"Mamma, non piangere le mie ceneri. Se domani tocca a me, mamma, Se domani non torno, distruggi tutto, se domani tocca a me, voglio essere l'ultima".
Quella sera avrei avuto il mio appuntamento con Harper. Sentivo l'ansia crescermi dentro, e che mi avrebbe accompagnata per tutta la giornata. Mi ero svegliata presto anche se era un sabato perché dovevo recarmi a scuola per un progetto scolastico. Avevo indossato una camicia bianca, un maglione smanicato, una gonna che arrivava sopra il ginocchio e un cappotto lungo, ah e logicamente le mie amate converse. Avevo legato i capelli in una treccia sbarazzina da cui erano scappati dei ciuffi. Non avevo esagerato con il trucco, mascara, illuminante, blush, e una combo sulle labbra. Amavo truccarmi ma non sapevo farlo, quindi evitavo. Quella mattina Leo non era di turno, doveva essere Lucas ad accompagnarmi ma dopo una settimana la situazione era ancora tesa. Non riuscivo a sopportarlo e lui non sopportava me. Ero esasperata dal suo odio nei miei confronti. Mi stava accompagnando come piacere, da amico. Ogni volta che litigavo con Lucas mi guardava in quel modo. Con occhi tristi e pieni di rammarico. Ma lui non c'entrava nulla. Prima di andarmene lo salutai diversamente dal solito. Lo abbracciai per poi stampargli un bacio sulla guancia. L'avevo lasciato spaesato. Ero corsa fuori dall'auto avendo paura di essere in ritardo. Entrai svoltando a destra verso l'aula di scienze. E la trovai sorprendentemente vuota. Ma cosa...
Chiamai la mia compagna che aveva organizzato l'incontro. Uno, due, tre, al quarto squillo buttai giù.
Chiamai allora l'ultima persona che avrei voluto chiamare. Isla. Una mia compagna che fin dal primo giorno aveva sottolineato il suo disappunto nei mie confronti. «una principessa che spunta così improvviso, impostora, a questo punto potrei dire anche io di essere una principessa». Era figlia di due ricchi inglesi. Un avvocato e un medico molto famosi. Storia già vista. E poi era una bella ragazza, alta come me, capelli corvini e occhi scurissimi, con la pelle bianca a far risaltare il tutto.
Lei mi rispose subito. «che c'è Juliette?» rispose scorbutica. Beh questo mi faceva capire che mi aveva almeno memorizzata, buon segno.
«perché non c'è nessuno a scuola?» domandai guardandomi intorno spaesata.
«sei a scuola!» aveva urlato dall'altro capi perforandomi un timpano.
«si(?)» avevo paura della sua risposta.
«l'appuntamento è tra un ora, non hai letto i messaggi?»
«no» ammisi. Non avevo avuto tempo.
«ma certo troppo impegnata in cose principesce» oh ora si che mi sente.
«scusami se i miei unici impegni non sono sperperare i soldi di mammina e papino per vestiti che ho già nel guardaroba ma salvarmi le penne dai mafiosi» e con quello chiusi prima che potesse replicare.
Chiamai Leo per farmi venire a prendere. Non sarei rimasta lì un'ora a girarmi i pollici. Ok che avevo un libro dietro ma avevo bisogno di parlargli.
Quella mattina avevo avuto un incubo e non avevo avuto il tempo di raccontarglielo.Vagavo per i corridoi di un ospedale. Mi era familiare, ma tutto lo era. Guardai il mio riflesso in una delle vetrate. Avevo i capelli bianchi ma non ero anziana, avrò avuto sedici anni al massimo. Ero bianca come il latte e fredda. Stavo congelando, l'unico indumento che avevo il camice e la biancheria intima. I piedi nudi e l'ambiente circostante come cristallizzato. Le infermiere, i pazienti e i medici. Tra cui uno che correva nella mia direzione. Era tutto assurdo. Era diverso dagli altri sogni. Dall'ultimo. Ma avevo imparato che non ero mai uguali. Ne sogno potevo essere una persona ma con il mio aspetto. In un altro potevo avere le sembianze di quella persona oppure vivere il tutto come una spettatrice che non interagiva. Erano imprevedibili e mi spaventavano a morte.
Le persone intorno a me ricominciarono a muoversi di punto in bianco. E quel medico si fermò davanti a me.
Mi aveva presa per il polso e aveva cominciato a camminare a passo spedito.
«Danny dove mi stai portando» ma non ricevetti risposta.
Continuava a camminare spedito per la sua strada. Era un bell'uomo, alto, muscoloso, con la pelle un po' scura e i capelli corti dello stesso colore scuro degli occhi. Sapevo chi era. Era il dottor Daniel Perez, primo anno di specializzazione. Ed era il mio ragazzo. L'avevo conosciuto in ospedale dopo essere stata ricoverata dopo un incidente. Mi avevano sparato. Ero la figlia di uno dei primi ministri d'Inghilterra. Oh merda. Ero la figlia di Loden. Un caro amico della mia famiglia e primo ministro. Sua figlia era stata coinvolta in un attentato nell'ospedale dove era ricoverata, non so quanto tempo fa. E il suo ragazzo...
Eravamo saliti sull'ascensore, direzione: parcheggio.
«stanno arrivando ok? Un auto ti scorterà via, al sicuro»
«e tu?» la mia voce mi sembrava lontana come un eco.
«ricordati che io ti ho sempre amato» eluse la mia domanda.
La situazione si faceva sempre più assurda. Troppe domande, nessuna risposta come sempre. E la cosa peggiore e che riuscivo a provare le sue stesse emozioni.
Stavo piangendo e dei dubbi iniziavano ad insinuarsi in me.
«Danny...» lo chiamai con la voce spezzata e tremolante.
Si girò verso di me con l'agitazione che gli si poteva leggere in viso. Ma leggevo anche una paura disarmante.
«Daniel dimmi la verità, ti prego» lo supplicai.
«ero il tuo medico, mi stavo...innamorando e loro mi hanno avvicinato, hanno mia madre in ostaggio da un anno, dovevo
usarti o l'avrebbero uccisa, non potevo lasciare i miei fratellini soli e allo stesso tempo ti amavo troppo» aveva iniziato a piangere.
«ho fatto il doppio gioco, ho chiesto aiuto a tuo padre, mia madre ora è libera, l'hanno mandata in Brasile ma noi...noi non lo siamo, abbiamo una spada di Damocle sulla testa, devo proteggerti amore» mi strinse e mi baciò. Entrambi piangevamo, perché forse era il nostro ultimo bacio.
Il din dell'ascensore ci fece tornare alla realtà.
Iniziammo a correre verso l'auto. Lì trovammo il mio autista e la mia scorta personale, ma anche qualche altro uomo di mio padre.
Un metro, un fottuto metro ci divideva dall'auto.
Uno sparo in lontananza. E poi dei colpi uno dietro l'altro. Mi fece scudo con il suo corpo prendendoli al posto mio. Gli aggressori vennero uccisi dagli uomini di mio padre.
Eravamo in un ospedale ma Danny non sopravvisse. Era inerme, a terra. Gli occhi spalancati e la sua mano ancora nella mia. Mi inginocchiai piangendo con tutta la forza che avevo. Una pozza iniziò a formarsi attorno a noi.
Provarono a portarmi via ma mi rifiutai. Buttai la testa sul suo petto piangendo e urlando dal dolore. Lo stringevo a me. Al mio petto come a volerlo proteggere. Dovevo morire io non lui.
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Princess Treatment
Chick-LitSono cresciuta in una famiglia che per diciotto anni mi ha amata. Ma solo ora scopro che era tutto una menzogna. Mi chiamo Juliette Molinari-Windsour e sono l'erede al trono d'Inghilterra. Mia madre e mia nonna mi hanno cresciuta distante da quel m...