Capitolo 4

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«Ho incontrato Amery Clifford, poco fa in caffetteria e mi ha detto che esci con suo figlio maggiore, Mael.»
Fu la prima frase che mia madre mi rivolse, quando raggiunsi la cucina, ancora assonnata e completamente sconnessa dal mondo reale.
«Sì, ogni tanto, niente di serio» borbottai, riempiendo la mia tazza con del caffè fumante.
Incrociò le braccia al petto. «Peccato, parteciperà al ballo e non se l'è ancora accalappiato nessuna.»
«Mamma.» Sospirai. «Non mi convincerai a partecipare.»
Nello stesso momento, Meredith sbucò dal corridoio. Era già pronta per andare a scuola, stretta in una tuta monocolore.
«Buongiorno Rachel» esclamò, mentre un sorriso illuminava il suo viso naturale ma privo di qualsiasi imperfezione.
Dopo tutti quegli anni, mi chiedevo ancora come riuscisse ad essere sempre così impeccabile. I capelli castani erano lisci come spaghetti e sempre in ordine, il suo piccolo naso all'insù era circondato da centinaia di lentiggini e sosteneva la montatura dei suoi eleganti occhiali da vista, che a volte sostituiva con delle lenti a contatto per mettere in risalto i suoi grandi occhi color miele. E, se avessi continuato, parlando del fantastico fisico sinuoso che possedeva, avrei potuto non finirla più.
Mia madre cercò subito il suo appoggio. «Ciao cara, vuoi dire anche tu a questa testarda di figlia che ho, quanto sia stupido perdersi il ballo d'inverno?»
Meredith fece spallucce. «Alla fine è divertente.»
Ricevette un'occhiataccia da parte mia e si ammutolì all'istante. Mia madre riuscii comunque a sentire, perciò sorrise fiera.
«Ecco, vedi? Meredith, conto sul tuo aiuto» replicò, poi le strizzò l'occhio, afferrò la sua costosa Louis Vuitton ed uscì di casa.
«Grazie del supporto» borbottai, infastidita. E non aggiunsi altro.
Dieci minuti dopo, il clacson suonò, alla stessa ora di sempre. Io e Meredith raggiungemmo la Jeep, che ci attendeva.
Walter ci accolse con un sorriso. «Bellezze.»
«Cobb» fece Meredith.
Io rimasi in silenzio, lanciai soltanto un rapido sguardo verso Devin, che però teneva gli occhi fissi davanti a sé.
Ma, di nascosto e senza che me ne accorgessi, mi ispezionò. Perché riuscì a captare il mio malumore. Infatti, quando mise in moto, domandò: «Incazzata fresca?»
«Per niente» mentii.
Meredith strinse la pelle della mia mano in un pizzicotto, che io ignorai platealmente. Non volevo darle modo di credere in qualcosa che non esisteva.
«Che bugiarda» esclamò la mia amica. «È indecisa, vuole chiedere a Mael di portarla al ballo.»
La colpii con una gomitata. Perché la bugiarda era soltanto lei. E capii subito cosa stesse cercando di fare. Voleva scatenare una reazione, solo per dimostrare che non si sbagliava.
Walter si voltò all'indietro. «Che cosa? Ipocrita!»
«Disse il traditore che aveva promesso di rimanere a casa con me» ribattei.
Puntò le ginocchia contro il sedile e sventolò il suo indice davanti la mia faccia. «Ti avevo anche chiesto di andarci insieme, ma non ne hai voluto sapere!»
Spinsi la schiena indietro e incrociai le braccia al petto. «Beh, ho cambiato idea.»
Walter ritornò a sedersi composto. «Clifford sembrerà un cretino in smoking, vero Pax?»
E fu in quel momento che mi resi conto del volto scuro di Devin. La sua mascella era contratta, gli occhi chiusi in due piccole fessure, le mani strette al volante tanto da far diventare le nocche bianche.
«Che cazzo vuoi che me ne freghi, Kelly è libera di fare quello che vuole» sbottò, poi la mano scattò sul freno a mano. L'auto si fermò nel parcheggio.
Deglutii per la violenza del suo tono, ma non dissi niente. Scesi dalla macchina e mi diressi verso i distributori automatici, perché avevo necessariamente bisogno di un altro caffè. Forse ero un po' delusa. D'altronde aveva detto bene, perché avrebbe dovuto fregargliene qualcosa? Eravamo amici, e basta. Nient'altro.
«È giallo di gelosia» sussurrò Meredith al mio orecchio.
«Ne dubito, non gli importa, com'è giusto che sia» risposi, afferrando il mio bicchiere.
«Ma importa a te» evidenziò.
Presi un respiro profondo. «No, per niente. E comunque bel modo di incastrarmi.»
Sorrise. «Vero? Adesso devi solo chiedere a Mael di accompagnarti ed è fatta.»
«Guarda che non serve farti in quattro per convincermi, mia madre ti adora già» precisai.
Avvicinò la sua spalla alla mia. «Lo so, non lo faccio per lei.»
«Non dire che lo fai per me perché potrei davvero impazzire» la avvertii.
La campanella suonò e lei mi mostrò la linguaccia, prima di correre via, senza neppure rispondere.

L'orario scolastico era ritornato quello di una volta. I primi giorni paradisiaci, composti da poche ore, ormai erano soltanto un ricordo lontano. Durante la pausa pranzo il mio umore calò giù a picco. In mensa, decisi di prendere solo un succo alla mela. Lo stomaco si era chiuso in una morsa.
«Sei a dieta?» chiese Meredith, quando la raggiunsi al solito tavolo rotondo.
Arricciai il naso. «Quelle polpette mi sembrano cibo per cani.»
«Non hai tutti i torti» disse, per poi scoppiare in una risata che morì sulle sue labbra troppo presto.
Mi concentrai sui suoi occhi sbarrati e quando ne seguii la traiettoria, rimasi di sasso. In fondo, proprio accanto alle porte scorrevoli, c'era Devin che discuteva con un suo compagno di squadra in modo animato. Molto, direi. Non riuscivo a sentire cosa stessero dicendo, ma quando si spintonarono, immaginai che la situazione fosse piuttosto grave.
Lui non era un tipo che cedeva facilmente alle provocazioni, né aveva mai dato inizio ad una lite. Non di sua spontanea volontà, perlomeno. Solitamente si limitava ad ignorare, colpendo più di quanto si potesse fare con un pugno.
In allerta, scattai in piedi, ma Meredith mi afferrò per un polso e mi trattenne, prima che potessi raggiungerli.
Appena qualche secondo dopo, Walter cercò di separarli, peccato che non ottenne buoni risultati. Perciò mi divincolai e mi avvicinai a passo rapido, ignorando la voce della mia amica che mi consigliava di lasciar perdere.
Mi infilai in mezzo ai loro corpi tesi, puntai i palmi delle mie mani contro il petto di Devin e lo guardai dritto negli occhi. Solo quando pronunciai il suo nome, si accorse che ero lì.
«Andiamo fuori» ordinai.
La sua espressione si indurì per un istante, ma obbedì comunque. Non prima di lanciare un ultimo sguardo ricco di astio al metro e ottanta di Seth McGuire.
Quando ci ritrovammo in cortile, all'aria aperta, Devin afferrò una sigaretta e se la portò alle labbra, nervoso.
Gliela strappai e la gettai a terra, senza pensarci due volte, calpestandola sotto la suola della mia scarpa.
I suoi occhi infuocati si incastrarono ai miei, sempre troppo deboli per combatterli. La sconfitta era già assicurata.
«Kelly» ringhiò, a denti stretti, come se volesse farlo sembrare un avvertimento.
Incrociai le braccia al petto. «Cosa? Vuoi che me ne vada? Dillo, andiamo. Non fai che respingermi ultimamente.»
Serrò le palpebre per qualche secondo ma non ribatté, si limitò a sedersi sulle grandi scale di cemento, con le gambe divaricate e le braccia tese.
«Non sono arrabbiato con te» ammise in un sospiro.
Annuii e mi accomodai al suo fianco, contenta che l'avesse ammesso, piuttosto che utilizzarmi come valvola di sfogo.
La sua mano si poggiò sulla mia coscia ed un calore improvviso si propagò in ogni centimetro della mia pelle.
Deglutii e cercai di contenere il tremolio che scuoteva le mie corde vocali. «Vuoi dirmi cos'è successo?»
«Seth è solo un coglione» tagliò corto.
Sorrisi. «Questa non è una novità.»
Ed era vero, creava sempre un sacco di problemi, la maggior parte delle volte perfino in modo innocente. Era semplicemente stupido, apriva la bocca senza pensare e per questo faceva incazzare un mucchio di gente.
«Proprio per questo non serve dargli corda, no?» aggiunsi.
Devin annuì, poi mi guardò. Le sue dita spinsero contro il tessuto dei jeans che indossavo, facendomi tremare il cuore. Sentii il respiro diventare pesante, l'aria caricarsi di tensione.
«È solo che quando si parla di...»
Ma non riuscì a completare la frase, perché la voce di Walter lo interruppe, accompagnata dai suoi passi pesanti. «Ho parlato con Seth e credo che abbia colto il segnale.»
Devin si allontanò con uno scatto rapido, come se una scossa elettrica lo avesse appena colpito. Le sue spalle rimasero tese.
«Tutto a posto?» chiese Walter, facendo passare il suo sguardo accigliato da me a suo cugino, un paio di volte.
Improvvisamente, mi sentii di troppo. Loro due si scambiarono sguardi complici, di cui non mi sentii parte. E che non potevo capire fino in fondo. Perciò mi alzai in piedi e me ne tornai dentro, nonostante la curiosità mi stesse divorando.

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