Heat Waves

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I don't wanna be alone,
you know it hurts me too.
You look so broken when you cry,
one more and then I say goodbye.
Sometimes, all I think about is you.
Late nights in the middle of June.


BEATRIX'S POV

Schiamazzi vari, acqua dappertutto.
Le risate rumorose dei miei fratelli rimbombarono nell'aria.
Entrambi avevano una pompa d'acqua a disposizione e si stavano divertendo elevatamente a puntarmele contro.
Io non riuscivo a scappare, cercavo di proteggermi con il fuoco, ma l'acqua me lo impediva. Così scoppiai a piangere, battendo i piedi sul terreno del giardino di casa nostra.
Dato che ero abbastanza minuta e piccolina, loro apparivano il doppio più alti di me poiché ormai erano entrati nel mondo della pubertà. Però io, anche se ero soltanto una bambina, sapevo benissimo che quella mossa avrebbe funzionato.

Nostro zio, Christopher, fumava la sua solita sigaretta nella veranda, con un dolce sorrisetto ad illuminargli il viso. Mamma e papà erano a lavoro e lui veniva sempre a farci compagnia, fino alla fine della giornata. Mia madre si era insediata nel mondo umano diventando un assistente sociale, mentre mio padre era un avvocato (casi sovrannaturali inclusi). Ritornavano sempre tardi a casa, ma pur di non lasciarci soli, Christopher restava fino a fine giornata e, ogni volta, sempre la stessa storia: quando sentì la mia frustrazione fuoriuscire, arrivò subito in mio soccorso.
«Che succede ragazzi?» Buttò la sigaretta a terra e la spense poggiando il piede al di sopra facendo movimenti con la caviglia che andavano da destra verso sinistra e viceversa, così da sgretolarla.
«Dai zio, lo sai che scherziamo. È Beatrix ad essere troppo permalosa.»
Nasir mi provocò ed io misi il broncio. In realtà, non sapevo neanche cosa stesse a significare quel termine, ma capii che di certo non fosse un complimento.
«Non è vero!» Aggiunsi.

Guardai mio zio, ma lui aveva gli occhi puntati sui gemelli.
Sorrise. «Ma la mia principessa è un angioletto...» utilizzò la vocina che solitamente serviva per convincere i bambini piccoli.
Mi prese in braccio, «non è vero Trixie?» e mi baciò la fronte.
Lo faceva sempre, ogni volta. Anche quando non aveva niente da dirmi, si avvicinava e mi riempiva il cuore di gioia con quella dimostrazione di affetto che per tutti forse era una sciocchezza, ma per me rappresentava una rassicurazione.

Mi accovacciai contro il suo petto, godendomi il calore del suo corpo e socchiudendo gli occhi.
Il sole si alternava con le nuvole, ma il clima restava molto rovente.
Indossavo un semplice pantaloncino con sopra una maglia presa al volo dall'armadio dei miei fratelli. Quando mi chiesero di andare a giocare in giardino non ci vidi più dall'adrenalina e raccolsi la prima cosa che mi capitò dinanzi agli occhi.
Le lacrime smisero di fuoriuscire, zio era arrivato per difendermi, fino a quando, ad un certo punto, i gemelli puntarono le pompe verso di noi e ci bagnarono completamente.

Zio però riuscì a non farmi piangere. Saltellò urlando come una ragazzina con me in braccio, provando a scappare dai miei fratelli ma con scarsi risultati.
Cominciai ad urlare anche io, ma la mia voce era ovattata.
"No! No! Vi prego smettetela!" Dicevo ridendo a crepapelle insieme a Christopher, che mi manteneva la testa per tenerla appoggiata sul petto, così da non bagnarmi ulteriormente.

Aprii gli occhi di scatto, ma il cuore non batteva con la stessa velocità delle prime volte.
Stavo imparando a controllarmi e man mano, più passavano le notti e meno urla fuoriuscivano dalla mia bocca. Il problema però era che le urla ad interrompere il sogno non erano state le mie quella volta, ma quelle provenienti dalla stanza infondo al corridoio.
Impiegai qualche minuto per capire dove mi trovassi, ma quando mi girai notai una chioma bionda coprire tutto il cuscino.

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