And you let him go

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ship: RinHaru, Makoharu
song: Cry (Cigarettes After Sex)

I swear I'll only
make you cry

«Che cosa credi che dovremmo fare?» era riuscito a chiedergli in una sera d'estate, in cui l'aria era calda e appiccicosa di ognuno dei loro ricordi

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«Che cosa credi che dovremmo fare?» era riuscito a chiedergli in una sera d'estate, in cui l'aria era calda e appiccicosa di ognuno dei loro ricordi. Avevano diciassette anni.
Makoto stava guardando Haruka, era evidente. Makoto guardava sempre Haruka. Haruka che in quel momento si lasciava trascinare qua e là da Nagisa, nel caos del matsuri, e si impegnava nei giochi mettendo in mostra quella serie di infinite abilità, di inspiegabili talenti, che non richiedevano esercizio né scopo, perché venivano da lui, da quella energia misteriosa che era il suo fulcro, impetuosa come una cascata.
«Non lo so, Rin» rispose Makoto, sorridendo con le braccia conserte, come se non stesse succedendo niente e Rin non avesse raccolto il coraggio per giorni, prima di fargli quella domanda «Tu che cosa vuoi fare?»
«Ho smesso di chiedermi soltanto cosa vorrei io» rispose a voce bassa, tanto che non pensava Makoto l'avrebbe sentito, ma lo fece e gli sorrise.
«Sono contento di sentirtelo dire, Rin.»
«Già» distolse lo sguardo «ma non credere, non sono un angelo come te.»
Makoto rise. Aveva una bella risata, e gli venne in mente che non aveva mai sentito ridere Haruka, non davvero, non a perdifiato. Chissà se lui sì. Sicuramente.
«Non sono un angelo, Rin, anch'io ho i miei difetti.»
«Ad esempio?»
«Sono geloso di te.»

Rin tornò a guardarlo e lui sorrideva con una calma che come un lago poteva celare di tutto. Non riusciva a capirlo e per questo non riuscì a rispondergli.
La voce squillante di Nagisa giunse fino a loro: «Forza, Haru-chan, punta dritto al pinguino gigante! Go, Go!»
Haruka sospirò, prese la mira con il fucile ad aria compressa e sparò. Due colpi, due centri.


L'aveva baciato una notte in cui erano soli, appena usciti dall'acqua, ancora bagnati e con il fiatone. L'aveva sfidato e sfidato, fino a sfinirsi, finché non aveva creduto di essere troppo esausto per cedere, ma poi Haruka era uscito dalla piscina e aveva scosso i capelli. Le gocce scivolavano sulla sua pelle che rifletteva il biancore lunare. Rin l'aveva fatto, allora. Per non sentirsi sempre come se dovesse trattenere il fiato. L'aveva baciato perché era esasperato da lui, dal desiderio estenuante che lo trascinava verso di lui. Come aveva fatto Makoto a combatterlo? Dopo un anno Rin era drenato.
«Adesso dì quello che vuoi, fai quello che vuoi» aveva ringhiato subito dopo, lasciandolo andare. Era abbastanza impaziente da attirarlo a sé e morderlo, ma troppo codardo per guardarlo in faccia.
«Che cosa ti aspetti?» gli domandò Haruka, senza cambiare il suo tono di voce, se non per un tremore al quale Rin avrebbe ripensato solo molto tempo dopo.
«Niente, che cosa vuoi che mi aspetti da te?!» gridò, senza neanche capire perché, «Voi non fate mai niente! Né tu, né Makoto, voi non fate niente!»
Haruka non rispose. Non gli chiese che cosa c'entrasse Makoto e Rin capì che lo sapeva, che quella cosa tra loro tre non era più un segreto già da molto tempo. Capì anche, in modo meno definito, che entrambi si aspettavano che sarebbe stato Makoto a baciarlo per primo, come per una sorta di diritto di anzianità, ma a entrambi andava bene che non fosse successo. Se tra di loro non doveva essere ─ e non doveva, pensò con una gelosia che lo sconvolse ─ avrebbe voluto che fosse Haruka a rifiutarlo, non lui a batterlo sul tempo. Si sentì in colpa perché gli sembrava di avere tradito Makoto, e uno schifo perché non riusciva a pentirsene.
«Stupido» disse Haruka dopo un po' «fai sempre tutto da solo».
Avevano diciotto anni e si baciarono a lungo, come se i baci fossero acqua e loro avessero sete da anni.

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