3. Una cosa con le piume

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[...] Io l'ho sentito nel paese più gelido –
e sui mari più alieni –
Eppure mai, nemmeno allo stremo,
ho chiesto una briciola – di me.

Emily Dickinson


Le parole di Emily Dickinson si dispiegano sul foglio davanti a me, divorate dal silenzio teso che riempie l'aula della biblioteca. Aprirei le finestre, per lasciare che il vento se lo porti via, ma sono sigillate più della tomba di Tutankhamon. E, sinceramente, non è che mi manchi l'aria fresca quanto un po' di sollievo dall'atmosfera nervosa che c'è tra me e Dylan.

Per queste lezioni clandestine, ho dovuto fare l'impensabile: convincere la magnanima signorina Pettigrew a lasciarci studiare in una stanza chiusa, solo io e lui. Una simpatica donnina che ha il sorriso di una guardia carceraria e un approccio alla disciplina che farebbe vacillare Attila l'Unno.

Ho imbastito la mia migliore performance, degna di un Oscar. "Signorina Pettigrew," ho iniziato, con le mani giunte come se stessi per recitare una preghiera, "c'è un'esigenza educativa di primaria importanza che richiede, ehm, privacy e concentrazione massima".

Lei ha sollevato un sopracciglio talmente in alto da rischiare un crampo facciale. "Privacy? In una biblioteca?".

Ho annuito con il fervore di una venditrice di aspirapolveri. "Esatto! Vede, Dylan e io siamo coinvolti in un progetto di studio comparativo sulla poesia trascendentale—".

"Trascendentale?" ha interrotto lei.

"Sì! Davvero molto profondo e, ehm, trascendentale appunto," ho insistito, chiedendomi se avesse mai sentito parlare di Emerson o Thoreau o se pensasse che fossi lì a inventare parole.

A quel punto, ho sparato la mia cartuccia vincente. "Sa, Dylan ha questo modo di— di assorbire la poesia a tal punto che diventa quasi un'esperienza spirituale. E il suo trasporto potrebbe disturbare gli altri studenti".

Dopo un momento di contemplazione, durante il quale ho trattenuto il respiro, ha ceduto. "Va bene, signorina Harper. Ma vi voglio vedere studiare. Nessuna— 'esperienza spirituale' che vada oltre i limiti del decoro".

"Assolutamente. Il decoro sopra ogni cosa," ho risposto con un sorriso che speravo fosse tanto innocente quanto convincente.

E così eccoci qui, in una stanza al piano di sopra, con i versi di Emily Dickinson a galleggiare nell'aria come farfalle in uno stomaco emozionato.

Alzo lo sguardo di sfuggita, solo per incontrare gli occhi glaciali di Dylan intenti a scrutarmi. Occhi che, solitamente vividi e penetranti, oggi appaiono velati da un'ombra. Indossa una t-shirt bianca sotto una giacca di pelle nera, i capelli arruffati con noncuranza. Le labbra disegnano il classico ghigno beffardo, ma c'è una tensione nella mascella, come se stesse trattenendosi dal dire altro.

Noto un segno scuro sul suo collo, poco sotto l'orecchio sinistro. Inchiostro? Caffè? Fantastico di sfiorarlo con una mano, per capirne la natura, e mentre fingo di lisciare una piega inesistente sulla gonna, lo osservo tamburellare le lunghe dita sul banco. È un gesto agitato, anche questo insolito per lui.

Quando il suo sguardo torna a incrociare il mio, distolgo gli occhi, mostrando un improvviso interesse per la pagina sgualcita del libro di letteratura.

Il mio cuore batte all'impazzata. La scintilla che ho colto per un attimo, simile a un dubbio, era per caso— vulnerabilità? No. Devo essermelo immaginato.

È passata una settimana dal nostro bacio alla festa di Capodanno. Sette giorni in cui l'attesa di rivederlo si è tramutata in un gomitolo di emozioni che ancora non riesco a districare.

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