Sei di chi
magari non trova le parole per dirti ciò che prova, allora te lo dimostra
(e forse è molto meglio cosi).Juliette
Mi svegliai con il dolce profumo dei biscotti della nonna di Leo. Devo essere onesta li divorai in un secondo insieme al cappuccino. Poi però per vestirmi ci misi di più. Mi svegliai apposta prima del solito per farmi un doccia e rilassare i nervi. Ci misi come sempre 40 minuti per asciugare i miei lunghi ricci rossi. Non mi truccai neanche, di solito mettevo anche solo un filo di mascara per incorniciare gli occhi azzurri. Non riuscivo neanche a mettermi la gonna. La gonna. Io amavo le gonne o i vestiti erano alla base del mio stile. Ma l'idea che con una gonna addosso gli sarebbe venuto facile rifare le stesse cose di ieri sera mi uccideva.
Prima di salire in auto Lucas mi volle parlare. Ci appartammo vicino alle scale e mi fece una promessa:«se lui ti tocca di nuovo questa volta finisco in prigione per la vita» poi mi fece andare a scuola.
E non seppi decifrare quelle parole. Lo odiavo, con tutta me stessa. Perché non riuscivo a decifrare i suoi comportamenti.
Il viaggio in auto era durato una vita e il silenzio tra me e Leo rendeva il tutto più difficile.
Prima di scendere mi bloccò. Mi fece sedere di nuovo sul lato passeggero. Mi teneva la mano nella sua.
E mi raccomandò:«per qualsiasi cosa chiamami, io in un secondo sono da te».
Lo ringraziai e scesi. Un passo dopo l'altro. Puoi farcela. Quando entrai tutti gli occhi si posarono su di me. Di sicuro non passo inosservata. Poi però capii una cosa fondamentale di quella dannata scuola, Royal London High School, le voci girano più velocemente che tra le cuoche.
Tutti sapevano e lo sguardo dispiaciuto di Isla, che normalmente avrebbe preferito vedermi morta, ne fu la conferma. Anche lei è umana.
Arrivata al mio armadietto sentii una presenza incombermi alle spalle.
Sapevo chi fosse, e la salutai «ciao Darya».
«Juliette te lo giuro, lui non voleva, è un bravo ragazzo» chiusi l'armadietto e mi incamminai verso l'aula della prima ora.
«si saluta, mamma non ti ha insegnato le buone maniere?» non so da dove l'abbia tirata tutta questa forza.
«ciao Juliette» ma non si fermò, insistette «è un bravo ragazzo, non lo farebbe mai te lo giuro»
Non resistetti, mi fermai in mezzo al corridoio girandomi verso di lei urlando:«un bravo ragazzo molesta la ragazza per cui dice di provare qualcosa?» si zittì come tutti i presenti.
Mi resi conto solo dopo di ciò che avevo fatto.
Ma ero più forte. E anche se non lo fossi stata l'avrei fatto credere. Quindi mi incamminai verso l'aula di spagnolo.
Avevamo due ore insieme. Cinese e Italiano. Lui si sedette dall'altra parte dell'aula ma per tutta la lezione riuscii a sentire i suoi occhi su di me. Le sue mani su di me. E tutti i ricordi di quella sera riaffiorarono. Tornarono anche le lacrime, il nodo in gola e il panico ma strinsi i denti e ricacciai tutto dentro.
Corsi fuori dall'aula il più velocemente possibile. E per la prima materia in comune riuscii a scappare via. Ma l'ora dopo non fui così veloce.
Mi prese per il polso e sobbalzai dal dolore. Quella mattina facendomi la doccia notai dei lividi, ne ero piena. Di quella notte avevo ricordi confusi. Avevo iniziato a dubitare anche che si fosse fermato alla semplice molestia. L'avevo letto da qualche parte, era un modo per autodifendersi della mente umana. Cancellava i ricordi traumatici. Sapevi cosa avevi subito, lo ricordavi ma in modo diverso. Non vedevi le immagini scorrere normalmente davanti a te. Era un sollievo, per certi versi.
Mi lasciò il polso vedendomi sobbalzare. «scusa» mi disse.
«che vuoi?» gli domandai duramente.
«scusarmi con te, non so che mi è preso» provò ad accarezzarmi ma mi scansai.
Non proferii parola, provai ad andarmene e basta. Mi bloccò sbattendomi con forza contro lo stipite della porta.
Non c'era nessuno. Eravamo soli. Tutti erano andati nell'edificio B per le prossime lezioni.
Sei più forte di lui hai il cip. Ma anche lui lo possedeva, era un reale.
«io volevo solo scusarmi, ma se la fai così difficile» provai a divincolarmi ma continuava a tenere la presa salda sui miei polsi. Si avvicinava sempre di più al mio viso.
«ma ora che la fai così difficile potrei concludere ciò che non sono riuscito a fare la scorsa notte».
Alzai un poco il mento e lo guardai dritto negli occhi.
«fallo! Poi vediamo chi si diverte» non avevo paura di lui. Ero più forte ma soprattutto sapevo che potevo contare su tutte le persone che mi amavano.
Lo vidi tentennare per un momento e allentare la presa. Gli diedi una testata e cominciai a correre.
Non mi inseguì ma le sue parole mi arrivarono dritte come una coltellata:«bel culetto principessa».
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Princess Treatment
ChickLitSono cresciuta in una famiglia che per diciotto anni mi ha amata. Ma solo ora scopro che era tutto una menzogna. Mi chiamo Juliette Molinari-Windsour e sono l'erede al trono d'Inghilterra. Mia madre e mia nonna mi hanno cresciuta distante da quel m...