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The day that they took you, I wish it was me instead.

A dodici anni Simone capisce perché si è sempre sentito solo.

Non è facile scoprire di avere un fratello. O meglio, di averlo avuto: Jacopo infatti non esiste più. In un certo senso, lo ha ucciso lui dimenticandosi della sua esistenza. 
Non è facile nemmeno accettare che i suoi genitori - e sua nonna, persino sua nonna! - gli abbiano nascosto quel fatto così importante per otto anni della sua vita, che abbiano preferito lasciargli vivere una menzogna piuttosto che dirgli la verità.

Ancora più difficile da sopportare è la consapevolezza che, se non avesse trovato quella foto di suo padre che abbracciava due bambini identici, forse non avrebbe mai scoperto di avere avuto un gemello. Non avrebbe mai saputo della propria metà mancante, e avrebbe continuato a sentirsi perennemente solo senza comprenderne il motivo. 

È difficile il periodo che segue la scoperta. Dopo che la mamma gli racconta di Jacopo, per un paio di giorni si chiude in camera senza voler vedere nessuno. Non ascolta le suppliche della madre nè le spiegazioni della nonna: non vuole parlarne con nessuno, nessuno può comprendere quanto si senta tradito e spaesato.

La situazione è grave a tal punto che la nonna e la mamma chiamano suo padre, cercando di convincerlo a tornare a Roma. Dante, naturalmente, non ha il coraggio di affrontare quel figlio a cui ha mentito per una vita intera e a Roma non ci torna. Ma in ogni caso, Simone non avrebbe voluto vederlo.

La prima persona che accetta di vedere, cinque giorni dopo la scoperta, è Manuel. 

Sono rimasti migliori amici, nonostante il trascorrere degli anni. Simone, un anno prima, ha insistito perché la madre lo iscrivesse alle medie nella stessa scuola frequentata dall'amico. Di separarsi da lui non ne ha proprio intenzione: vivono praticamente in simbiosi ormai, ed ora che possono spostarsi da soli sono più i momenti che trascorrono insieme che separati.
È il loro legame unico e simbiotico, unito alla consapevolezza che Manuel sia l'unico a poterlo capire sul serio, a spingere Simone a farlo entrare nella propria stanza dopo cinque giorni di insistenza.

Il maggiore non parla neppure - non è mai stato bravo a farlo, fin da quando erano bambini - ma apre le braccia e lascia che Simone si rifugi tra esse, nel suo posto sicuro. 

Simone piange a lungo, cosa che non credeva possibile vista la quantità di lacrime versata nei giorni precedenti, e si aggrappa a Manuel come vorrebbe potersi aggrappare al fratello, o almeno al suo ricordo. Il più grande lo stringe senza chiedere spiegazioni, e quando Simone è pronto a fornirne lo ascolta senza interromperlo.

“I tuoi sono stati un po’ delle merde, Simo. Però non devi colpevolizzarti perché non te ricordi più de lui: so sicuro che non vorrebbe questo.” mormora quando il più piccolo si è sfogato del tutto.
“È che per tutta la mia vita mi sono sempre sentito come se ci fosse un vuoto che non riuscivo a colmare, come se avessi bisogno di una mano stretta alla mia che però non c'era.”

È allora che Manuel lo guarda dolcemente e afferra la sua mano sinistra, stringendola nella propria. 
“‘O so che non è lo stesso, però magari se una te la tengo io riesci a sentire lui che ti tiene l'altra.”

E a Simone, per un istante, sembra di sentirlo davvero. 

Ritorna a scuola un paio di giorni dopo. Ancora si rifiuta di parlare con i suoi genitori, un po’ ha ripreso a farlo con la nonna. Manuel è l'unico con cui riesce a comportarsi come prima.

I suoi compagni di classe gli domandano immediatamente dove sia stato per tutto quel tempo, ma lui cerca di eludere i loro interrogativi.
Non sono antipatici come quelli delle elementari, anzi per la maggior parte del tempo ci va pure d'accordo, ma non ha stretto un vero legame d'amicizia con nessuno di loro, tranne che con la sua compagna di banco. 

No one can hurt you (as long as i'm here) | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora