capitolo 3: Emory

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'cause baby i will
die for you

Presente

Mi sento spiata.

Un pizzicore che si espande sulla spalla destra, che mi riscalda e mette a disagio.

Continuo a correre sull'asfalto bagnato dalla pioggia che picchietta leggera ma costante sulla mia testa, e bagna l'erba.

Aridian City di prima mattina è uno spettacolo, specie quando piove e il bosco, che più tardi lascia affacciarsi sul mare, è il posto più silenzioso dell'intera città.

Mi fermo ad una panchina adibita alle soste e sfilo la mia felpa ormai completamente zuppa.

La musica continua a riempirmi il cervello, e sfilo appena una cuffietta quando sento un forte tuono tuonare in lontananza.

Dopo aver ripreso un po' di fiato ricomincio la mia corsa per fare retromarcia verso l'interno della città, dove, dall'alto del bosco, vedo che si sta iniziando a svegliare.

Ammiro ancora il cielo sui toni del rosso, che ormai va sfumando, e sospiro rumorosamente, rimettendo la cuffietta al suo posto e sistemandomi la felpa in vita.

Riprendo a correre e non faccio nemmeno una sosta.

Ma la sensazione di essere spiata mi perseguita.

Difficilmente sbaglia il mio sesto senso.

Dopo una buona mezz'ora arrivo alla caffetteria che sorge vicino alla stazione, e mi accomodo dentro, salutando Ben e Lauren.

«buongiorno ragazzi! Come và?» chiedo mentre Ben si occupa di porgermi un cornetto alla crema.

«mh, poteva andarmi meglio... Vabbè, hai sentito chi ha fatto rientro in città ieri?» domanda Lauren, riscaldandomi con i suoi sorrisi dolci.

La guardo confusa e lei deve aver compreso i miei pensieri.

Si porta dietro l'orecchio un ciuffetto di capelli biondi, e riprende a parlarmi mentre mi passa una tazza di caffè-latte.

Avvicino la tazza fumante alle labbra e lei inizia a parlare.

«si sono riuniti. Sono ritornati a prendersi quello che era loro»

«ma di chi stai parlando? Chi sono queste persone?» domando accigliata.

Ben le arriva subito da dietro e la avvolge in un abbraccio caloroso, posandogli un dolce bacio sulla guancia che mi fa venire il diabete.

Continuo a bere il mio caffè-latte facendo l'indifferente di fronte al loro scambio di 'coccole'.

«devi stare attenta. I 'magnifici 4' sono tornati, uno più malefico dell'altro»

Mi strozzo con il caffè-latte.

Ben si affretta a passarmi un bicchiere d'acqua e Lauren corre dall'altra parte del bancone per venirmi incontro.

Bevo tutto d'un sorso, e sento una gocciolina di sudore corrermi lungo la schiena, mentre i brividi si fanno sentire ovunque.

«c-cosa stai dicendo? Non è possibile, e-erano in prigione» balbetto cercando di riprendere il fiato.

Con le sue dite affusolate e sicure, Lauren, mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi afferra per mano portandomi a sedere ad un tavolo alle mie spalle.

Ben le si affianca dopo poco e mi porta dei tovaglioli.

«non lo sapevi? Kai, Thomas e Alex sono usciti di prigione circa un annetto fa. Erano solo cinque anni i loro, considerando che sono stati sbattuti al fresco dopo due anni da Andreas» esala Ben.

Andreas.

Dio quel nome.

Andreas.
Andreas.
Andreas.

Sento i battiti del cuore accelerare, e la cassa toracica scoppiare.

Tutto d'un tratto il sangue fluisce ovunque tranne che al cervello, e sento i battiti del cuore nelle costole.

'sarà l'ultima volta che lascerò sfuggirti, ricorda queste parole, perché sono sicuro che non le dimenticherai mai; tu sei-'

«Emory! Sei sicura di stare bene? Hai il colore di uno zombie. Vuoi che ti accompagni a casa?» mi domanda Lauren, distogliendomi dai miei pensieri.

«no no, grazie, farò due passi, e sì, sto bene. Grazie di tutto ma ora devo veramente andare, ecco a te i soldi» dico estraendo il portafoglio dalla tasca del marsupio.

Pago e rimetto il mio cappello con la visiera, e lo abbasso fino al naso, mentre percorro a testa bassa la strada per ritornare a casa.

Vado a passo spedito, dando più volte qualche spintonata a dei poveri signori, con cui non mi scuso neanche per paura di poter essere sentita. La musica si blocca di colpo, per far squillare il mio cellulare.

'numero sconosciuto' compare sullo schermo, e rifiuto la chiamata, facendo ripartire la musica, che di nuovo, viene interrotta da più ed intermittenti squilli, dallo stesso numero.

'rispondi'.

«pronto?»
«le hai più dimenticate quelle parole? Tu sei-»

Chiudo la telefonata inorridita.

Uno stupido scherzo telefonico, ripeto più e più volte al mio cervello.

Rientro nel mio condominio, e corro verso il mio appartamento.

Apro di tutta fretta la porta, e la richiudo con un tonfo sordo alle mie spalle.

Sospiro rumorosamente e porto una mano sul petto a calmare i miei battiti.

Mi assicuro di aver chiuso a chiave la orta da dentro, e inizio a spogliarmi.

Vado in bagno e lascio scorrere l'acqua della doccia, mentre mi svesto e slego i capelli, ma un luccichio sul davanzale della finestra del bagno cattura la mia attenzione.

Mi avvicino e noto un braccialetto impigliato tra la serratura della finestra e la la chiave.

È sottile e sembra essere di argento, una semplice catenina con delle minuscole pietruzze incastonate tra le giunture del bracciale.

Il vapore dell'acqua calda che scorre nella doccia opaca tutto e con tutta la pazienza che ho in corpo riesco a liberare il bracciale.

E mi è tremendamente familiare.

Averlo tra le mani mi ricorda la sera di 8 anni fa, e quasi riesco a sentirne ancora l'odore.

'se sei tornato, vienimi a cercare, ma ho cambiato le regole del gioco nascondino'.

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