1.

1K 72 7
                                    

it's nice to have a friend

-

Quando Simone ha sette anni, conosce il suo migliore amico. 

Potrebbe sembrare una cosa da poco, che a sette anni di amici se ne hanno tanti, ed è facile stringere legami che sembrano destinati a durare per sempre. In fondo, quando si è piccoli tutto sembra più grande, anche i sentimenti e il tempo, ed essere amici da un anno è un po' come esserlo da sempre. 

Ma Simone non è un bambino come i suoi compagni di classe, a cui bastano dieci minuti e un pallone condiviso per giurarsi amicizia eterna. A Simone, in realtà, giocare a calcio con gli altri bambini nemmeno piace. Gioca a rugby, lui, e non lo capisce proprio quello sport che appassiona tutti.

Simone fa fatica a trovare degli amici. Non si ricorda se sia sempre stato così, la mamma e la nonna gli dicono sempre che quando era più piccolo era più socievole, ma poi è come se qualcosa in lui si fosse spento. 
Fa fatica a stare con gli altri bambini, fa fatica a legare con loro. Ogni volta è come se ci fosse qualcosa che gli manca, come se fosse un pezzo di puzzle danneggiato che non può più incastrarsi con gli altri. 

Per questo, per Simone è importantissimo il giorno in cui, a sette anni, trova il suo migliore amico. 

Gli intervalli alla scuola elementare sono di solito un momento di gioco e di divertimento, uno sprazzo di luce nel tedio delle lezioni che a volte possono essere difficili da sopportare per un bambino piccolo. L'intervallo è il momento più atteso dalla maggior parte dei bambini.

O almeno, dai bambini che hanno degli amici.

Simone di amici non ne ha, i suoi compagni ci hanno provato all'inizio, e anche lui si è sforzato, ma qualcosa non ha funzionato e alla fine, come è tipico dei bambini piccoli, si sono stufati tutti. Per questo motivo, mentre i suoi compagni corrono dietro a un pallone madidi di sudore e le sue compagne si fingono madri alle prese con famiglie numerose e lavori bizzarri, Simone di solito siede sugli scalini che portano alle classi dei grandi, guardando gli altri che giocano.
Qualche volta si annoia e vorrebbe andare dagli altri per chiedergli di unirsi a loro, ma il coraggio da solo non lo trova e non c'è nessuno pronto a tenergli la mano. 

Anche quel giorno, quando la maestra Sonia li accompagna in cortile per il consueto momento di gioco, Simone osserva i compagni che fanno a gara per arrivare primi al campetto di calcio con un po' di malinconia. Poi si volta a guardare le bambine, che hanno già occupato la loro consueta posizione e si stanno dividendo i ruoli del gioco. 
Sospira, desiderando di avere un giorno il coraggio di chiedere loro di giocare, e si avvia verso la solita scala.

L'universo quel giorno deve avercela proprio con lui, perché quando appoggia la manina sul gradino per sedersi, si rende conto che la pietra è ancora umida dalla pioggia del giorno prima. Questo significa che non può sedersi lì.
Trattiene le lacrime - una cosa che ha imparato a fare perché Mattia, un suo compagno di classe, lo ha chiamato frignone l'ultima volta che ha pianto davanti a tutti - e si guarda intorno cercando un posto dove sedersi.

Ecco, pensa dopo aver ispezionato attentamente tutto il cortile, forse può sedersi sotto il porticato! Ci sono alcuni bambini più grandi che giocano là sotto, ma nell'angolino ci sono alcune sedie libere dove può rintanarsi per un po'.

Confortato da questa prospettiva, Simone scende le scale e trotterella attraverso il giardino, passando accanto al campetto da calcio fino a raggiungere le sedie sotto al portico. Soddisfatto di aver trovato un posto, si arrampica con un po' di fatica su una di esse, pronto a trascorrere un altro intervallo in solitudine. 

"Oi, quello di solito è il posto mio!" 
Un bambino poco più alto di lui con i capelli corti biondi e gli occhi scuri lo sta fissando, le mani appoggiate ai fianchi in segno di protesta. "Te ne devi andare!"

Simone si affretta a saltare giù dalla sedia, lo sguardo basso. Quello è uno dei bambini più grandi, è in terza elementare: Simone, che è solo in prima, non vuole proprio farlo arrabbiare.

"Scusami, non lo sapevo. Cerco un altro posto." e sa che non ne troverà uno e vorrebbe tanto piangere, ma non vuole che anche quel bambino grande lo chiami frignone.
Fa per allontanarsi, ma una mano afferra la sua e lo fa voltare. 

Un bambino con una zazzera di capelli ricci e un'espressione contrariata lo ha trattenuto. Simone ha un po' paura: non è che lo vuole picchiare perché ha rubato il posto al suo amico?
È stupito quando realizza che, in realtà, l'altro sta guardando storto proprio quel bambino biondo che lo ha cacciato via poco prima.

"E chi l'ha detto che questo è il posto tuo, Alè?" domanda, la bocca storta in un'espressione infastidita. "E poi è di prima, non è bello che lo tratti così!" 
Ora quel bambino castano sta guardando proprio Simone, e gli rivolge uno sguardo gentile e un sorriso.

Il bambino biondo sbuffa a quelle parole, sibilando una parola che Simone non capisce ma che ha tutta l'aria di essere cattiva. Al castano però non sembra importare, impegnato com'è a prendere Simone per mano e a trascinarlo di nuovo verso le sedie.
"Non lo ascoltà, je piace sentisse forte perché non è molto intelligente." A Simone viene un po' da ridere, anche se non è una cosa molto carina quella che l'altro ha appena detto. "Comunque se anche nun je voi rubà il posto puoi metterte là accanto a me."
E così dicendo gli indica una sedia poco lontana.

Simone è un po' stupito: nessuno di solito lo richiama quando se ne sta andando, tutti lo lasciano pensando che voglia stare da solo. In realtà, se qualcuno gli chiedesse di restare come ha fatto quel bambino più grande, gli farebbe piacere. 
Sorride allora, e si volta per tornare indietro, prendendo posto accanto all'altro bambino.

"Grazie per non avermi fatto andare via." gli dice, e l'altro pare quasi ridersene, come se il solo pensiero fosse assurdo.
"E perché avrei dovuto? Comunque non mi hai detto come ti chiami."

"Sono Simone." ed è enorme e brillante e bellissimo il sorriso che il maggiore gli rivolge.
"Io sono Manuel." replica, afferrando poi la sua mano per stringergliela come Simone ha visto fare solo ai grandi prima. "Vuoi giocare a carte con me e i miei amici, Simone?"

E ne era sicuro che fosse tutto troppo bello, perché si ritrova a scuotere la testa. "Non sono capace di giocare."
Ma il più grande non pare scomporsi a questa confessione.
"E che problema c'è? Ti insegniamo!"

Quando arrivano gli altri bambini - tutti di terza elementare - Manuel lo presenta come "il mio amico Simone", e Simone non è mai stato più felice di così.

No one can hurt you (as long as i'm here) | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora