LA VERITÀ NEGATA (ALICE)

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Prima ancora di aprire gli occhi vengo investita da un mal di testa di proporzioni epiche, mentre i ricordi confusi di ieri sera tornano in superficie: gli shottini con Mel, la musica alta, quei tre ragazzi che mi ballavano attorno, troppo vicini. Poi Matteo che blocca la mano a uno di loro, lui che mi prende e mi accompagna fuori, il sapore acido del vomito che risale lungo l'esofago, poi il nulla. Strizzo le palpebre e inspiro: non è mia abitudine ubriacarmi, in genere riesco a fermarmi, ma ieri sera volevo azzerare i pensieri, perché durante queste vacanze sono stati decisamente troppi. Questa volta non c'entrava la scuola, ma anche Edo, che mi ha scritto qualche volta, e soprattutto Matteo, con cui mi sono sentita veramente tanto in queste due settimane e l'affetto che credo di provare per lui mi confonde. 

Il mio cervello ancora annebbiato ci mette qualche minuto a rendersi conto che il profumo che sto respirando è diverso da quello della mia stanza, che le lenzuola che mi avvolgono sono più ruvide. Apro gli occhi di scatto e il mio campo visivo viene riempito dal rosso del piumone che mi avvolge, mentre inizio a realizzare dove mi trovo. Mi metto a sedere velocemente e la prima cosa che noto è la schiena larga e definita di Matteo, seduto alla scrivania e intento a guardare il portatile. Poi abbasso lo sguardo sui miei vestiti e un gemito lascia le mie labbra, quando vedo una maglia extra large e un paio di pantaloni chiaramente maschili.

Il ragazzo si volta a guardarmi

«Buongiorno bella addormentata, come va la testa?»

Mi sta decisamente prendendo in giro. Deglutisco prima di parlare, ho la gola che brucia.

«Cosa…» tossisco «Cosa è successo?»

Alza le spalle «Hai alzato un po’ troppo il gomito, non eri in grado di camminare o fare altro, quindi ti ho portata qui.»

«Perché ho i tuoi vestiti? Abbiamo…» l'ansia mi assale, insieme al ricordo di Matteo che mi prende in braccio, il mio corpo incollato al suo, la sua bocca così vicina e quella strana voglia di baciare quelle labbra sottili. Deglutisco, cercando di riportare alla mente quello che è successo dopo, ma tutto è avvolto da una nebbia fitta. Non posso neanche pensare ai potenziali scenari che hanno seguito quel pensiero: l'ho baciato sul serio? Dopo aver vomitato? E poi ci siamo lasciati andare al sesso sfrenato? Mi passo una mano sulla faccia, chiedendomi se potrei veramente aver vissuto la mia prima volta senza ricordarlo. Eppure non sento dolore in mezzo alle gambe e un minimo di fastidio dovrei provarlo, no? Sono vergine! O forse ero vergine. Inizio a iperventilare.

Mi guarda come se fossi pazza «No!» Lo dice quasi scandalizzato «Ma per chi mi hai preso? Le ragazze con cui scopo devono essere sveglie e consenzienti! Hai vomitato, addosso a me e sui tuoi vestiti.»

Sembra sinceramente offeso e in mi sento in colpa ad aver pensato una cosa del genere: non sarebbe coerente con quello che credo di aver capito di lui in questi mesi.

«Oh… Scusa… Ma…»

«Ti ha vestito mia madre, tu non eri minimamente collaborante.» 

Restiamo a guardarci per un po’ e l’imbarazzo cresce.

«Grazie» sussurro, ma lui non risponde.

«I tuoi vestiti sono sulla sedia. Cambiati con comodo, ti aspetto giù» ed esce dalla stanza senza guardarmi.

Nella camera c’è un piccolo bagno, con lavandino e wc, così mi do una sistemata e mi rivesto.

Quando arrivo al piano di sotto ad attendermi c'è solo Anita e io divento rossa solo nel vederla: l'imbarazzo per quello che è successo ieri e per lo stato in cui mi ha vista è veramente tanto. Però non è da me nascondermi.

«Buongiorno» spero che la mia voce suoni normale, perché ho ancora la gola riarsa.

La donna si volta e mi rivolge un sorriso gentile, che forse non merito.

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