Capitolo 1. Non voglio essere un mago

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Mamma mi diceva sempre che la magia era un dono e che come tale doveva essere preso, senza nessuna pretesa. Proprio lei ne parla così bene, una senza-voce, una senza poteri. Ha incontrato papà nella corsia per prodotti per la casa di un supermercato, lo stesso in cui lavora con tanta dedizione da più di vent'anni. La famiglia di mia madre non era così ben vista allora (neanche oggi a dirla tutta) e nonno Antonello disapprovava la loro unione: mischiare sangue magico con quello di una senza-voce non avrebbe portato a nulla di buono.

Per questo odio la magia. L'unico motivo per cui fisso il soffitto al buio della mia stanza con questo abito da cerimonia è perché sono costretto. La comunità magica si aspetta che io affronti il mio destino per scoprire se posso unirmi o meno al loro mondo.

Posso anche farne a meno. La magia e i suoi dogmi hanno solo allontano la mia famiglia dal resto della comunità, e da se stessa. Ricordo a malapena il viso di mio zio Vincenzo, andato via di casa dopo la morte di sua figlia, e delle litigate tra papà e nonno Antonello sulla purezza del sangue e altre stronzate varie. Nonna Rosalba non fa altro che disprezzare noi nipoti, compresa mia sorella maggiore Antonella. Sono quattro anni che non si parlano più come prima, e il resto della famiglia la tratta con stizza perché adesso è fidanzata con Giuseppe, un semplice mondano che non sa nemmeno dell'esistenza della magia.

Resto solo io a dare l'ultima speranza. Gianmarco Pitrelli, l'unico figlio maschio in grado di riportare in auge il buon nome della Casata della Fenice. Che di Fenice ha solo lo stemma sopra l'arcata della porta. Come per il resto della comunità, la magia sta scomparendo e sempre meno sono coloro in grado di sentire la Voce. Quindi perché io dovrei? Perché dovrei essere scelto? Non ho nessun talento particolare, nessun dono. E va bene così. Mi piace la mia vita da mondano. A scuola vado bene e mi sono fatto tre fantastici amici che non cambierei per nulla al mondo. Per il mio compleanno, mi hanno regalato i primi quattro volumi a colori del nostro fumetto preferito, in tiratura limitata. Non li ho ancora letti. Sono lì, appoggiati sulla scrivania, sopra una montagna di libri e scartoffie che prima o poi dovrò mettere in ordine.

Sorrido al ricordo di ieri sera, quando ho soffiato le quindici candeline e si sono buttati su di me per abbracciarmi e augurarmi buon compleanno. Liam, ingordo com'è, si è mangiato tre porzioni di torta, per poi litigare con Samuel su chi dovesse accaparrarsi l'ultima fetta. Alla fine, Jenny li ha costretti a dividersela, altrimenti non avrebbe passato loro i suoi compiti di matematica.

Mi sento fortunato ad avere loro tre al mio fianco, perché so che insieme possiamo affrontare qualsiasi cosa. Perciò spero che non cambi nulla, che resti tutto com'è. Non voglio far parte di un mondo che considera i mondani degli esseri inferiori mentre chi detiene il potere è l'unico in grado di comprendere la verità. Ma quale verità? Neanche per noi è così semplice credere a ciò che esiste o non esiste davvero. La magia, la Voce, non può essere e non è l'unica via.

No, non voglio essere un mago.

Sono le stesse parole che segretamente ho soffiato sulla mia torta di compleanno, e continuo a ripetermele, con le mani incrociate al petto nel vano tentativo di reprimere l'ansia che ho addosso. Aspetto che si facciano le nove di sera, immaginando i due possibili futuri. Se superassi la prova, passerei i prossimi mesi, o forse anni, a studiare il Diario di famiglia, quello che contiene tutti gli incantesimi creati dagli Uditori della nostra casata. Sarei costretto a partecipare ai salottini dei maghi e a prendere un posto in società. Dovrei prendere moglie, ingrandire la famiglia, portare avanti la discendenza. Avrei una vita già scritta, senza poter scegliere. Nel caso contrario, ritornerei al mio liceo classico, ai giochi da tavolo con Jenny, Samuel e Liam, senza nessuna pretesa o aspettativa sul futuro. Forse un po' incerto, ma mio. Sarei comunque felice, ugualmente sereno, ma lo stesso non potrei dire per mio padre Rosario. Per lui sarebbe una disgrazia essere tagliati fuori dalla comunità magica; significherebbe perdere la scommessa morale con suo padre, nonno Antonello, che fino in punto di morte lo ha disprezzato per le sue scelte poco lungimiranti.

1 - L'Erede della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora