E nelle sue mani stava la mia anima,
tra le sue dita le mie paure.Jude Deveraux
Il professor Collins è lì, in piedi accanto alla lavagna, con quell'aria da predicatore pronto a riversarti addosso una verità inoppugnabile. O almeno, questo è quello che si illude di fare ogni volta. Niente di delicato o coinvolgente nel suo modo di insegnare. Ogni parola è una condanna, ogni concetto una lapide scolpita nella pietra.
«Oggi tratteremo un autore poco convenzionale» esordisce, aggiustandosi gli occhiali sul naso. «David Foster Wallace. Infinite Jest.» Lascia che il titolo si stagli nell'aria, come se stesse invocando un dio minore. «Immagino che la maggior parte di voi ne abbia almeno sentito parlare. O, nel caso di certi elementi...» — getta un'occhiata tagliente agli ultimi della fila, palesemente in coma cerebrale — «... visto la copertina.»
Mi incuriosisco per un secondo, poi la mia attenzione si lancia fuori dalla finestra senza nemmeno guardare giù.
«Infinite Jest è un'opera che sfida tutto ciò che pensiamo di sapere sull'intrattenimento, la dipendenza e il culto di sé. Wallace ci costringe a guardare in faccia la nostra ossessione per il piacere, per l'evasione, e a chiederci cosa, davvero, ci renda liberi. Ci mostra come siamo capaci di costruire prigioni con i nostri stessi desideri.»
Il tono è talmente grave che quasi aspetto che si fermi, prenda una Bibbia e inizi a battezzare i presenti. Ma no, Collins è fatto così: ogni lezione è una guerra fredda tra lui e il nostro disinteresse. E a giudicare dalle facce dei miei compagni, sta perdendo alla grande.
Afferro una penna e inizio a scrivere. Più viscerale. Più crudo. Il mondo di Wallace non è fatto di parole incartate nella perfezione accademica. È impetuoso, sciatto.
Infinite Jest parla di te, del fatto che non hai il coraggio di ammettere che stai cercando di riempire quel buco nero che hai dentro con tutte le stronzate che trovi a portata di mano. Il tuo telefono. Il porno. La TV. L'alcol. Tutte cose che ti fanno credere che il dolore sia opzionale. Ma il dolore non è mai opzionale.
Mi scappa un sorriso. Sì, decisamente più autentico.
«Miss White, vorrebbe leggere il prossimo passaggio?» Collins mi sta fissando con l'aria di chi sa che non stavo ascoltando. Adora cogliermi in fallo. «Pagina trecentoventisette, terzo paragrafo.»
Mi schiarisco la gola, cercando di non sembrare colpevole. «Certo, prof.»
Alcuni compagni ridacchiano, altri aspettano di vedermi inciampare su qualche parola difficile. Sanno che non mi sopporta. Lo so anch'io. Ma non è stato sempre così.
All'inizio avevo perfino pensato che sarebbe stata una di quelle relazioni idilliache in cui l'insegnante vede lo studente che adora la materia, lo incoraggia, gli dà letture extra, magari lo nomina "studente modello" del semestre.
E invece no.
Il problema è che Collins ha una visione della letteratura che mi fa venire voglia di sbattere la testa contro il muro. Per lui, i libri sono sacri. Ma non sacri in un senso bello. Sacri nel senso di intoccabili. Un tempio dove tutto è perfetto e non si discute. Non si cambia una virgola. Io invece voglio toccarla, la letteratura. Piegarla, strapparla. Voglio che i libri parlino della mia realtà, del mio mondo, non di qualche ideale lontano e irraggiungibile. E questo, lui, proprio non lo tollera.
Ricordo la prima volta che ci siamo scontrati. Stavamo leggendo Il grande Gatsby e avevo fatto l'errore di dire che, tutto sommato, Gatsby non era poi questo grande eroe romantico ma uno stalker. Uno che non sapeva accettare il fatto che una tipa non volesse più stare con lui. Mi ero permessa di dire che Daisy aveva tutte le ragioni del mondo a non voler finire la sua vita con uno che costruiva castelli in aria e pensava di poter comprare tutto.
STAI LEGGENDO
Gelo
RomanceQuando un bacio "sbagliato" sotto il vischio si trasforma nel più dolce degli errori, due rivali giurati si ritrovano a scivolare sul ghiaccio sottile di passione, segreti e bugie. Harper White non è la ragazza che tutti notano. Con i suoi passi si...