19 - VETTA DEL LUPO (1)

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René sbuffava e imprecava mentre arrancava sul sentiero.

Ce l'aveva con tutti: Masi soprattutto, poi AR396, il direttore, le altre guardie e quei due stronzetti strafottenti che si era portato dietro e che l'avevano piantato lì, guardandolo con quel sorrisetto compiaciuto.

«Dai, ti aspettiamo in cima» avevano detto, vedendolo piegato sulle ginocchia, lanciandosi tra loro un'occhiata divertita. Aveva una gran voglia di spaccare i denti a tutti e due, per vedere come sarebbe stato, dopo, il loro sorriso.

«Non fate un cazzo finché non arrivo, intesi?» aveva urlato, mentre si allontanavano con la loro insopportabile agilità.

Sapeva benissimo che, in realtà, se il respiro gli si era mozzato in gola già dopo i primi metri di ascesa, la colpa era solo sua; ma non era mai stato un uomo incline a riconoscere le proprie manchevolezze. Era molto più facile addossare le colpe agli altri e sgombrarsi l'animo da ogni peso. Lui ci riusciva. Molto bene.

Si fermò, sfruttando uno dei pochi punti pianeggianti che offriva quel terribile percorso. Tirò fuori la borraccia e diede una lunga sorsata, bagnandosi anche la faccia. Era sudato e aveva caldo, e il fatto che fossero a metà marzo e non ad agosto, aumentava solo il suo pessimo umore.

«Perché mi son fatto impegolare in questa stronzata?» disse tra sé.

Ma nella mente l'immagine delle sue dita che facevano scorrere velocemente le banconote di Masi, era limpida e chiara come l'acqua di un qualsiasi laghetto di quelle cazzo di montagne.

Guardò l'ora.

«Le diciassette. Non dovrebbe mancare troppo alla cima.»

Si rimise lo zaino in spalla, bestemmiò a voce alta e ripartì.

«Prossima sosta, lassù. Non prima! Che cazzo! Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno, io!»


Franco e Alberto avevano salutato Francesca direttamente nel sotterraneo.

«Sono felice, tesoro, di riaverti nella mia vita. Mi sei mancata tanto, tanto» le aveva detto il vecchio, abbracciandola.

«Anche tu, zio. Ci rivediamo tra qualche giorno. Se scopro qualcosa sui nostri energetici amici, ti informo subito. E mi raccomando... Fate attenzione, stasera. Fammi sapere quando tutto è finito.»

Gli stampò un bacio in fronte e lo fissò, sorridendo.

Il vecchio si allontanò un po', per lasciare ai due innamorati un attimo di intimità.

Si dissero poche parole, impiegando quasi tutto il minuto che si concessero in un appassionato bacio.

«Quando chiamo lo zio, fatti trovare nelle vicinanze. Ci vediamo tra qualche giorno, probabilmente sabato.»

Lui la baciò ancora.

«E non fare l'eroe, stasera. Resta nella stanza.» Alberto annuì.

Franco aprì l'ascensore, lei entrò e sparì. Una lucina rossa, nel muro sopra la porta, si accese.

«Restiamo ancora qui, noi?» chiese Alberto.

«Sì. Quei tizi, lassù, devono credere che sei rimasto nel capannone.»

«Beh, e non è così?»

«No. Appena torna l'ascensore, risaliamo al piano -1 e ti accompagno nella stanza sotto la botola della tua camera. Si raggiunge anche da lì. E... Alberto! Te lo ripeto per l'ennesima volta: restaci! Non uscire. Mi raccomando!»

«E tu e Monica?»

«Non preoccuparti per noi. Non ci succederà nulla. So che pare rischiosa questa cosa, ma ti assicuro che abbiamo ponderato tutto, e siamo pronti.»

VuEffe (parte 2) - L'abbaziaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora