Introduzioni

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"E credetemi... questo era pazzo da legare!" Esclamò la barista prima di bere un enorme sorso di birra dal boccale ricolmo di schiuma.
"Non lo metto in dubbio Ruth, ma come era arrivato qui?" Domandò perplesso l'omone muscoloso dietro al bancone. Aveva un occhio buono e un occhio coperto da una benda da cui usciva una lunga cicatrice. Era come se cliente e barista si fossero scambiati il posto.
"Dunque..." Iniziò, strabuzzando gli occhi, come per concentrarsi. "HIC! Allora, stavo facendo il mio lavoro, come sempre, in questo tugurio che chiamiamo bar, sperduti in mezzo al nulla. Ernst era arrivato pieno di foga blaterando di aver trovato il tesoro del capitano Archibald, ma sappiamo tutti quante stronzate Ernst va raccontando, no? Ma ero così ubriaca che stavolta mi son lasciata andare e l'ho seguito.
Siamo salpati e abbiamo raggiunto la Nebulosa Testa di Cavallo. Quel povero coglione non so come, ma era riuscito a trovare in un fottuto asteroide nel vuoto spaziale l'Amuleto di Saturno. Ditemi voi, quanto pagherebbe il Consiglio Galattico per quell'affare?" Nella sala era calato un silenzio di tomba, segno che ormai Ruth aveva l'attenzione di tutto il bar. Ruth continuò chiudendo gli occhi ed un sorriso soddisfatto stampato in faccia dalla soddisfazione di aver saputo catturare tutti col proprio racconto. "...beh, così tanto da poter vivere per il resto delle nostre vite senza dover alzare un dito! Ora, ovviamente volevamo portarlo via, ma..." S'interruppe per finire la caraffa di birra, dopodiché barcollante salì sul bancone, come un attore che stava per esibirsi sul palco. "...eravamo solo in due. L'Amuleto è leggenda, nessuno lo aveva mai visto prima, alcuni dati parlano di un piccolo anello, altri di un enorme monolito, non si capisce un cazzo. Vi dico... era enorme. E quell'idiota non lo aveva specificato!
Poi, il caos. Sono arrivati pirati da ogni parte, e quando ho posato lo sguardo su Ernst, se la stava ridendo e lì ho capito: il bastardo voleva semplicemente vendermi come schiava a qualcuno. Non c'era nessuno amuleto. La sbronza stava passando, quindi ho tentato il tutto e per tutto: ho fregato la sciabola ad un pirata, veloce come non so cosa ho tagliato gole a destra e sinistra, mi sono riempita di sangue dalla testa ai piedi, affrontando cinque bastardi da sola! Aaaah! Quelli sì che erano bei tempi... ero giovane, sapevo muovermi veloce come la luce... e non avevo tette flosce." L'omone con la benda le faceva segno di smetterla, parlandole con il labbiale: "Smettila, mamma, smettila!"
Poi si sedette a gambe accavallate sul limitare del bancone, accanto agli erogatori delle birre, testa bassa. "...eeeeh sì, a quei tempi i ragazzi andavano matti per me. Oggi... oggi ho solo vecchietti a cui a malapena si alza."
"Mamma! Smettila, per favore!" Esclamò stavolta, in preda alla vergogna.
Nella sala si iniziavano a sentire dei mormorii, la gente ai tavoli si chiedeva cosa mamma stesse facendo a testa bassa. Quello più vicino all'omone la indicò, avvertendolo. "Uuuhhhh... Ronald? Credo sia... credo si sia addormentata."
Ronald riaprì gli occhi, chiusi per la troppa vergogna che provava per sua mamma. Per quante volte l'avesse vista comportarsi in quel modo, non riusciva mai ad abituarsi. Lo spazio è pericoloso e dentro alla stazione passano cani e porci, impossibile fidarsi di qualcuno.

Più tardi...

"Non era previsto... tutto questo, non era proprio previsto. Eravamo in trenta, sparpagliati, la gravità ci stava schiacciando, era un pianeta tremendamente pesante. Tre volte Nova Terra, se non ricordo male..." Lamentava un ragazzo dall'aria stanca trangugiando della birra scura davanti a Ronald. Quest'ultimo stava ascoltando con un certo interesse mentre puliva il bancone. "E poi sono arrivati quei dannati cosi! Sembravano usciti dal film 'Ariba Ameba', verdi, flaccidi, uuugh, dovevi proprio vederli. Come assorbivano i proiettili, intendo! Alla fine siamo dovuti ricorrere alle armi al plasma, e siamo riusciti a scioglierli." Si buttò giù per la gola un gran sorso con una certa frenesia.
"Mi ricordi per quale motivo siete finiti su Gelatonium IV?" Domandò Ronald distrattamente quando era intento ad asciugare una tazza.
"E' molto banale a dire il vero, dovevamo semplicemente raccogliere un po' di nettare dalle amebe, ma si erano fatte aggressive! Oh, Dio, così aggressive, che..." Il ragazzo venne interrotto da un grido che si sentì più della confusione del bar. Ronald si girò di scatto guardando dietro di sé, verso la porta della cucina. "Uh, un attimo, vado a vedere che diavolo è successo..." Ronald nella cucina si ritrovò Ruth, sua madre, in preda ad una crisi di nervi, o di panico, non si sa bene cosa le stesse prendendo in quel momento. Era davanti al frigo dove si solito tengono i superalcolici, mani sui capelli arruffati e scoloriti. Ronald alzò gli occhi al cielo. "Che succede adesso, Mamma."
Lei lo guardò paonazza. "Sono... sono scomparsi. L'aceto di Grog, il succo della Regina... l'erba al Cammello!"
Ronald aggrottò le sopracciglia e serrò gli occhi, con delicatezza spostò sua madre, quindi aprì il frigo. Effettivamente era vuoto. "Ma che cazzo..." Sì guardò intorno, ma non lo vide. "Jaz! Jaaaz! Sai che fine hanno fatto gli ingredienti per i drink?" Domandò urlando.
"No! Non dovrebbero essere dentro il frigo?" Urlò una voce dal bagno della cucina.
"Già, dovrebbero..." Commentò Ronald. Ruth si grattava ovunque, si guardava intorno continuamente con aria circospetta. Ronald trovò la cosa parecchio strana. "Mamma? Hai qualcosa da dirmi, per caso?" Le domandò con tono pretenzioso, quasi come se sapesse già la risposta.
"Io... io..." Mentre iniziava a mormorare qualcosa la fissò, inclinò la testa di lato con le sopracciglia alzate. "Ho... ho visto una signora anziana aprire il frigo e andarsene con tutto quanto... dobbiamo... dobbiamo inseguirli..." Finì con voce tremante. Pareva stralunata. Ronald l'afferrò per le spalle, la fissò negli occhi rossi dilatati. Poi, con calma, le parlò.
"Non c'è nessuno da inseguire, mamma..." Si prese un momento, chiuse gli occhi, fece un gran bel respiro, poi sputò tutto fuori, facendosi sentire quasi da tutto il bar. "Ti sei pappata tutto tu! Imbecille di una madre, tossica che non sei altro! Finirà mai questa storia? La gestione del bar deve fallire? Chi baderà ai tuoi nipoti, eh?! Fuori da questa stazione c'è il nulla, i viaggiatori sono costretti a fare anni luce di distanza per poter arrivare alla prossima stazione più vicina! E non tutti possono permettersi questo lusso, è perciò che abbiamo anche una modesta quantità di letti a disposizione e Jaz non ne può più di stare a fare il receptionist. Un ruolo che toccherebbe a te, quando invece te ne stai qua facendo finta di servire i clienti mentre fumi erba e bevi come un cammello! Che problemi hai?!"
Jaz guardava i due da lontano, sconsolato. Non sopportava vedere suo fratello e sua madre litigare, ma in cuor suo sapeva che Ronald aveva ragione." M-marvin..." Mormorò Ruth a testa bassa.
"Non usare papà come giustificazione! Pensi che gli farebbe piacere vederti in questo stato? Lui è dentro di te e guarda sempre come ti comporti! Come si sentirebbe secondo te, eh? Quel povero cristo non è mica morto per permetterti di intossicarti e rovinare gli affari di famiglia!"
Jaz corse verso di loro con l'intento di fermare Ronald, non ne poteva più. Ma sì fermò non appena lo vide zittirsi all'improvviso abbassando la testa. Ruth lo guardava con occhi spalancati. Suo figlio piangeva. "Basta mamma, ti prego. Mi fa male doverti trattare così... mi fai arrabbiare... un tempo eri migliore. Capisco che ti manchi papà, ma non ha combattuto la Guerra dei Sistemi per divertimento... onoralo, ti supplico. Detesterebbe vederti in queste condizioni..." Ci fu una pausa, discretamente lunga, un gran silenzio. "...non pensi a noi? Tutti i giorni costretti a vederti... Così..." Ancora silenzio.
"Ehm... tutto bene lì?" Domandò il ragazzo delle amebe fuori dalla cucina, forse preoccupato.

Qualche ora più tardi...

La mandibola mi faceva male, era troppo grosso. Gli artigli si contorcevano, usava due delle sue braccia per bloccarmi mentre le altre procedevano a procurarmi tagli con gli artigli in tutto il corpo. Uno di quelli mi aveva squarciato il braccio, quasi volesse inabilitarmi ad ogni fuga. Non riuscivo a respirare, pensavo che di lì a momenti sarei morta. Volevo provare ad azzannare la lunga coda che mi aveva infilato giù per la gola, ma la sua pelle sembrava dura come la roccia. Faceva freddo, non avevo considerato che di notte la temperatura sarebbe calata in quel modo. La notte, il buio, l'oscurità. Vedevo il mio aggressore a malapena. Era anche umido, forse stava piovendo, non sapevo dirlo con certezza. Le forze mi stavano abbandonando del tutto e tenere gli occhi aperti si stava rivelando un'impresa. Le gambe mi tremavano, esattamente come tutto il corpo. Iniziava a sollevarmi, mi sentivo sempre più vulnerabile. Con un altro braccio l'essere immondo mi aveva spaccato il casco, colpendo anche la testa. Sentivo un dolore sordo, lo stordimento mi aveva arenata, e un terrore abissale incatenata. Smisi pian piano di opporre resistenza, mi ero rassegnata, avevo accettato la morte. Dopotutto era anche l'unico modo per porre fine a questo dolore incommensurabile, non stavo aspettando altro che lo svenimento.
Chiusi gli occhi, mi abbandonai a me stessa.

Oscurità, esattamente come l'ambiente in cui mi trovavo quando avevo gli occhi aperti.

Poi sentii il mio corpo fluttuare nell'aria, avevo la bocca finalmente libera. Aprii gli occhi, ma a fatica, poiché davanti a me c'era un lampo di luce accecante.

Era arrivata la mia ora. La luce... sono mica in paradiso?

Ero finalmente in pace con me stessa.

"Adrenalina, subito!" Esclamò una donna agitata.
"Non posso, i livelli di spore sono troppi alti, l'organismo impazzisce, la ucciderebbe!" Rispose un ragazzo con lo stesso tono.
"Andiamo ragazzo non siamo al primo anno di accademia, una dose, immediatamente! La perderemo!"
Il ragazzo fece uno sbaglio da novellino, iniettando del sedativo. Paradossalmente, la cosa funzionò.
Il lampo di luce... non era altro che la luce del soffitto accecante dopo aver aperto gli occhi. Il bianco soffitto di un ospedale. Aprì la porta un'infermiera dai capelli a coda di cavallo.
"Ben svegliata signorina, si sente bene?"
Mi stavo toccando le gambe: lisce e maculate. Le braccia stessa cosa. "Credo... credo di sì... ma non capisco..."
"Abbiamo fatto un checkup e ripulito il suo sangue. La nostra ipotesi è che lei abbia assunto del benzoilmetilene per via venosa."
Guardavo il braccio, notavo che un buco effettivamente c'era, ma era lo stesso che quel mostro mi aveva fatto. Su entrambe le braccia. Buchi troppo grossi perché potessero essere semplicemente quelli di un ago. Avevo provato a dire qualcosa, ma non ne avevo le forze.
"Ad ogni modo, ora si riposi. Tra qualche giorno si riprenderà."
Un mostro che mi aveva aggredita, delle spore e poi questo." La signorina mandò giù il decimo shottino di rum liscio, ormai era completamente su di giri. "Un altro, per favore." Chiese a Jaz porgendo il bicchierino verso di lui. Jaz era titubante visto lo stato in cui la donna versava.
"N-non pensa che sia il caso di... non dico fermarsi, ma di fare una pausa?" Le domandò con una gran timidezza. Non era abituato a stare al bancone al posto di suo fratello o sua madre. O forse erano quelle enormi tette che sfoggiava la signorina, con una scollatura incredibile, bagnata in parte dalla birra bevuta prima degli shottini. Lei naturalmente era così ubriaca da non essere riuscita a notare che gliele stava fissando da cinque minuti buoni.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 15 ⏰

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