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Rei non si lamenta. Ha visto, nella mente degli uomini, ogni genere di sofferenza. Il dolore, che piega, distrugge, drena all'interno, finché non rimane più niente, nemmeno il dolore stesso, solo la sua forma, scavata al posto delle ossa. Il dolore che genera l'odio. Il dolore che ha visto negli altri children, abbandonati a loro stessi troppo presto. Il dolore che ha visto in Ikari e nella Second Children, quei ragazzi fragili come bambini. No, Rei non si lamenta. E poi prova ancora una sorta di pace. La realtà la sfiora, non la tange, non la afferra. E' come se stesse aspettando di svegliarsi. Come se alla sua mente quasi onnisciente fosse sfuggito il dettaglio di sé. Rei è convinta che incontrerà ancora se stessa. Da qualche parte. Domani.
Rei non parla molto, ma vede ed osserva ogni cosa. Anche oggi non ha dormito, ma ha lasciato che il suo dentro uscisse e spiasse i cambiamenti. Rei ha un dentro diverso dagli altri, è cucito al fuori con un filo più sottile. Se si muove, a volte, può sentirlo, un ammollamento strano nei punti in cui la pelle dovrebbe invece essere ben tesa. A volte spera che il filo si scucia e che lo lasci uscire, altre invece lo teme. Quanto può svuotarsi, una persona, e rimanere una persona? Una voce, se tace, rimane una voce? Le parole che a volte crede quasi giuste, una volta pronunciate, perdono di significato. E quando parla, quelle parole sembrano rimanere confinate nel suo dentro, nella sua mente, e non toccano davvero gli altri, non li sfiorano nemmeno. C'è una porta, lei la vede, e vede scorrere fuori da essa vita, persone, rapporti. C'è qualcuno oltre la soglia? Tutto ha messo una distanza, tra lei e gli altri, e non ha la presenza, adesso, di osservare muta la propria impotenza di rimarginarla, né la mera forza di accettarla, la distanza, senza chiedersi il perché. Perché? Perché? Conosco ognuna di queste persone, allora perché? Ma non lo dirà, perché le parole sull'orlo della lingua rimangono lì.
Rei non si lamenta. Nel tubo di LCL, lascia che il liquido già caldo ribolla, che si sciolgano in un sangue azzurro i suoi capelli, attraverso le cosce fino ai piedi. Si ritira in se stessa uno strato alla volta, un pensiero alla volta, un sentore alla volta, un timore alla volta, finché non può dire: il mio corpo è vuoto. Non si è rotto, se non si vedono i pezzi. Non è nemmeno caduto, se non ha fatto rumore
Se alzassi la voce apparirebbe qualcuno? La verità non esiste. Non riesco più a movermi.
Rei è una maschera noh senza espressione. Una ragazza che non sogna. Una fedele interprete. Una fra molte.
Una volta il Comandante l'aveva abbracciata. Nelle ore successive lei si era toccata i polsi, i capelli, le gambe, la punta del naso ─ verificava di esserci tutta, di non aver dimenticato niente nell'altro. Toccarsi è triste perché le separazioni sono tristi. Sarebbe meglio non toccarsi affatto. Un'altra, Ikari le aveva preso la mano e le aveva detto di sorridere. Si era sentita felice, per un attimo, e aveva avuto paura di quella felicità. Perché non sapeva come custodirla, quella felicità, dove metterla per poterla riconoscere. Perché da quando conosce Gendo e Shinji Ikari, nel suo dentro si rivolta qualcosa che vuole unificarsi a loro. Una fame spaventosa, che deve placare a tutti i costi. È da quattordici anni che aspetta qualcosa. Qualcosa. Un modo per riempire quel vuoto, forse. E ogni giorno per quattordici anni sempre ordini, eseguire, ordini, eseguire. Ma man mano che lo scenario era avanzato, lui l'aveva cambiato. Sorrisi. Preoccupazione. Parole di gratitudine. Erano tutte per lui. Sorrisi diretti a lui. Preoccupazioni per lui. Aveva ancora il ricordo delle dita di Ikari tra le sue, un disegno preciso come impronte nella neve ─ la pelle che prima era solo pelle e che adesso era lo spazio vuoto lasciato da quelle dita sulla sua pelle. Grazie, gli aveva detto.
A volte Rei sale sul tetto della scuola. Il vento, da lassù, sussurra come lei. Quel lieve suono la attraversa e per un attimo c'è soltanto silenzio. Poi la sua mente si apre di nuovo, non riesce a bloccarla. E' come una stiva e imbarca acqua. Affonda. Così tanta gente, pensa, e sentirsi così soli. Non lo dirà. Non ha detto mai niente. Finché... finché. Basterà a se stessa. Smetterà di tendersi verso quel posto vuoto accanto a sé. Guarda verso l'antenna. E' ancora girata. Il sole sembra scivolarle sopra in gocce. Smetterà, sì. Non adesso, non qui. Da qualche parte. Domani. Rei non si lamenta.
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note incoerenti dell'autrice: tenetevi l'ennesimo assaggio di una storia che, nell'idea, era lunga. Ma non preoccupatevi, molto probabilmente riprenderò Rei e scriverò qualcosa di più, mhh, consistente. Questo raccontino è strano, lo so, ma è totalmente voluto. Volevo dare l'idea di un profondo senso di frammentazione, di distanza incolmabile dagli altri e anche verso il proprio corpo, e della propria identità che viene messa costantemente in dubbio. E sono proprio tutti questi dubbi, in fondo, che mi hanno fatto appassionare tanto a questo personaggio splendido ed irreplicabile. Saprete già benissimo tutti quanti che io sono devota al culto di Asuka, ma ho notato che girano voci strane sul mio conto. Insomma, Rei è un personaggio che amo molto, ma non essendone fanatica ho scoperto che molti credono che addirittura la odi. Ma si può??? Be', mi auguro che con questo capitolo io abbia sfatato un po' il mito. Comunque è da anni che ritengo Abbey la canzone di Rei e dovevo farvelo sapere. Bene. Ora torno a venerare la somma dea Asuka.