Emory:6

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'I'm sorry Ms. Jackson (oh), I am for real
Never meant to make your daughter cry
I apologize a trillion times'

Presente:

«puoi andare a pulire quel tavolo? Sono troppo impegnata con la preparazione di questi margarita. Ti supplico!»

«sisi, tranquilla. Non capisco perché ci tieni così tanto»

Mi allontano dal bancone e dalla risata dolce e sensuale di Melanie, per avvicinarmi al tavolo numero 4.

Melanie lavora in questo club da almeno 5 anni, e non ha mai voluto togliere via neache una briciola da questo tavolo, ha preferito che lo facessero le altre ragazze. E tutte le volte che le chiedevo una spiegazione mi rispondeva di aver paura, ma non diceva esplicitamente di cosa, alludeva ad un odore troppo familiare.

"Lavoro" qui da circa un'annetto, ma più che altro mi serve come copertura.

I capelli mi ricadono morbidi alle spalle e provvedo a legarli subito, mentre inizio a scrostare via tutte le briciole e salse varie dal tavolo in questione.

Le luci soffuse del club creano un gioco di ombre, la musica sensuale accarezza i corpi delle ballerine e delle cameriere, e gli sguardi di luridi vecchi ci disgustano e fanno sentire sporche anche le ragazze più pulite. I bicchieri di alcolici vengono riempiti in continuazione e le bottiglie se ne vanno una dietro l'altra. Le mani di luride persone di qualunque sesso ed età ci accarezzano e palpano, e possiamo chiamare la sicurezza solo quando le loro mani raggiungono le nostre mutandine, sennò non è una forma di violenza. Alla fine ci lasciano pure mance generose, rigorosamente nel reggiseno però.

La cassa riproduce 'Love Is A Bitch' di Two Feet, e il locale, man mano che passano i minuti, si riempie.

Il venerdì sera è la giornata, con il sabato, più intensa della settimana, e non basterà del semplice ghiaccio e correttore a togliere delle occhiaie assurde il giorno dopo, ma se non ci trucchiamo abbastanza bene o se non siamo abbastanza perfette ed appariscenti, licenziate tutte quante. Questo perché il capo lavoro è un uomo che sa solo comandare a bacchetta, e la nostra direttrice, (per quanto riguarda le cameriere) nonché la moglie, è persino peggio di lui.

Gonna aderente da sopra il ginocchio, camicetta di due taglie in meno, reggiseno striminzito, reggicalze, stivaletti e stupide trecce. Eravamo tutte identiche. Tutte belle statuine in cera. Bastava solo che ci attaccassero dei fili e saremmo state perfette marionette.

Ritorno al bancone e prendo posto vicino a Melanie che serve diversi cocktail a signori perversi, che le ammiccano e la palpano in continuazione, e il disagio che prova lo cela dietro un sorriso.

Inizio a servire anche io, e il tempo scorre velocemente, però, il risuono della campanella posta all'entrata che serve ad annunciare l'arrivo di nuovo clienti, fa fermare le lancette dell'orologio e battere più forte il mio cuore.

Guardo a occhi sbarrati Melanie, anche lei immobile sul ciglio della porta.

I secondi non passano e d'improvviso non sento più niente, solo una strana sensazione di calore accarezzarmi il corpo.

Non potevano essere loro, o meglio non poteva essere lui.

7 anni non potevano essere trascorsi così in fretta, e non potevano neanche essere gli stessi occhi che conobbi tempo fa.

Erano meno cupi, decisamente più scherzosi e gioiosi, ora sono così spenti.

Si accomodano al tavolo che avevo pulito in precedenza e lo sguardo che mi riscaldava il corpo, ora era posato su altre ragazzi.
Ora rideva, guardava con interesse le altre, erano ritornati gli stessi occhi di tempo fa.
Ma quando mi sono avvicinata, con il respiro affannoso come se accessi corso una maratona di migliaia di miglia e con il cuore palpitante, per prendere le loro ordinazioni, la sua gioia era scomparsa, per poi ritornare quando me ne sono andata.

Arrivata al bancone, iniziai a calmare il mio respiro e a riprendere il controllo su me stessa.

E la serata trascorse senza intoppi, perché ben presto mi sbarazzai di loro e feci fare il lavoro ad un'altra ragazza, fin troppo entusiasta di prendere il mio posto.

Ma mi bastava qualche piccolo secondo per girarmi e notare quei capelli neri arruffati come sempre, la mascella contratta, e il profilo bel scolpito e delineato. Il suo odore di bergamotto quando gli passavo vicino, la felpa nera che lasciava intravedere piccoli tatuaggi sui polsi, e le mani cosparse qua e là di minuscoli tatuaggi. Ne riuscii a scorgere solo un paio.

Una scritta in greco, forse, e una costellazione in miniatura.

Uscii fuori dal club per andare a buttare via la spazzatura che si era raccolta dietro al bancone e una Porsche richiamò subito la mia attenzione.

Nera e luccicante, nuova di zecca e sicuramente uno degli ultimi modelli, se non fosse per la mia curiosità che mi ha spinta ad avvicinarmi al finestrino dalla parte del passeggero, e nonostante i vetri oscurati, riuscii a scorgere delle mutande in pizzo rosso, appallottolate ai piedi del cruscotto, che sembravano quasi le mie, e quando cercai di vederci meglio, una voce roca alle mie spalle mi fece gridare e sobbalzare.

«che cosa ci fai vicino alla mia macchina?»

Le labbra carnose si muovevano seducenti, il taglio affilato degli occhi mi riempie di brividi.

«nulla che a te possa interessare» risposi, affrontando Andreas, dopo troppo tempo ormai.

«sei vicino alla mia auto, è normale che mi interessa» disse, enfatizzando su 'mia'.

Non avevo voglia di discutere, e non avevo neanche le parole giuste da poter usare, perché il suo buon odore mi riempiva le narici e distoglieva dai miei pensieri, perciò pur di non fare una figuraccia, per la seconda volta nella mia vita, me ne sono andata.

«e comunque da quando ti metti a spiare le macchine altrui?»
«da quando, dentro delle macchine altrui, ci sono le mie mutande!»
«ne sei sicura? Potrebbero essere di chiunque, sai quante ragazze ci sono nel mondo?»
«ma vaffanculo, sono palesemente mie!»
«vieni a prenderle allora»

No, non ci sarei cascata nei suoi tranelli. Già so come andrà a finire se ci vado.

«no grazie, declino l'offerta. Anzi sai cosa ti dico? Te le regalo, ti saranno molto utili»

Lascio la spazzatura vicino ai secchi dell'immondizia e rientro nel locale.

«perché sei stata fuori così tanto tempo?» mi domanda Melanie
«ho buttato la spazzatura, no?»
«non sapevo che ci impiegassi quindici minuti per buttare una busta di immondizia»
«ho preferito prendermela con calma. Piuttosto... Mi daresti un passaggio a casa?»
«va bene, ma stacco un'ora dopo di te»
«tranquilla, aspetterò»

Il locale, passata l'una, iniziò a svuotarsi, compresi i 'magnifici', che con il rombo furioso della loro macchina, hanno dato spettacolo.

Quando anche Melanie smonta, ci ritroviamo nella sua jeep, e mentre cala il silenzio nell'abitacolo, il mio telefono vibra annunciando l'arrivo di un messaggio criptato.

«che c'è? Qualcosa non torna?» domanda Melanie.
«no, per niente. Fai marcia indietro e svolta a sinistra, dormiamo fuori stanotte»

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