11. Nel riflesso delle nostre ferite

133 12 97
                                    




C'è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce.

Leonard Cohen





Le parole fuoriescono a singhiozzi. Vorrei non dover tornare a ricordare, ma succede.

La mano callosa di zio Jack che si muove fra le pieghe dei pantaloni, i suoi occhi ingordi che mi scrutano oltre la porta socchiusa—

Stringo le braccia attorno al ventre come per impedire alla memoria di risalire, di lacerarmi.

Se solo urlassi, forse riuscirei a spazzare via questo groppo di terrore che mi assassina il cuore.

Invece sprofondo. Nei ricordi di quella notte aggrappata alle lenzuola. Nel senso di colpa, nel disgusto verso me stessa, nella vergogna.

Ho lasciato che il veleno crescesse, anche se nessuno poteva vederlo. Forse è questo che merito. Restare in ginocchio, nell'indegnità che mi perseguita.

Poi lo sento. Il fremito del suo respiro. Dylan è ancora qui, con me, paziente spettatore della mia deflagrazione. Non è fuggito.

Mi do il permesso di sollevare lo sguardo e trovo i suoi occhi fissi nei miei. Vi leggo dentro qualcosa di feroce che non riesco a definire. Mi chiedo se sia delusione o nausea. Se avrei dovuto continuare a tenere la bocca chiusa.

Dopo qualche istante, tuttavia, mi rendo conto che è un'espressione che conosco. La stessa che incontro ogni volta che mi guardo allo specchio. Rabbia e dolore condensati in una singola, bruciante emozione.

Torce le labbra in uno strano sorriso. «Che gran pezzo di merda fortunato. Così fortunato da vivere ancora dopo quello che ti ha fatto.»

Lascia cadere la giacca sul sellino, si piega e afferra un altro ciottolo. I polpastrelli ne accarezzano le scabrosità, ripetutamente.

Per un attimo penso che voglia ferirsi, poi si raddrizza e si volta di lato. Il ciottolo sfreccia nell'oscurità con una traiettoria diagonale. Rimbalza sul terreno alcune volte prima che il rumore svanisca.

«Fosse stato mio zio, sarebbe finita in modo molto diverso» aggiunge. La voce non sembra nemmeno la sua.

Nella mia testa si accavallano visioni disturbanti che rendono opaca la realtà. Zio Jack riverso sul pavimento, il volto un pasticcio di sangue.

Con uno sforzo, le spingo lontano. «Sei il primo a cui lo dico. Neanche Aves lo sa.»

Mi squadra con occhi da cecchino. «Pensavo viveste in simbiosi, voi due.»

È vero, io e mia sorella abbiamo sempre condiviso tutto. Lei è il mio baricentro, l'unica persona in grado di farmi ridere anche nei momenti peggiori. Eppure non ce l'ho fatta a raccontarle di quel maledetto pomeriggio.

Alzo le spalle. «Temevo avrebbe finito per incolparsi. È già in guerra con lui per il suo modo rivoltante di essere sessista. Si sarebbe solo tormentata per non essersene accorta prima. E poi—»

Le parole si bloccano, intrappolate in quel vicolo cieco dove mi sono nascosta per mesi. Quel luogo fatto di umiliazione inconfessabile, asfissiante come una cappa.

Penso che Dylan possa insistere, forzarmi a pronunciare tutte quelle ammissioni che tanto mi torturano.

Invece annuisce. «A costo di cadere a pezzi.» La citazione mi riconnette subito alla nostra sessione di studio in biblioteca. Osservo le vene del suo collo pulsare furiose. «Io ho perso il conto delle volte in cui ho pensato di chiamare la polizia per denunciare quella stronza di mia madre. Avrei potuto esporre la sua cattiva condotta, ma c'era sempre una cazzo di voce nella testa che sussurrava: "Se sopporti ancora un po', forse cambierà. Forse tornerà quella di prima".» Pausa. «Siamo proprio due bravi attori, eh Grumpy Cat?»

GeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora