene.
«Allora, hai già avvertito tua madre?» mi chiese Mael, riferendosi al ballo.
Dovevamo comunicare al country club la nostra partecipazione, in modo che potessero inserirci nella lista.
Scrollai il capo. «È in vacanza, non credo voglia essere disturbata. Lo farò quando tornerà.»
Annuì e mi stampò un rapido bacio sulla bocca, a stampo, per poi allontanarsi quando la campanella suonò, indicando l'inizio delle lezioni.
Mi diressi verso l'aula di letteratura, con il libro stretto al petto, per poi prendere posto accanto a Meredith. Il suo sguardo era più elettrizzato del solito.
«Saranno diciotto anni, è importante. Quindi festeggerò, rullo di tamburi...» Batté le penne sul banco, per enfatizzare il tutto. «Al Thrio. Sulla Calhoun St.»
Strabuzzai gli occhi. Quel posto era davvero strepitoso. Trasudava denaro e divertimento da ogni angolo. Ed era anche costoso, molto costoso. Non che ci avessi mai messo piede, dato che normalmente era una discoteca notturna, vietata per quelli della nostra età. Ma dalle storie su Instagram, sapevo già che la affittassero per gli eventi.
«Wow, e tua madre è d'accordo?»
Sorrise raggiante. «Ci ha pensato papà a convincerla. Piazzerà dei buttafuori per mantenere l'ordine. È già tutto deciso, adesso mancano solo gli inviti.»
«E scommetto che vuoi il mio aiuto» osservai.
«Naturalmente» disse. «Ma comunque, cambiando argomento, aspetto ancora un dettagliato racconto sulla bocca di Clifford.»
Le mie guance andarono in fiamme. Strofinai le mani contro il tessuto della felpa. «È carina.»
Meredith rise. «Tutto qua? Puoi fare meglio di così.»
E stavo per rispondere, ma una voce più rauca mi fece morire le parole in gola. Proprio alle nostre spalle, Devin aveva origliato. Aveva avuto perfino la faccia tosta di sporgersi, oltre il suo banco.
«Sì, Kelly, sforzati un po' di più. Perché carino è sinonimo di noioso.»
Mi voltai di scatto ed i nostri nasi quasi si sfiorarono. Il cuore ebbe uno spasmo. Cercai di mascherare la mia instabilità emotiva, e gli lanciai uno sguardo ricco di astio.
«Perché non pensi a tutte quelle carine che ti porti a letto tu?»
Un angolo della sue labbra si sollevò. «Appunto, me le porto a letto. Finisce lì.»
Il dolore smise di giocare a nascondino e sbucò fuori, ricordandomi che io ero una di quelle. Non ero finita nel suo letto, certo, ma aveva messo ben in chiaro le cose subito dopo. Non ero stata un'eccezione.
«Perché sei incapace di provare dei sentimenti» ringhiai.
Rotolò un dito tra i miei capelli. Gesto che fu capace di scatenare una serie di brividi lungo tutta la spina dorsale.
«Questo lo dici tu.»
Poi, grazie a Dio, la lezione cominciò e lui si stravaccò contro lo schienale della sua sedia, con la solita aria annoiata. Allontanandosi da me.

Meredith stava ancora trafficando con il mio portatile, comodamente stesa sul mio letto, con le gambe incrociate, la schiena poggiata contro la testiera e lo sguardo concentrato.
«Il rosa è sopravvalutato» borbottai, sporgendomi per dare un'occhiata al suo lavoro quasi terminato.
Il font degli inviti era elegante, chiaro e leggibile. Ma quello sfondo, così tenue e principesco, non rientrava per niente nei miei gusti.
«A me piace» stabilì. Poi il suo stomaco brontolò e, arrotolandosi nella coperta in pile, aggiunse: «Ordiniamo una pizza? Ho così fame che potrei sbranare perfino te.»
Annuii e afferrai il mio cellulare, per poi telefonare ad una pizzeria che effettuava consegne a domicilio, in modo che non fossimo costrette ad uscire di casa.
Il fattorino fu puntuale. E, mentre sbranavamo il nostro cibo caldo, battibeccammo un po' su quale film guardare. Alla fine, optammo per Titanic. Meredith conosceva ogni battuta a memoria, per filo e per segno. A me, d'altro canto, non dispiaceva.
Proprio verso la fine, quando la nave si spezzò a metà, Meredith se ne uscì con un'esclamazione a dir poco fuori luogo.
«Comunque, oggi ho percepito una tensione sessuale pazzesca, tra te e Paxton. Cavoli, davvero troppa. Credo di essermi eccitata anche io.»
La guardai. Gli occhi sbarrati. «Sto con Mael, sai, te lo ricordi?»
Scrollò le spalle. «Era tanto per dire. L'hai definito noioso anche tu.»
«Non ho mai detto che è noioso e poi, mi pareva che odiassi Devin» osservai.
Annuì. «Infatti, solo che ti guarda in un modo...»
Decine di farfalle iniziarono a svolazzare nel mio stomaco, istintivamente. Tentai, però, di rimanere con i piedi per terra. «Certo, nello stesso modo in cui mi ha scaricata dopo avermi baciata» preciso.
«È uno stronzo, hai ragione. Chiudo la bocca.»
Sospirai. «Già, è meglio.»
E finimmo per addormentarci proprio lì, sul divano, abbracciate l'una all'altra, con i cartoni delle pizze ancora tra di noi.

«Va tutto bene?» chiese Meredith, con una merendina tra le mani, sbucando dalla cucina.
Scossi la testa. Avevo appena ricevuto una telefonata da mia madre. Credevo volesse semplicemente sapere come me la stavo cavando, invece si limitò ad informarmi che lei e papà sarebbero tornati a casa, insieme. Per riprovarci. Un'altra volta.
La cosa non mi lasciò basita più di tanto, ma odiavo l'idea che prendessero le decisioni senza mai consultarmi. Ero la loro figlia, e sottopormi a questo continuo tira e molla mi faceva male. Perché all'inizio andava sempre bene, era tutto rose e fiori. Poi, lo sapevo, sarebbero arrivate le litigate, le urla in piena notte, il rumore degli oggetti frantumati contro il muro. Lei lo avrebbe di nuovo sbattuto fuori di casa, con le valigie tra le mani. E lui avrebbe continuato ad aspettarla, senza mai voltare del tutto pagina.
Non era amore. Non poteva esserlo. Non così.
Semmai mancanza di coraggio, nell'ammettere che non c'era più niente da salvare, per quanto ci provassero. Perché quando qualcosa si rompe, è difficile aggiustarla.
«Rimani a dormire da me, domenica. Così avrai più tempo per affrontare la cosa» disse Meredith, dopo avermi ascoltata.
Accettai senza battere ciglio. Mi serviva del tempo. Era vero. Mi serviva del tempo per lasciarmi scivolare giù questa notizia, e accettarla. Altro non potevo fare.
Non potevo decidere al loro posto. Avevo già provato ad aprire gli occhi ad entrambi, a cercare di fare accettare loro il corso degli eventi, ma non avevo mai ottenuto buoni risultati.
Sapevo che avrei dovuto ricominciare a dormire con i tappi per le orecchie. Perché immischiarsi, o preoccuparsi, non ne valeva la pena. Non più. Non quando due persone adulte decidono volontariamente di autodistruggersi.
Potevo farcela. Ce la facevo sempre.
«Ora vatti a preparare, che è tardi» aggiunse, schiaffeggiando il mio sedere.
Scoppiai a ridere e obbedii.

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